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Il caso Tudor Hall

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Consegna prevista Gennaio 2026

Cecily Keaton è sempre stata attratta dai misteri, occupandosi di casi di persone scomparse. Dopo l’ultimo caso finito male, stanca e in fuga dal suo passato, per l’estate decide di lasciare la sua cittadina in Inghilterra e di recarsi in Scozia, a Edimburgo. Neanche qui trova la pace che desidera: a due settimane dal suo arrivo, viene coinvolta in una misteriosa ricerca e la tentazione di riprendere a indagare è tanta. Incaricata dal Signor Black, anziano attore, giunge a Tudor Hall, la sua villa vittoriana, dove si trovano altri ospiti invitati per un party a tema Cluedo. Nulla è come si aspettava e improvvisamente il gioco si trasforma in realtà quando alla scomparsa di uno dei giocatori segue un omicidio. A questo punto, Cecily non può non riprendere i panni da detective in una corsa contro il tempo, avendo solo cinque giorni per scoprire l’autore, il movente, il luogo e l’arma del delitto.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto “Il caso Tudor Hall” perché sono sempre stata un’appassionata di gialli e thriller. Mi incuriosiva l’idea di un libro in cui un gioco da tavolo potesse prendere vita e il giocatore non dovesse rimanere qualcosa di esterno, ma fosse parte integrante di esso. Volevo che fosse un punto di partenza per trattare attraverso ogni personaggio tematiche e problematiche diverse: stalking, dipendenze, apparenza e realtà, narcisismo, amore… Ma dando spazio anche a momenti ironici e romantici.

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO UNO

        Una questione di affari

9 GIUGNO, ORE 16.45

L’avevo seguita per due settimane, cercando di studiarla senza risultati. Non era facile da inquadrare. Non avevo capito granché da quei quindici giorni se non che possedeva un particolare dono nel saper sgattaiolare via silenziosamente quando uno meno se lo aspettava e che nutriva un amore spassionato per le torte al cioccolato. In realtà, in ogni posto in cui andava a fare merenda sceglieva sempre un dolce diverso, ma in cui doveva esserci almeno una traccia di cioccolato.

Non l’avevo mai vista in compagnia di qualcun altro, un’amica o un amico. Invisibile, sfuggente, inafferrabile… a un occhio poco attento sarebbe sembrata una giovane ordinaria, a un tipico cittadino di Edimburgo un fantasma. Ma io ero finalmente riuscito a rintracciarla un’altra volta.

La osservai al di là della vetrina. Non temevo che potesse vedermi. Erano rare le occasioni in cui alzava lo sguardo dal libro che teneva stretto in una mano e dal taccuino su cui scriveva ogni tanto. Avevo cercato di immaginare cosa buttasse giù: appunti, note, indizi, ricette, notizie, sospetti? Lo avrei scoperto di lì a poco, mi dissi.

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Entrai nel caffè accompagnato dallo squillo del campanello appostato sulla porta. Neanche con quel rumore la ragazzina si accorse della mia presenza. Soltanto nel momento in cui mi accomodai al suo stesso tavolino, nel posto di fronte a lei, la penna con cui scriveva si fermò dallo spargere altro inchiostro.

«Cecily Keaton?» Era una domanda retorica. Sapevo perfettamente chi fosse. Desideravo solo catturare la sua attenzione. Lei sollevò la testa. Due ciuffi tagliati più corti le incorniciavano il viso olivastro e con una forma a tendina creavano un collegamento tra il volto e i capelli che arrivavano quasi alle spalle. Dietro un paio di occhiali da vista marroni maculati comparvero due grandi occhi tendenti al nero. Aveva lo sguardo attento e curioso di chi con una sola occhiata era riuscito a carpire ogni particolare della vita di chi aveva di fronte.

«Sì? Salve.» le labbra rosee, curvate in un piccolo sorriso, pronunciarono le parole con gentilezza ma anche con un pizzico impercettibile di soggezione e riguardo. Si guardò attorno come se con un battito di ciglia fosse rimpiombata nel mondo reale. Posò sul tavolo il libro e sbirciai il titolo. Silenzi sospesi. Sorrisi tra me e me. C’era da aspettarselo.

«Amante dei gialli.» asserii. Lei mi osservò più attentamente, come se cercasse un dettaglio che le fosse sfuggito.

«Come scusi?» chiese, le sopracciglia arricciate dietro la montatura color terra.

Giusto, non mi ero ancora presentato. Doveva esserle sembrato strano che un signore di una certa età tutto rivestito si fosse seduto con lei e si fosse messo a parlare come se fossero due amici di vecchia data senza dare alcun genere di spiegazione.

«Signorina Keaton, è un piacere conoscerla. Sono Hugh Black.» affermai, sorridendo e tendendole la mano. I suoi occhi saettarono più volte confusi da me alla mia mano rugosa. Quando finalmente si protese per stringerla, un profumo di agrumi e di brezza marina mi invase piacevolmente le narici. Lo smarrimento che si vedeva ogni volta che mi guardava mi fece capire che non aveva la minima idea di chi io fossi.

«Vorrei parlarle di una questione. Come dire… di affari.»

