ANTEPRIMA NON EDITATA
Vestito del suo pigiama, Ben si lasciò cadere sul suo letto, sospirando. Si tolse gli occhiali con fare seccato e li gettò sul comodino vicino. Fissò lo sguardo sul soffitto blu, quella tonalità che assume il cielo libero da nuvole. Se ne fissava un punto abbastanza a lungo, Ben poteva sentire il suo corpo più leggero, come se fluttuasse. Avrebbe voluto volare via da quella brutta giornata, uguale alle altre tre brutte giornate precedenti di quella settimana. La scuola sarebbe ricominciata presto e i bambini approfittavano degli ultimi istanti di libertà per godersi il sole estivo al parco. Ben aveva visto alcuni suoi compagni di scuola che giocavano a pallone e chiese a Sandra il permesso di unirsi a loro. Ma quando raggiunse il campo da calcio, gli altri bambini lo guardarono straniti, come se all’inizio non l’avessero riconosciuto, prima di scoppiare a ridere e chiamarlo quattrocchi, imitando con le dita intorno agli occhi degli occhiali, facendo facce buffe, che Ben non trovava per niente divertenti.
Si chiedeva cosa ci fosse di così ridicolo e sbagliato in un paio di occhiali, eppure una parte di lui desiderava liberarsene. Erano come una calamita per i guai.
Volare via, volare via, volare via…
E Ben volò nel mondo dei sogni, lasciandosi alle spalle la giornata trascorsa, senza neanche coprirsi con la trapunta.
Il fragore di un tuono lo strappò dal suo sonno con prepotenza, senza dargli il tempo di aggrapparsi a qualcosa per proteggersi. La cameretta venne inondata di una forte luce per qualche secondo e il cuore gli martellava nel petto. Ben si avvolse nel suo piumone come se fosse una corazza durissima e i suoi piedini scalzi si fecero largo sul pavimento freddo, in direzione della camera da letto che mamma condivideva con Boyle, usando il muro come appiglio per non andare a sbattere contro alcun ostacolo in corridoio.
Fece capolino, guardando le due figure rannicchiate nel letto, mosse dai loro lievi respiri…almeno, uno di loro era lieve, Boyle russava sonoramente!
«Mamma?» dovette sussurrare un paio di volte, prima di scorgere un movimento sotto le coperte , accompagnato da un mugugno sommesso. «Posso dormire con te?»
Il letto oscillò appena, come se qualcuno vi avesse spostato un enorme sacco di patate.
«Va a dormire, marmocchio! Qui, c’è gente che si deve alzare presto per andare a lavoro.»
«Ma ci sono i tuoni.» provò a giustificarsi il bambino.
«E allora? Non ti colpiranno di certo.»
«Boyle!» lo riprese Sandra, dandogli una pacca sulla spalla che ebbe come risultato un grugnito pieno di indifferenza. Un’altra oscillazione e Boyle tornò a russare.
Nella penombra, Ben vide la testa spettinata della mamma voltarsi verso di lui. «Benny, amore, lo so che hai paura,» e da quelle parole, Ben sapeva già di doversene tornare a letto. «ma è solo il rumore a spaventarti. Boyle ha ragione, non ti faranno del male.»
Senza neanche augurare la buonanotte, il bambino si trascinò a letto. Proprio quando si trovava sulla soglia della cameretta, proruppe un altro tuono e Ben si lanciò sul letto, la coperta che lo avvolgeva ebbe l’utilità di un mantello da supereroe il tempo necessario per il breve volo e l’atterraggio morbido. Si fece piccolo piccolo, rannicchiandosi al caldo e strizzando gli occhi nella speranza di riaddormentarsi il più presto possibile.
Volare via, volare via…no, non si può volare con questo tempo. Papà non l’ha mai fatto, però lui adesso…
Altri rumori, ma erano diversi dai tuoni. Alzò la testa riccia, in ascolto, il piumone tirato sulle spalle. Cercò di non badare alla pioggia battente per identificare il suono. Veniva dall’armadio. Sembrava che qualcosa sbattesse ripetutamente contro il legno di noce, con tonfi sordi.
«Mamma?» chiamò, la sua voce molto flebile. Non sarebbe accorsa a salvarlo con quel richiamo.
E poi lo sentì. Lo sentì chiaramente.
«Ti prendo!»
I rumori si fecero sempre più forti, fino a far tremare le ante.
La voce lo minacciò ancora. «Adesso ti prendo!»
Dalla bocca di Ben uscì uno squittio. «Mamma!»
Volare via, volare via…
Tornò a chiudersi a riccio, sperando di diventare minuscolo abbastanza da non essere visto dal mostro, perché una voce spaventosa che proviene dall’armadio a chi altri poteva appartenere, se non ad un mostro gigantesco con zanne e artigli affilati come rasoi?
Qualcosa di pesante andò a sbattere contro i piedi del letto e Ben dovette portarsi le mani alla bocca per non gridare. Ma dov’era la mamma?
