Amavo sedermi lì fra i massi, soprattutto verso sera, e tra un bagno e l’altro disegnavo quello che vedevo, sempre dallo stesso punto, dalla stessa pietra, ritraevo il mare. Ogni giorno il mare è diverso. Il suo colore, le sue increspature, l’altezza delle onde, le navi e le barche sullo sfondo, i riflessi della luce. Tutto, perfino la sabbia e le pietre, perfino i gabbiani in cielo non sono mai gli stessi in mare. Il mare cambia ogni giorno. In realtà il mare cambia sempre, è mutevole in ogni sua istanza, ogni istante che passa non è mai quello di un’istante prima. Io mi sedevo lì e disegnavo il mare, era questo quello che facevo.
Quel giorno, ero arrivato sull’isola da almeno due settimane, ero nella solita grotta. Stavo passando il pomeriggio a disegnare e a fare il bagno in mare; decisi di stendermi su un telo che avevo portato da casa e, a forza di riposare gli occhi, mi appisolai cullato dal suono della risacca. Quando mi svegliai, il sole si era abbassato e non mancava molto al tramonto. Ci misi qualche secondo a tirarmi su a sedere e ancora di più a capire che non ero solo; di fianco al mio telo, infatti, ce n’era un altro a pochi metri di distanza, sopra di esso una piccola borsa di tela. I confini del sonno e della veglia sembravano assottigliarsi di fronte ai miei occhi arrossati dal sale. Una figura si stagliava di fronte a me, a pochi passi dal luogo del mio riposo, immersa per metà in mare.
Mi dava le spalle mentre le impercettibili onde si infrangevano sul suo corpo sottile e le sue mani strizzavano i lunghi capelli per liberarli dall’acqua in eccesso, rivelando anche in essi delle piccole onde di ricci. Rimasi a guardarla e continuai a sentirmi spaesato, incerto riguardo al luogo e al tempo in cui mi trovavo, se quella in cui respiravo e sentivo il sale seccarsi sulla pelle e fra i capelli fosse o meno una dimensione onirica prodotta dalla mia mente. Per pochi istanti pensai che quel luogo fosse davvero magico e pregno di una forza antica ed epica capace di trascendere i secoli e la realtà. Per pochi istanti pensai davvero di trovarmi in una spelonca abitata da una dolce e bellissima ninfa del mare, intenta a vivere nel suo elemento e che per qualche strano volere del fato aveva concesso la visione delle sue fattezze ad un mero mortale. Questo fino a che i nostri sguardi si incrociarono. La sorpresa, mista ad un po’ di imbarazzo si impossessò dei suoi occhi, che sembravano avere la stessa profondità del mare dietro di lei. Forse un lieve pantone di rosso le colorò le guance. Camminò velocemente verso il telo mare, tenendo le braccia larghe per non perdere l’equilibrio tra le pietre. Solo in quel momento mi resi conto che il mio blocchetto da disegno si trovava sul suo telo e che, per quanto le immagini che arrivavano ai miei occhi lo promettessero, non ero in nessun poema classico. Mi posizionai velocemente gli occhiali sul naso, appena in tempo per vedere nitidamente il suo volto contratto nell’atto di trovare le parole adatte alla situazione.
-Ciao- disse lei prendendosi qualche secondo di pausa e rimanendo immobile di fronte a me, indecisa sulla prossima mossa da compiere -io non pensavo che qualcuno oltre a me conoscesse questo posto.
I nostri occhi si spostarono all’unisono andandosi a poggiare sul mio blocchetto da disegno abbandonato sul suo asciugamano.
-Scusa, io- il rossore si impossessò nuovamente delle sue guance – giuro che non ho toccato nulla. Insomma, sono arrivata e ho visto un tizio che dormiva, qui, dove non ho mai visto nessuno in tutti questi anni. Ero indecisa su cosa fare, se restare o andarmene, perché nel senso, è strano trovare qualcuno qui capisci? In un primo momento mi sono spaventata. Poi ho visto che c’erano dei disegni, quel taccuino per terra era già aperto. Non mi sarei mai permessa di aprirlo se fosse stato chiuso chiaramente. Però era aperto quindi, dopo essermi fatta un bagno mi sono messa a guardarlo, ero curiosa, insomma erano dei disegni messi lì per terra e sembrava ce ne fossero molti. Ho solo guardato quelli, giuro. Perdonami se sono stata così sfacciata, ma hai dormito un sacco. Hai idea di quanto hai dormito? Sono qui da almeno due ore, pensavo non ti svegliassi più. Non avrei dovuto, scusa ora vado.
