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Il Sigillo di Emet: Fuoco e Luce

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Consegna prevista Agosto 2026
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Il Sigillo di Emet: Fuoco e Luce si pone come il primo di una trilogia: la storia di un’anima divisa, che attraversa epoche e pianeti alla riscoperta di sé.
David è il primo ministro italiano nel 2030, ma dopo un attentato che lo induce al coma si risveglia in una terra primordiale sotto sembianze di un angelo di nome Helel.
La guerra tra gli angeli, esseri venuti da un pianeta lontano chiamato Gan Eden, e i Giganti, abitanti primordiali della Terra, sta per avere inizio e in palio c’è il destino dell’uomo.
In un intreccio di reincarnazione, spiritualità, politica e mito, il romanzo ci accompagna in un viaggio che mette in discussione ogni certezza: chi siamo?
Un romanzo epico e fantasy , che narra di libertà e catene, amore e paura, e che ci invita a guardare oltre il visibile, verso ciò che ci unisce all’universo.

Perché ho scritto questo libro?

Il romanzo nasce dall’incontro di alcune delle mie passioni e alcune delle domande intime profonde.
L’amore per le materie umanistiche ha contribuito a interrogarmi sul senso dell’esistenza; la politica su come le scelte collettive possano influire sul destino di ognuno; il fantasy a immaginare mondi nuovi dove spaziare tra miti e spiritualità.
Il libro nasce dalla necessità di soddisfare queste curiosità e portarle all’attenzione del lettore.

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO 1

La pioggia batteva incessantemente contro le finestre di Palazzo Chigi, creando un sottofondo monotono e ipnotico. Era una mattina grigia del 2030, e l’atmosfera all’interno dell’ufficio del primo ministro era carica di tensione. David sedeva alla sua scrivania, immerso nei suoi pensieri. I suoi capelli biondi, con una frangia che gli copriva parte della fronte, erano leggermente spettinati. I suoi occhi grigi, come erano soliti quando pioveva, scrutavano i documenti davanti a lui, mentre la luce soffusa della lampada da tavolo illuminava i suoi lineamenti duri e spigolosi, conferendogli un fascino quasi nordico.
Un bussare deciso alla porta lo distolse dai suoi pensieri. «Avanti.» disse, alzando lo sguardo. La porta si aprì ed entrò Manuel, ministro degli esteri e fidato braccio destro, con un’espressione seria.
«David, abbiamo ricevuto un messaggio urgente dalla NATO. Vogliono una risposta entro stasera.» annunciò Manuel, senza preamboli.
David sospirò profondamente. «Credo che metà globo stia alla finestra ad aspettare una nostra risposta.» disse tamburellando le dita sulla scrivania.
Manuel annuì, comprendendo il peso della situazione. «Capisco, ma dobbiamo agire. La situazione sta peggiorando e non possiamo permetterci di restare in un limbo.»
David si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, osservando i palazzi attorno che rendevano il paesaggio ancora più grigio.

«Hai ragione.» disse infine. «Convoca una riunione con tutto il consiglio di governo. Dobbiamo discutere ogni possibile opzione.»
«Subito, David!» rispose Manuel, uscendo rapidamente dall’ufficio.

Rimasto solo, David continuò a fissare la pioggia. Sapeva che la decisione che avrebbe preso quel giorno avrebbe cambiato il destino del paese. Si preparò mentalmente per la riunione imminente, consapevole del peso della responsabilità che gravava sulle sue spalle. La sua intenzione era quella di essere un perno fondamentale per evitare la guerra, un mediatore diplomatico del conflitto fra i blocchi americano, asiatico ed europeo.
Mentre attendeva che la riunione si compisse, decise di andare a prendere il solito caffè al bar vicino Palazzo Chigi. Per David, il caffè andava bevuto al bar, un piccolo rituale che gli permetteva di schiarirsi le idee e di staccare mentalmente. Uscì dall’ufficio, accompagnato dalle sue guardie del corpo e si incamminò verso il bar sotto la pioggia battente.
Le strade di Roma erano deserte, il cielo grigio e cupo rifletteva l’umore del primo ministro. Le gocce di pioggia scivolavano lungo il suo impermeabile, mentre camminava a passo deciso. Le guardie del corpo lo seguivano da vicino, sempre vigili.
Arrivato al bar, David si fermò un attimo sotto l’insegna luminosa, osservando l’interno accogliente del locale. Il barista, un uomo di mezza età con un sorriso caloroso, lo salutò con un cenno del capo. David entrò e si avvicinò al bancone, ordinando il suo solito caffè.
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Mentre attendeva fuori accedendosi una sigaretta, il suono secco di alcuni spari ruppe il silenzio. David sentì un dolore acuto al fianco e cadde a terra. Le guardie del corpo si mossero rapidamente, cercando di capire la direzione dei colpi, ma era tutto confuso. La pioggia, il caos e il panico rendevano difficile individuare l’attentatore.
David giaceva a terra, il sangue che si mescolava con l’acqua piovana. Le guardie del corpo cercavano di proteggerlo, ma sapevano che da lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno.