Una cameriera si avvicinò al nostro tavolo. «Desiderate qualcosa da mangiare o da bere?»

Tornai a guardare la ragazza, che non aveva mai staccato lo sguardo dubbioso ma disponibile da me. «Posso offrirle qualcosa? Del caffè, magari?»

«Un thè, grazie.»

«Un thè e un caffè, allora.» comunicai alla cameriera, che con gli ordini tornò al bancone.

Ritrovai la signorina Keaton con un’espressione di attesa. Voleva che parlassi o che la lasciassi continuare il suo tranquillo pomeriggio in pace. La seconda opzione, intuii, era molto più probabile.

Andai subito al dunque. «So che è un’esperta nel trovare le persone. Vorrei che ne trovasse una…» non mi diede il tempo di completare la frase che disse tutto d’un fiato «Temo abbia sbagliato persona.» il suo sguardo non sostenne più il mio e con la mano chiuse il quadernino con dentro la penna a mo’ di segnalibro, facendo per alzarsi.

«Cecily Keaton, venti anni, proveniente da Whitby, North Yorkshire, Inghilterra. I suoi genitori sono Iris e Jonathan Keaton, nessun fratello o sorella. Non mi sognerei di farle del male, signorina Keaton, e non sono qui per questo. Tutt’altro.» ripresi fiato prima di ripartire con l’esposizione delle mie conoscenze. «Ha risolto due casi di scomparsa. Due casi e mezzo se consideriamo anche quello di…»

«Va bene così.» mi fermò lei, sedendosi di nuovo al suo posto. «Chi è lei?»

«Gliel’ho già detto.»

«Che cosa vuole?»

«Mi porta ad essere ripetitivo.» la guardai accondiscendente.

«Se vuole che faccia quello che mi ha chiesto, mi dispiace, ma ho smesso.»

«Una come lei non smette mai di cercare, signorina Keaton. Ho letto svariati articoli su di lei. La dipingono come un’eroina.»

La sua bocca si bloccò in un sorriso nervoso. «Mi creda, sono lontana dall’esserlo.»

«Infatti, non voglio che lo sia.» Fece per parlare, ma io subito mi rinsinuai nel discorso «Non c’è bisogno che parli o che lo dica ad alta voce. La vedo, signorina Keaton, … Cecily, se mi permette. L’ho vista e la vedo ora. La luce nei suoi occhi non è scomparsa. È solo nascosta, in attesa di tornare a brillare. E io ho la soluzione per lei.»

Lo percepii. C’era qualcosa che l’aveva colpita nel mio discorso e lo aveva fatto in modo positivo, ridestando la sua curiosità.

«I misteri mi hanno tolto molto.»

Risoluta la ragazza, pensai. Risoluta e sveglia. Una parte di me pensava che con quella frase volesse testare la mia capacità di persuasione.

«Eppure, le hanno dato altrettanto. Eppure,» dissi in tono più grave, protendendomi in avanti, come fosse un segreto tra me e lei «non riesce a farne a meno.» terminai, abbandonando la schiena arrugginita contro lo schienale della sedia e accennando un sorriso soddisfatto.

Si creò un breve silenzio, che fu colmato dall’arrivo delle bevande. Prese a sorseggiare il suo thè e poi si tirò su gli occhiali con l’indice, un gesto che aveva fatto altre volte dall’inizio della conversazione. Una probabile manifestazione di insicurezza o di riflessione.

«Io non la conosco.» ricominciò.

«Ma io conosco lei.» affermai.

«Ne dubito.» disse con un mezzo sorriso compiaciuto.

Ero divertito, anche se la sua ostinazione era alquanto esasperante. Sospirai. «Mi creda, non voglio toglierle nient’altro. L’unica cosa di cui questa ricerca potrebbe privarla è un po’ di tempo. Si dia un’altra occasione e vedrà che nel migliore dei casi questo ritrovamento le potrà solo dare qualcosa, magari proprio la luce persa.»

Sembrò assentarsi un attimo con lo sguardo. Potevo quasi vedere le rotelle della sua mente girare mentre pensava al da farsi. Io, intanto, finii il mio caffè. Non c’era alcuna fretta. Anzi, cominciavo quasi a gradire la sua compagnia. Avrei voluto poter restare a chiacchierare per ore con lei per scoprire tutto ciò che la rappresentava, ciò che l’aveva resa così speciale quando l’avevo vista per la prima volta sui giornali durante il viaggio in Inghilterra. In qualche strano modo mi ero affezionato a lei senza neanche conoscerla. Un peccato che non ci fosse abbastanza tempo… già, un vero peccato, pensai, abbandonando quel pensiero.

«Chi deve cercare?» domandò, facendo ripiombare sulla Terra sia lei che me.

Ammiccai con un cenno della testa. «Saprà tutto se e quando accetterà.» Sventolai per aria una busta chiusa.