Quel fiume di parole mi investì completamente, troppe e troppo confuse per essere comprese appieno.
-Non preoccuparti- riuscii a dire io mentre lei mi passava il mio taccuino e si rimetteva la canottiera che era stata riposta all’interno della sua borsa -non ho ben capito quello che è appena successo, ma non preoccuparti-
-Oh, menomale, non avrei dovuto frugare tra le tue cose. Però mettiti nei miei panni, non ho mai visto anima viva qui sotto. Poi un giorno, trovo un ragazzo addormentato e una serie di disegni sparsi in giro.
Mi tirai su a sedere e riposi i disegni nel mio zaino.
-Vieni spesso qui?
-Oh, sì molto spesso, cioè d’estate s’intende. L’ho scoperto che ero una bambina e da quel momento ci vengo sempre a fare il bagno. Non ho mai visto nessuno in questo posto in tutti questi anni a parte qualche gabbiano. È bello non è vero? Pensa che non l’ho mai mostrato a nessuno, per paura che diventasse conosciuto sull’isola e che cominciasse ad attirare quei pochi turisti che ci sono. Non spargere la voce ok?
-Sì, è molto bello, l’ho scoperto solo da pochi giorni, anche se conosco molto bene questa parte di isola.
-Sei un turista?
-Più o meno, potremmo dire di sì. Venivo tutte le estati sull’isola da bambino.
-Davvero?
-Davvero.
-E com’è che non ci siamo mai incontrati prima?
-Da piccolo passavo tutto il giorno con mio nonno, non ero un bambino molto socievole.
-Ah, capisco- rimase qualche secondo in silenzio e i raggi del sole che stava scendendo verso l’orizzonte le illuminarono il viso, mostrando le piccole lentiggini che coloravano il suo volto – comunque disegni bene, molto-
-Ti ringrazio.
-Ora vado, è stato imbarazzante. Ciao.
-Aspetta- feci appena in tempo a dire mentre era già sparita lungo la scalinata di pietre. La piccola ninfa del mare, così come era apparsa era anche sparita.
Al suono dei suoi passi che si allontanavano, si unì il tintinnio di qualcosa che rotolava giù per la scalinata di pietra e subito dopo il rumore di un oggetto caduto in acqua. Scattai in piedi e andai verso l’origine del suono. Scrutai la piccola e rocciosa spiaggetta di scogli e pietre alla ricerca della fonte di quei rumori e dopo pochi secondi individuai un bagliore tra le pietre, sommerso sotto pochi centimetri di mare. Afferrai quell’oggetto immergendo rapidamente le mani in acqua senza neanche rendermi conto di cosa fosse e mi precipitai su per quella ripida rampa di pietre gridando per farmi sentire dalla ragazza, dalla ninfa del mare. Quando giunsi in cima e mi guardai intorno mi accorsi come ormai non ci fosse più nessuno in quel luogo in grado di udire i miei richiami e le mie urla, a parte la polvere e qualche geco nascosto tra i cespugli secchi. Aprii la mano che stringevo con una forza di cui non mi ero accorto mentre mi affannavo per salire il più in fretta possibile e finalmente scoprii cosa avessi raccolto tra le pietre. Era un pennello da pittura, dalle setole morbide e ancora bagnate dall’acqua del mare, con la punta molto sottile e l’impugnatura di un rosso vivo. Dunque, era questo che quella ragazza aveva perso andandosene. Lo rigirai tra le mani, soppesandolo e accarezzando le setole con il polpastrello. Mi guardai ancora una volta intorno per poi scendere nuovamente lungo la scogliera per recuperare le mie cose e tornare a casa.
Non riuscii a capacitarmi di quell’incontro, a comprenderlo. Lungo la strada di casa continuò a tornarmi in mente quell’immagine, la silhouette di quella ragazza che si stagliava contro il tramonto, cosparsa di mare e bagnata di raggi di sole. Forse era stato tutto un sogno, pensai legando la bicicletta sotto casa.
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