Poi, nella stanza, crollò il silenzio, interrotto soltanto dalla pioggia.
Forse, se n’era andato. Oppure si era nascosto sotto al letto.
Ben aveva letto sul Grande libro degli animali che i predatori sentono la paura delle loro prede. Doveva essere coraggioso, smettere di tremare e uscire dalle coperte per affrontarlo. Prese un po’ di respiri profondi, cercando di calmare il suo cuore, le dita strette alle lenzuola per non far tremare le mani. Con uno scatto scostò le coperte, già pronto ad essere assalito. Non accadde nulla, ma sentì dei lamenti vicino al suo letto. Stava per mettersi a gattonare verso il fondo, quando due zampe vi si aggrapparono, facendolo nuovamente congelare. Ci fu un lampo che illuminò per un breve istante quelle che sembravano scaglie, e quella scintilla folle chiamata curiosità, si mise a bisticciare con la paura per la dominanza: non voleva, ma doveva assolutamente vedere che creatura fosse. Perciò scattò all’indietro, allungò la mano al comodino e accese la luce.
In quell’istante, vide una testa ornata di un copricapo che aveva già visto. Suo padre lo metteva sempre prima di salire su un aereo, un berretto da aviatore in pelle, con occhialetti compresi.
Stava sognando?
Non avvertendo più alcuna minaccia o sentore di pericolo, si avvicinò cautamente, stringendo al petto un lembo di coperta. Più vicino, piano piano. La luce della lampada proiettò su sul muro un’ombra enorme che si mosse goffamente. Ancora più vicino.
«Ah…» Ben rimase immobile, ma non per la paura. Davanti a lui si stagliava nella penombra il profilo rettile che si massaggiava la testa con aria dolorante. Così grosso non poteva essere che…un drago! Il grande libro degli animali non diceva niente su come comportarsi davanti ad un drago. Consigliava di fingersi morti per non farsi mangiare da un orso, di far annusare il dorso della tua mano ad un cane prima di accarezzarlo, addirittura di far pipì sulla puntura di una medusa. Ma un drago!
L’enorme lucertolone guardò Ben con le palpebre abbassate sugli occhi gialli. Si riscosse e, barcollando un poco, si rimise in piedi e si guardò intorno come alla ricerca di qualcosa. Ben poté vederlo in tutta la sua imponenza: le scaglie blu gli coprivano il corpo, il collo lungo e il pancione, in alcuni punti formavano delle piccole isolette marroni. Le spine scendevano in fila dalla schiena fino alla lunga coda e, soltanto quando il drago gli diede le spalle, vide le sue ali. Erano piccole, troppo piccole per sollevarlo. Se non fosse stato così scioccato, Ben avrebbe storto il naso. Come avrebbe fatto a volare, quel drago ciccione? Aveva visto un sacco di film sui draghi, e per una volta che ne aveva uno vero davanti, senza schermi o effetti speciali, era totalmente deludente. Il drago meno draghesco che avesse mai potuto capitargli!
Nonostante il pancione e le zampe posteriori tozze su cui si teneva, fece una giravolta su se stesso con inaspettata agilità e gli puntò un dito contro.
«Tu! L’hai visto?» esordì. Ora quella voce non sembrava più spaventosa, ma quasi buffa, gli fece notare la parte meno sconvolta di Ben.
Il drago schioccò le dita, trionfante. «Ah! Ovviamente, dalla tua aria spaventata, quel accidenti di serpente deve essere passato da queste parti. Ma non preoccuparti, ci pensa Zury!» si abbassò e controllò sotto al letto. «Quel codardo è riuscito a scappare, proprio quando lo stavo per acchiappare.»
Rialzò il testone, sorridendogli e Ben, quasi senza accorgersene, alzò un angolo della bocca timidamente. Il drago sembrava sul punto di dire qualcosa, quando avvistò un movimento dietro di sé con la coda dell’occhio.
«Visto!» esclamò e cominciò a girare su se stesso come una trottola per acchiappare la sua coda. «Ti prendo! Vieni qui! Ti prendo! Non mi sfuggi!»
Ben aprì bocca per avvisarlo che non era un serpente, ma il drago si fermò di colpo, respirò a pieni polmoni e una lingua di fuoco invase la punta della coda. Ben si schermò gli occhi per la forte luce. La creatura fece un sorriso soddisfatto, che durò poco, sostituito dalla realizzazione dolorosa. Si prese la coda tra le zampe e cominciò a saltellare, lamentandosi.
«Ahi! Ahi! Ahi! Che dolore! Ma perché? Uffa!»
Se la mise in bocca e la succhiò con aria amareggiata. Quella scena era così assurda e buffa che Ben si lasciò andare ad una risata, come non faceva da tempo. Il drago, inizialmente guardandolo senza capire, si fece contagiare, nonostante il male che sentiva a quella che aveva imparato essere una parte di sé, ora bruciacchiata.
Ma qualcuno che non era affatto divertito spalancò la porta.