Il tentativo di assassinio aveva gettato un’ombra oscura su quella giornata già carica di tensione.
Il barista si precipitò verso David, cercando di aiutarlo. «Signor primo ministro, stia calmo, stiamo chiamando i soccorsi.» disse con voce tremante.
David, con il fiato corto e il dolore che pulsava nel fianco, cercò di mantenere la calma. «Il ministro… avvisa il ministro Lantieri… ferma tutto» riuscì a dire con un filo di voce.
Le guardie del corpo formarono un cerchio intorno a David, cercando di proteggerlo da ulteriori attacchi. La situazione era critica e ogni singolo secondo faceva la differenza. Le sirene delle ambulanze e delle forze dell’ordine si avvicinavano, mentre la pioggia continuava a cadere incessantemente, lavando via il sangue e il caos di quel momento drammatico.

Francesca sedeva sul divano del soggiorno, con lo sguardo fisso sul televisore. I notiziari trasmettevano continuamente aggiornamenti sull’attentato al primo ministro, ma le informazioni erano frammentarie e confuse. La preoccupazione era tangibile nell’aria.
Francesca, una donna di straordinaria bellezza, aveva i capelli castani tagliati a caschetto che incorniciavano il suo viso delicato. I suoi occhi marroni, grandi e profondi, riflettevano l’ansia che cercava di nascondere. Indossava un elegante tailleur grigio, che contrastava con la sua pelle chiara.
Sofia, la nipote di David, era seduta accanto a Francesca. Ascoltava la musica tramite auricolari, nello specifico un rapper romano, noto per il suo stile conscious hip hop e per indossare un passamontagna che simboleggiava “l’idea che sotto non ci fosse un volto o un nome, ma solo un messaggio dalle parole taglienti”. La musica era il solo modo per mantenere la calma in quel momento. I suoi occhi marroni da cerbiatto erano pieni di ansia. A soli 14 anni, dimostrava una maturità sorprendente. Aveva lunghi capelli castani che le cadevano sulle spalle e indossava una semplice maglietta con un paio di jeans. Aveva sempre ammirato lo zio per la sua dedizione e il suo impegno verso il paese e ora la paura di perderlo la paralizzava. Fu proprio David ad instillarle questa passione per i testi ricercati e complessi, non solo in ambito musicale.
Francesca cercava di mantenere la compostezza, ma il suo cuore batteva forte. La notizia dell’attentato l’aveva colpita come un pugno nello stomaco. Non potevano recarsi all’ospedale, dove David era stato portato d’urgenza e attendevano l’arrivo della protezione per potersi muovere in sicurezza. L’incertezza sullo stato di salute di David era insopportabile.
«Zia Francesca, pensi che zio David starà bene?» chiese Sofia con voce tremante.
Francesca si girò verso di lei, cercando di offrire un sorriso rassicurante. «Sì, Sofia. David è forte, e i medici faranno tutto il possibile per salvarlo. Dobbiamo avere fiducia.»
Le parole di Francesca erano un tentativo di confortare Sofia, ma anche lei aveva bisogno di crederci. La paura di perdere l’uomo che amava la tormentava e il suono delle gocce di pioggia che picchiettavano sul vetro delle finestre non faceva altro che amplificare la sua angoscia.
Sofia rimase seduta, stringendo il cuscino del divano con forza. Le sue mani erano sudate e tremanti. Ogni volta che il notiziario cambiava immagine, il suo cuore saltava un battito. Aveva il timore che da un momento all’altro sarebbe apparsa l’ultima ora, annunciando la morte dello zio. In Italia certe notizie di dominio pubblico erano solite essere date prima ai mass media e poi alle famiglie dei coinvolti.
Sul televisore continuavano a trasmettere aggiornamenti. «Secondo le prime indiscrezioni, l’attentato al quarantatreenne primo ministro Marin potrebbe essere stato orchestrato da un gruppo estremista. Le autorità stanno indagando e non escludono nessuna pista.» diceva il giornalista con tono grave. «Al momento, non ci sono ulteriori dettagli sullo stato di salute del primo ministro, ma fonti ospedaliere parlano di una situazione critica.»
«Credi che sia stata opera di un fanatico o c’è qualcosa di più grande dietro?» chiese Sofia secca.
Francesca tornò a sedersi accanto a lei, prendendole le mani.
«Non saprei, Sofia. A volte le persone fanno cose terribili per motivi che non possiamo capire.» prese un attimo di pausa «Ora dobbiamo solo sperare che lo zio si svegli e poi ci saranno già persone esperte alla ricerca degli attentatori.»
Il sospetto di Francesca era chiaramente che il piano omicida fosse stato orchestrato dall’alto, non da un semplice individuo pazzo, ma da un team ben organizzato, talmente ben organizzato da non lasciare alcuna traccia, facendo brancolare le forze dell’ordine nel buio totale.