Lei la guardò, come se davanti ai suoi occhi ci fosse un diamante anziché un semplice pezzo di carta e tornò a me con un sorriso furbo sulle labbra. Eccolo, il lato dell’umorismo che finora non era ancora comparso. Avevo stuzzicato il suo interesse. Una ragazza singolare, non vi era alcun dubbio. Una ventenne che amava il tempo trascorso con sé stessa ma che non poteva sopportare di essere annoiata. Avrebbe sempre avuto bisogno di qualcuno o qualcosa che glielo ricordasse. Ed era proprio per quello che era perfetta per il mio compito.

«Per quanto mi intrighi ho bisogno di sapere di cosa si tratta. Non posso accettare alla cieca, quindi sarei costretta a rifiutare.»

«Lo immaginavo.» mi avvicinai e posai la busta sul tavolo. «Allora, facciamo in questo modo: le darò la busta, così potrà analizzare tutto con la dovuta calma, e, una volta presa la decisione, dovrà soltanto presentarsi da me.»

Lei annuì e domandò «Come la trovo?»

Battei l’indice nodoso sulla busta.

«Come sa che sarò capace di trovare quella persona?»

«La testardaggine e la determinazione, a quanto so, sono sue fidate alleate. Il resto sarà da vedere. È anche per questo che è divertente, no? È per questo che si chiama mistero

Cecily mi rivolse un sorriso complice «Non ha del tutto torto.»

Poi, prese la busta e la infilò dentro la sua borsa di tela.

«Bene.» incominciai, rilassando i muscoli ormai spariti da anni, ma lei mi pose un’altra domanda, scettica «Perché io, Signor Black? Perché non rivolgersi alla polizia?»

Ci fu un fugace attimo in cui ci osservammo l’un l’altra. Due semisconosciuti che si studiavano a vicenda. Probabilmente si stava già chiedendo come mai un uomo, che si assumeva avesse perso qualcuno, fosse così calmo…

«Sa, sto fremendo di sapere cosa annota su quel quadernino.» mi avvicinai, eludendo la domanda e indicando il taccuino dello stesso rosso sanguigno della maglia di lanetta che indossava.

La sua risata irruppe nello spazio, invadendolo allegramente.

«Lo scopra lei stesso.» affermò, puntandomi gli occhi addosso in segno di sfida. «Avrei bisogno di andare un secondo in bagno.» continuò, dissociandosi da quel discorso. Si alzò e si diresse nel retro del locale. Mi passò per la mente l’idea che fosse una trappola, un tranello, in cui di lì a poco sarei potuto incappare. Alla signorina Keaton piaceva giocare, era evidente, e così anche a me. Feci scivolare il taccuino verso il mio lato del tavolo e diedi una veloce occhiata. Le pagine erano quasi tutte riempite. C’erano titoli di libri – sicuramente un’assidua lettrice di romanzi gialli e thriller, che, per tenere il passo con i personaggi e i risvolti della trama, segnava tutto lì sopra. Questi erano intervallati da altri spazi, in cui vi erano dei nomi e, accanto, dei disegni delle persone a cui corrispondevano. Erano molto approssimati, il disegno non doveva essere una sua dote naturale, ma rendevano l’idea. Chissà se appartenevano a individui reali o immaginari? Era possibile che le capitasse di osservare le persone che entravano dalla porta del caffè e di ritrovarsi, così, a scrivere e inventare la loro personalità, la loro storia, tutto. Interessante, pensai. Un’osservatrice.

Rimisi il quaderno al suo posto e dopo qualche secondo la ragazzina fece ritorno. «Trovato quel che le serviva?»

Mi scappò un sorrisetto, che celai con due dita a ricomporre i baffi.

«Mi tolga una curiosità. Ho cominciato a osservarla da un po’ per capire quali fossero i posti in cui avrei avuto più possibilità di parlarle e si è rivelata una gran fatica, a dire il vero. Ogni giorno cambiava luogo, strada, orario, cibo. Io sono una persona particolarmente abitudinaria e i suoi cambiamenti mi hanno reso difficile starle dietro. Perché farlo? Perché cambiare?»

«Per esperienza, immagino. Non ho mai le stesse abitudini.» disse semplicemente, come se quella risposta fosse completamente sufficiente e non contenesse dentro di sé altri mille risvolti possibili.

«E mi dica: come mai Edimburgo?»

Lei sorrise tra sé e sé, ricordando. Non sembrava affatto infastidita dalla mia invadenza «Dicono che Edimburgo sia una delle città più infestate del Regno Unito. Ho pensato che sarebbe stato bello per un po’ avere attorno fantasmi diversi da quelli del passato.» finì, facendo spallucce.

Ecco perché lei, signorina Keaton, risposi mentalmente alla domanda che mi aveva posto in precedenza. Ecco perché lei.

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Cecilia Marchioli
Cecilia Marchioli nasce in una cittadina lungo la costa abruzzese nell'anno 2003.
Appassionata di Agatha Christie, è un'amante delle atmosfere nebbiose e misteriose ma non del tutto prive di umorismo e romanticismo.
Sin dall'infanzia si circonda di libri e giochi da tavolo grazie ai quali si immedesima in una detective per qualche ora. Scrive di città piovose del Regno Unito, luogo di ispirazione presente in ogni sua storia, sempre accompagnata da una tazza di thè caldo e biscotti.
Cecilia Marchioli on Instagram
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