«Cos’è questo baccano, marmocchio?» bofonchiò Boyle, grattandosi la pancia. «Beh? Che c’è da ridere?»
Ben, con le lacrime agli occhi per il troppo ridere, indicò davanti a sé. L’armadio? L’uomo sbuffò. Questo bambino era parecchio bizzarro. Sapeva che i bambini avevano paura dei mostri nell’armadio, ma non aveva mai sentito di nessun marmocchio riderne come se si trovasse al circo dei clown.
«Torna a dormire, nanerottolo!» e chiuse la porta.
Ben smise di ridere, guardando la porta. Parlò per la prima volta al drago. «Non ti ha visto?»
Il drago rise, incrociando le braccia al petto. «Non c’è niente di peggio di un adulto che non sa vedere.»
Vedere…un attimo! Se Ben era senza occhiali, come faceva a vedere alla perfezione ogni dettaglio? Fece viaggiare lo sguardo per la stanza: avrebbe dovuto avere la vista sfocata, ma vedeva tutto in maniera nitida come non molto tempo fa.
Il bambino guardò il drago dalla sua statura che sembrava così minuta in confronto all’essere che gli stava davanti sorridendo. «Ma tu chi sei?»
«Non mi ero forse presentato?» gli prese la mano nella sua. Ben credeva di trovarla viscida o fredda e secca, invece aveva una stretta calda e rassicurante. «Zury, al tuo servizio! E con chi ho l’onore di parlare?»
Ben ridacchiò. «Mi chiamo Ben-…»
Ci fu un tuono e il bambino sobbalzò, lasciandosi sfuggire uno squittio, al contrario di Zury, che semplicemente girò la testa verso la finestra. Ritornò a guardare il suo piccolo amico, che nel frattempo si era nascosto sotto le coperte. Agguantò la stoffa e la sollevò un poco, per vederlo rannicchiato, le ginocchia strette al petto e gli occhi chiusi.
«Paura dei tuoni, eh?»
Ben annuì freneticamente.
«Sai, anche io ho paura quando sono in volo e vedo delle nuvole grige venirmi incontro.» gli confidò il drago e Ben lo guardò incuriosito. «Fortunatamente, conosco un trucchetto che voglio mostrarti.»
Zury si allontanò dal letto. Ben sbucò fuori, in tempo per vederlo scostare le tende.
«Volare?» chiese. «Come fai a volare con quelle…»
Il drago spalancò la finestra e un forte vento entrò, spazzando via ciò che Ben voleva chiedergli, insieme ad alcuni fumetti, fogli e disegni che vennero disseminati per il pavimento. La pioggia che lo colpiva non sembrava turbarlo.
«Ma che fai?» urlò Ben, per sovrastare il rumore del temporale.
Lo guardò oltre la spalla. «Guarda un po’!»
Zury si mise gli occhialetti e prese qualche respiro profondo, prima di sporgersi sul davanzale. Aprì la bocca e cominciò ad aspirare, aspirare, traendo a sé i nuvoloni cariche di pioggia. Succhiò tutte le nuvole e i tuoni e i lampi. La pancia cominciò a gonfiarsi come un pallone da spiaggia e Ben si portò la coperta fin sotto al naso, col timore che potesse esplodere. Quando ebbe finito, il cielo era limpido, le stelle brillavano, tornò la quiete notturna di campagna.
Zury, soddisfatto, chiuse la finestra e si voltò con aria trionfante, finché un rutto non riaffiorò dalle sue fauci con il rumore sommesso di un tuono.
«Pardon!» mormorò imbarazzato, portandosi la zampa alla bocca.
Ben aveva sinceramente paura di svegliarsi da quel sogno, probabilmente il più bello mai fatto.
Zury ritornò al letto, il suo sguardo rettile si posò sul comodino. «Bello, quello!» esclamò, indicando il modellino del Albatross che Ben e suo padre avevano costruito insieme. Ben lo ringraziò orgoglioso, guardando il plastico con un nodo allo stomaco per la nostalgia.
Il drago si chinò davanti al mobiletto, senza osare toccare il modellino. «Non ne ho mai guidati, di questi. È un pezzo unico!»
Ben lo guardò senza capire. «Tu…guidi gli aerei?»
«Sono per la vecchia scuola.» rispose l’altro, sedendosi sul pavimento, attento a dove metteva la coda ancora dolorante. «La mia specialità sono gli aeroplanini di carta.»
«Aero-…ma è impossibile! Ma come fai?»
Zury si alzò. «Beh, a causa di questa,» si batté una zampa sulla pancia. «e queste,» si voltò -da dietro sembrava una gigantesca pera-, mostrandogli le sue ali, che sfarfallarono. «non posso volare per conto mio. Uno si deve arrangiare come può.» spiegò, stringendosi nelle spalle. Poi Zury sogghignò, colpito da un’idea. «Ehi, perché non facciamo una prova di volo domattina? Dicono che farà bel tempo!»
Ben dovette rettificare: questo era il drago meno draghesco di tutti, ma di gran lunga migliore!
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