Negli ultimi anni, le tensioni nel mondo erano aumentate vertiginosamente.

Nel 2026, un incidente nel Mar Cinese Meridionale aveva visto una nave da guerra americana scontrarsi con una fregata cinese, causando un’escalation diplomatica senza precedenti. Le sanzioni economiche reciproche, già in vigore dall’anno precedente con la presidenza Trump, paralizzarono definitivamente il commercio globale, portando a una crisi economica che aveva oppresso duramente le popolazioni di tutto il mondo.

Nel 2027, un attacco informatico su larga scala aveva colpito le infrastrutture energetiche europee, lasciando milioni di persone senza elettricità per settimane. Le indagini puntarono il dito verso hacker russi, ma Mosca negò ogni coinvolgimento, accusando invece l’Europa di orchestrare un complotto per destabilizzare la regione. I rapporti tra questi due blocchi non vennero mai recuperati, nonostante la fine della Guerra in Ucraina, iniziata nel 2022 e conclusa a metà 2026 con l’annessione di alcune aree prima ucraine in territorio russo.

Nel 2028, un satellite spia americano fu abbattuto da un missile cinese, provocando una risposta militare immediata da parte degli Stati Uniti. Le esercitazioni militari congiunte tra USA e Europa si erano intensificate, mentre la Cina aveva rafforzato le sue alleanze con la Russia e altri paesi asiatici, fino all’invasione dell’isola di Taiwan nel Dicembre dello stesso anno.

Nel 2029, un attentato terroristico a Bruxelles scosse l’Europa. Le indagini rivelarono legami con gruppi estremisti arabi finanziati da potenze straniere, aumentando ulteriormente la paranoia e la sfiducia tra i blocchi. Le città erano diventate fortezze, con eserciti e droni di sorveglianza che pattugliavano le strade, mentre i cittadini vivevano nella paura costante di un conflitto imminente.

I dissapori e i conflitti fra popolazioni storicamente rivali aumentarono in maniera esponenziale nel corso degli anni: nella regione del Kashmir indiani e pakistani continuavano a creare guerriglie urbane tra loro e sul confine tra Corea del Nord e del Sud le due fazioni intensificavano le esercitazioni, lanciando di tanto in tanto qualche provocazione.

Nel 2030 il mondo era sull’orlo del baratro. Le diplomazie erano in stallo e ogni mossa veniva vista come una provocazione. Le esercitazioni militari si trasformarono in scontri reali, la leva obbligatoria fu reintrodotta in quasi tutti i Paesi e la propaganda alimentava odio tra le nazioni. La paura di una guerra totale era palpabile e l’umanità si trovava a un bivio: trovare un modo per risolvere pacificamente le tensioni o affrontare le devastanti conseguenze di un conflitto globale.

Il mondo globalizzato conosciuto fino al 2020 era scomparso quasi del tutto, soppiantato da un pianeta diviso in blocchi: le relazioni commerciali erano praticamente inesistenti e ognuno contava , erroneamente, sulla propria produzione interna, dedita ormai prettamente all’ambito bellico e alimentare.

