ANTEPRIMA NON EDITATA
Capitolo I
Era una di quelle mattine tranquille. Il sole filtrava attraverso le tende, diffondendo una luce dorata e calda nella stanza. Philip Monroe si stirò lentamente, mentre il pavimento scricchiolava sotto i suoi piedi nudi. La sua vecchia vestaglia di lana, morbida come un amico di lunga data, gli scivolava addosso mentre cercava le ciabatte. Ogni movimento era accompagnato dal leggero brontolio delle sue giunture, un promemoria del tempo passato.
In cucina, il profumo del caffè lo accolse prima ancora che vedesse la tazza fumante sul tavolo, accanto al giornale e alla sua fedele pipa. Un sorriso gli illuminò il volto: qualcuno, forse Amy, aveva pensato a lui. Si sedette, inspirando profondamente l’aroma del tabacco mentre sfogliava il giornale.
Il ticchettio delle unghie di Ugo sul pavimento lo distolse dai suoi pensieri. Guardò verso la porta e vide il piccolo maltese seduto lì, con la coda che si agitava freneticamente. Gli occhi neri e rotondi di Ugo erano pieni di aspettativa.
“Ah, eccoti qui, furfante,” mormorò Philip con un sorriso, piegando il giornale. “Hai già fretta di uscire, eh?”
Finì l’ultimo sorso di caffè, si alzò lentamente, prese la pipa e si diresse verso la porta. “Andiamo allora, è ora della tua passeggiata, vecchio amico.”
Indossò il cappotto e il cappello con movimenti misurati. Ugo, come sempre eccitato, balzò fuori appena la porta si aprì, una piccola palla di pelo nera inarrestabile.
Mentre scendeva le scale, Philip udì il clic della porta accanto che si apriva, seguito dalla voce musicale di una donna. “Ugo, aspetta!”
Arrivato agli ultimi gradini, vide Margo, la giovane vicina, che lo osservava con un misto di preoccupazione e affetto mentre Ugo sfrecciava verso il giardino. Con la sua figura minuta e aggraziata, Margo sembrava immune al freddo, vestita in abiti leggeri e colorati che riflettevano la sua vivace personalità. I suoi capelli neri, raccolti in una coda morbida, lasciavano riccioli ribelli incorniciare il suo viso delicato.
I suoi occhi color ambra catturavano ogni dettaglio, vibrando di intensità. Le lunghe ciglia scure esaltavano l’espressività del suo sguardo, capace di passare in un attimo da preoccupato a gioioso. Il rossetto rosso corallo metteva in risalto le sue labbra piene, aggiungendo un tocco di colore al suo volto etereo.
Quando vide Philip, Margo gli rivolse un sorriso caldo, rivelando una fila di denti bianchi perfetti. “Buongiorno, signor Philip. Non sono riuscita a fermare Ugo. È scappato come un fulmine appena ho aperto la porta.”
La sua voce era dolce, con una leggera inflessione mediterranea che tradiva le sue origini.
“Non si preoccupi, signora Wilson. Fa sempre così, solo che oggi è stato fortunato,” rispose Philip con un sorriso indulgente. Chiamò Ugo, che tornò scodinzolando, e gli mise il collare. “Buona giornata,” aggiunse con un cenno cortese.
Margo ricambiò con un sorriso radioso e rientrò nel suo appartamento chiudendo la porta decorata con ghirlande di fiori freschi, un segno della sua passione per il giardinaggio.
Era una presenza luminosa nel quartiere, Margo. Sotto la sua apparente fragilità, c’era una forza interiore che la rendeva capace di affrontare qualsiasi sfida. Illustrava libri per bambini e spesso la si poteva vedere nel suo giardino, seduta su una panca di legno, a disegnare con tratti leggeri e precisi, catturando la bellezza della natura.
Philip Monroe era stato un rinomato naturalista, zoologo e oceanografo, famoso per le sue avventure in terre esotiche come l’India e l’Africa, dove aveva scoperto nuove specie e contribuito alla ricerca scientifica. La sua vita era stata un susseguirsi di esplorazioni oltre i confini del conosciuto, fino a quando la morte di sua moglie lo aveva gettato in una profonda malinconia.
Dopo la sua perdita, Philip si era ritirato dal mondo, chiudendosi in se stesso e abbandonando quella vita che un tempo lo aveva riempito di entusiasmo. Solo l’amore della figlia Amy era riuscito a tenerlo ancorato alla realtà, ma neppure lei poteva colmare il vuoto che si era creato.
Amy, vedendo suo padre sprofondare ogni giorno di più, prese una decisione: gli regalò Ugo, un piccolo maltese bisognoso di affetto. Sapeva che suo padre non avrebbe mai trascurato un animale in difficoltà. E così fu.
Giorno dopo giorno, Philip si prese cura di Ugo, all’inizio con gesti meccanici, quasi distratti, ma con il tempo il piccolo cane riuscì a spezzare la corazza di tristezza che avvolgeva il cuore dell’uomo. Lentamente, il semplice atto di prendersi cura di quella creatura riaccese in lui una scintilla. Ugo divenne una presenza costante e rassicurante, una compagnia silenziosa ma fedele, e a poco a poco, Philip cominciò a ritrovare il suo equilibrio.
Non fu un percorso rapido né facile, ma la compagnia di Ugo gli offrì un nuovo scopo, una ragione per alzarsi ogni mattina. E mentre il tempo passava, Philip si allontanava sempre di più dall’oscurità della depressione, trovando nella relazione con il suo cane quella pace che credeva di aver perso per sempre.
Passeggiando con Ugo per la città, il signor Monroe si lasciava avvolgere dall’inizio della primavera. Gli alberi si tingevano di verde e un vento leggero accarezzava le guance, riempiendo l’aria del profumo dei fiori appena sbocciati. Il dolce cinguettio degli uccelli accompagnava il suo cammino mentre, perso nei pensieri, continuava a passeggiare senza una meta precisa. Fu solo quando si trovò di fronte all’imponente palazzo del centro di ricerca scientifica che si fermò, rapito dalla vista di due farfalle bianche che danzavano nell’aria, seguendo un percorso irregolare ma aggraziato.
Erano passati due anni dall’ultima volta che si era allontanato da casa, un periodo di isolamento in cui aveva evitato di guardare in faccia il mondo. Quella mattina, di fronte al centro di ricerca, sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Una sensazione di nostalgia lo prese, come un sasso che pesava sul petto, rendendogli difficile respirare. Le sue avventure, le scoperte e, soprattutto, i ricordi di sua moglie riaffiorarono, sommergendolo di emozioni. Si commosse, sapendo che in una di quelle avventure aveva conosciuto l’amore della sua vita.
Appena laureato, un giovane di ventiquattro anni con lo spirito pieno di grinta e sete di scoperta, Philip aveva deciso di partire per l’Africa. Era il momento di trasformare le pagine dei libri che aveva tanto amato in esperienze reali. Preparò tutto il necessario e si imbarcò su una nave diretta a Zanzibar. Ricordava ancora il porto di Londra, il trambusto e l’emozione di partire per il suo primo grande viaggio. I suoi genitori non erano venuti a salutarlo, contrari alla sua scelta, ma Philip sapeva che quella decisione lo avrebbe definito.
La nave era enorme, affollata di gente di ogni tipo, e Philip si ritirò subito nella sua cabina, stremato dall’emozione. Si addormentò per un paio d’ore e, al risveglio, uscì sul ponte. Il tramonto dipingeva il cielo di colori infuocati, riflessi sulle onde del mare che sembravano vibrare sotto quel cielo, un’immagine che gli si impresse nell’anima.
Decise di scaldarsi con un drink al bar della nave, ma trovò tutti i tavoli occupati, la gente ballava e cantava. Notò un uomo di mezza età, seduto da solo a leggere un giornale. Con un po’ di esitazione, si avvicinò e chiese se poteva unirsi a lui. Il signore lo accolse con un sorriso caloroso e i due iniziarono a conversare animatamente.
Orson, l’uomo di mezza età, aveva i capelli grigi, ciocche disordinate che cadevano sulla fronte solcata da rughe profonde come fessure su una mappa antica. Il suo viso raccontava storie di avventure vissute, e i suoi occhi, marroni e intensi, brillavano di saggezza. Indossava abiti semplici, ma eleganti, e il foulard che portava al collo sembrava parte di un’immagine costruita con cura nel tempo. Al suo fianco, un taccuino logoro, dove annotava pensieri e riflessioni.
“Piacere di conoscerla, sono Philip,” disse il giovane, tendendo la mano.
“Orson,” rispose il signore stringendogli la mano con calore. “Sei diretto a Zanzibar anche tu?”
“Sì, è il mio primo viaggio così lontano. Sono emozionato,” rispose Philip, i suoi occhi brillavano di entusiasmo.
Orson annuì, un sorriso malinconico attraversò il suo volto. “Zanzibar è un posto speciale. Ho trascorso anni lì. Ti resterà nel cuore. Cosa ti porta laggiù?”
“Studierò gli animali marini e la natura. È un sogno che coltivo da quando ero bambino,” disse Philip, lasciando trasparire tutta la sua passione.
“Un’ottima scelta,” disse Orson. “L’Africa ti cambierà. L’odore dell’aria è diverso, come se ogni respiro fosse una nuova scoperta.”