Ecco quindi la fatidica decisione che David doveva prendere e che la NATO attendeva come il pane: l’Italia era l’unica nazione che bloccava la guerra totale tra Occidente e Oriente, non concedendo il via libera a un attacco militare su larga scala da parte degli stessi membri NATO.

La protezione era finalmente arrivata e un convoglio di auto nere attendeva fuori dalla porta. Francesca si infilò al volo un impermeabile scuro e prese un ombrello, mentre Sofia si avvolse in una giacca pesante. Le guardie del corpo le scortarono rapidamente verso l’auto, cercando di proteggerle dalla pioggia battente.

Il paesaggio di Roma era avvolto in una coltre grigia. Le strade, solitamente animate, erano deserte e silenziose, con solo il rumore della pioggia a riempire l’aria. Gli edifici storici della città sembravano quasi spettrali sotto il cielo plumbeo. Francesca osservava fuori dal finestrino, cercando di calmare i suoi pensieri. Sofia, seduta accanto a lei, stringeva le mani nervosamente, il viso pallido e gli occhi pieni di preoccupazione.

Mentre il convoglio si avvicinava all’ospedale, la tensione aumentava. Le sirene delle auto della polizia e delle ambulanze si mescolavano con il rumore battente della pioggia, creando un’atmosfera surreale. L’ospedale era circondato da giornalisti e fotografi, pronti a catturare qualsiasi immagine o dichiarazione, come sciacalli. Le luci dei flash illuminavano la scena, rendendo l’arrivo ancora più caotico.

Le auto si fermarono davanti all’ingresso principale dell’ospedale e le guardie del corpo si mossero rapidamente per creare un corridoio sicuro per Francesca e Sofia. I giornalisti si accalcarono, gridando domande e cercando di ottenere uno scatto esclusivo. «Signora Russo, come sta il primo ministro? Avete notizie?» urlavano, mentre i flash continuavano a lampeggiare. Non erano sposati. Non per una particolare avversione nei confronti del vincolo, ma perché non lo ritenevano una cosa prioritaria.

Francesca tenne stretta la mano di Sofia e cercò di mantenere la calma.

«Non abbiamo dichiarazioni da fare in questo momento.» disse con voce ferma, cercando di farsi strada tra la folla. Le guardie del corpo le proteggevano, spingendo indietro i giornalisti e cercando di mantenere l’ordine.

Finalmente, riuscirono a entrare nell’ospedale, lasciandosi alle spalle il caos esterno. L’interno dell’edificio era un contrasto netto con l’esterno: silenzioso, ordinato e illuminato da luci fluorescenti. Francesca e Sofia furono accolte da un medico che le guidò rapidamente verso la sala d’attesa.

«Il primo ministro è ancora in sala operatoria.» disse il medico con tono professionale. Stiamo facendo tutto il possibile per stabilizzare le sue condizioni. Vi prego di attendere qui, vi terremo aggiornate.» indicando due piccole poltrone.

Francesca annuì, cercando di non crollare sfinita dall’ansia. Sofia si sedette accanto a lei, il viso ancora pallido. «Zia, pensi che zio David ce la farà?» Chiese con voce tremante.

«Sì, Sofia. Dobbiamo avere fiducia nei medici. Lo zio David è forte, e farà di tutto per tornare da noi.» Rispose Francesca, stringendo la mano della nipote.

Le due donne rimasero sedute in silenzio, aspettando notizie, mentre la pioggia continuava a cadere fuori, lavando via il caos e l’angoscia di quella giornata drammatica.

Le pareti erano dipinte di un bianco sterile, interrotto solo da occasionali poster informativi e segnaletica. L’aria era impregnata dell’odore di disinfettante, un misto di pulizia e medicinali.

Il via vai degli operatori sanitari era incessante. Medici e infermieri si muovevano rapidamente nei corridoi, indossando camici bianchi e mascherine. Alcuni portavano cartelle cliniche, altri spingevano letti e carrelli con attrezzature mediche. Le loro espressioni erano concentrate e professionali, riflettendo la gravità delle situazioni che affrontavano ogni giorno.

La sala d’attesa era un microcosmo di emozioni. Gente comune, pazienti e familiari si trovavano lì, ognuno con la propria storia e le proprie preoccupazioni. Alcuni sedevano in silenzio, con lo sguardo fisso sul pavimento, mentre altri bisbigliavano, cercando conforto nelle parole dei propri interlocutori. Un bambino con un braccio ingessato giocava con un piccolo giocattolo, mentre sua madre lo osservava con occhi stanchi, ma amorevoli.

Francesca e Sofia erano sedute in un angolo della sala d’attesa, cercando di mantenere la calma. Francesca osservava il via vai degli operatori sanitari, cercando di trovare un senso di sicurezza nella loro professionalità.

Un’infermiera passò accanto a loro, portando un vassoio con medicinali. Il suo volto era segnato dalla stanchezza, ma i suoi movimenti erano precisi e sicuri. «Scusi, signora, posso offrirle qualcosa? Un caffè, dell’acqua?» Chiese con gentilezza.

Francesca declinò l’offerta gentilmente. Il pugno allo stomaco si faceva via via più opprimente.

Nella sala d’attesa, c’erano anche altri pazienti: un anziano con un respiratore seduto su una sedia a rotelle, accompagnato da una donna, forse la figlia; una giovane ragazza con una fasciatura alla testa, che cercava di leggere un libro per distrarsi; un uomo con una gamba ingessata, che parlava al telefono con voce preoccupata. Ogni persona in quella sala aveva una storia, un motivo per essere lì. La loro presenza creava un senso di comunità, un legame invisibile tra sconosciuti che condividevano la stessa esperienza di attesa, speranza, gioia e dolore. A questo pensava Sofia, osservando quel piccolo mondo racchiuso fra quattro mura e cercando di trovare conforto nella routine quotidiana dell’ospedale. Ogni tanto, un medico passava e dava loro un aggiornamento sulla situazione di David. Dentro l’ospedale, la speranza e la determinazione erano palpabili.

Improvvisamente, la porta della sala operatoria si aprì e ne uscì il primario.

Era un uomo di mezza età, alto e robusto, con spalle larghe e una postura eretta che trasmetteva autorità e sicurezza. I suoi capelli grigi erano tagliati corti, e portava occhiali rettangolari che gli conferivano un’aria intellettuale. Il viso era segnato da rughe profonde, testimonianza di anni di esperienza e di notti insonni passate a salvare vite. Indossava un camice bianco impeccabile, con una targhetta che riportava il suo nome.

Con passo deciso, il primario si avvicinò a Francesca e Sofia. Le sue mani erano ancora coperte dai guanti chirurgici e il suo sguardo era serio e concentrato. Francesca si alzò immediatamente, il cuore che batteva forte nel petto. Sofia la seguì, stringendo la mano della zia.

«Signora, piccola.» esordì il primario con voce calma e professionale. «Il primo ministro è stato operato con successo, ma le sue condizioni sono ancora critiche. Abbiamo dovuto indurlo in coma farmacologico per stabilizzare la situazione e permettere al suo corpo di recuperare.»

Francesca lo interruppe. «Cosa significa, dottore? David è fuori pericolo?»

Il primario scosse leggermente la testa. «Non possiamo ancora dire che sia fuori pericolo. Il coma farmacologico è una misura temporanea per evitare ulteriori complicazioni. Dobbiamo monitorare attentamente le sue condizioni nelle prossime ore. È una situazione delicata, ma stiamo facendo tutto il possibile.»

Il primario, vedendo il volto di Sofia cupo, si inginocchiò davanti a lei, cercando di offrire conforto. «Piccola, tuo zio è un uomo forte. Stiamo facendo tutto il possibile per aiutarlo a guarire. Dobbiamo avere pazienza e speranza.»

Sofia lo fissò dritto negli occhi e con voce ferma esclamò: «Lo so!» Poi continuò «Mio zio tornerà da me, ne sono certa!» E dopo tante lacrime, finalmente un sorriso si stampò sul suo viso esile.

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Damiano Profumo
Mi chiamo Damiano Profumo, ho 32 anni, vivo e sono nato in provincia di Brescia. Lavoro nella supply chain in un’azienda metalmeccanica, ma ho avuto la fortuna di viaggiare per lavoro e confrontarmi con culture diverse, esperienze che hanno arricchito la mia visione. Fin da giovane ho coltivato una passione per le materie umanistiche, in particolare per la storia, la filosofia e la letteratura.
Il “Sigillo di Emet: Fuoco e Luce” è il mio primo romanzo e si proietta come il primo di una trilogia che esplora grandi temi dell’esistenza.
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