Curioso, Philip chiese: “Qual è stata la tua esperienza più memorabile?”
Orson sorrise, con un lampo di nostalgia nei suoi occhi. “Ci sono tante storie, ma una notte, durante una tempesta in un piccolo villaggio costiero, cercavo di documentare una rara specie di delfini. I venti ululavano e sembrava che il mare volesse inghiottirci. Ma la mattina dopo, vedere quei delfini saltare tra le onde ancora agitate… fu uno spettacolo che non dimenticherò mai.”
Philip ascoltava affascinato, immaginando la scena. “Spero di vivere esperienze simili. Voglio sentirmi vivo, ogni giorno una scoperta.”
Orson lo guardò con serietà. “Lo sarà, ma non tutte le avventure sono come te le immagini. Ci saranno sfide, momenti difficili, ma sono quelli che rendono il viaggio davvero degno di essere vissuto.”
Il resto del viaggio passò velocemente, i due trascorsero il tempo insieme a raccontarsi storie. Orson, con la sua esperienza, divenne una guida preziosa per Philip. Arrivati a Zanzibar, Orson gli propose di unirsi a lui e alla sua famiglia. “Almeno avrai un tetto per stanotte,” disse, sorridendo.
Scesero dalla nave e salirono su una carrozza che li avrebbe portati al rifugio. Durante il tragitto, la carrozza si fermò bruscamente. Una famiglia di leoni attraversava la strada: il maestoso padre al centro, i cuccioli che giocavano tra le zampe della madre attenta. “Sono magnifici, non trovi?” chiese Orson.
“Sì,” rispose Philip, incantato. “Vederli dal vivo è incredibile.”
Orson sorrise. “Benvenuto in Africa, Philip. Qui ogni giorno è un’avventura.”
Dopo un lungo viaggio, finalmente arrivarono alla base. Diverse persone li attendevano, ma due figure spiccavano particolarmente. La prima era una ragazza sui vent’anni, la cui bellezza catturava subito l’attenzione: lunghi capelli castani e ricci le scendevano lungo la schiena come una cascata. La sua pelle dorata dal sole rivelava ancora tracce del bianco latteo originale, riflettendo la luce come se fosse fatta di cristallo. I suoi occhi verdi e profondi, incorniciati da ciglia folte, aggiungevano intensità al suo sguardo. Indossava un abito leggero e fluente, che sembrava danzare a ogni suo movimento, conferendole un’aura eterea.
Accanto a lei c’era una donna sui quaranta, la cui figura emanava autorità e sicurezza. I capelli biondi scuri, con riflessi dorati, le ricadevano sulle spalle. Indossava un elegante abito bianco, che accentuava la sua figura slanciata e la postura impeccabile. Gli occhi azzurri erano fermi e penetranti, ma al contempo trasmettevano una grande dolcezza. L’emozione e la felicità nel vedere il signor Orson si leggevano sui volti di entrambe.
Appena scesi dalla carrozza, la ragazza corse verso Orson, saltandogli in braccio e gridando: “Quanto mi sei mancato, papà!” Dopo averla stretta a sé, Orson si avvicinò alla moglie, baciandola e abbracciandola forte.
Entrando nella casa, Elizabeth, la figlia del signor Orson, non smise un attimo di osservare Philip, quasi studiandolo. Dopo i saluti, Orson presentò Philip, spiegando il motivo della sua presenza. Philip si sentì a disagio, soprattutto quando Elizabeth rise e chiese al padre: “Ma come si fa a partire senza avere un piano?”
Philip arrossì e tentò di spiegarsi, ma Elizabeth non lo ascoltava davvero, lanciandogli solo qualche sguardo occasionale. La madre, osservando la scena dall’abbraccio del marito, sorrise, intuendo che sua figlia nutriva un certo interesse per Philip.
Durante il soggiorno alla base, Elizabeth e Philip sembravano sempre in disaccordo, battibeccavano su ogni cosa. Eppure, non riuscivano a stare lontani l’uno dall’altra, trovando ogni occasione per passare del tempo insieme, tra sfide e scherzi che divertivano chiunque li osservasse. La loro attrazione era evidente, ma nessuno dei due faceva il primo passo.
Un giorno, la madre di Elizabeth la prese da parte e le chiese: “Ti piace Philip, vero?”
Elizabeth arrossì e guardò sua madre, imbarazzata. La madre, sorridendo, disse: “Non c’è bisogno di rispondere, si vede da chilometri. Ma sappi che lui tornerà presto a Londra, e se non fai tu il primo passo, potresti pentirtene.”
Nei giorni seguenti, Elizabeth cercò di essere meno scontrosa e più aperta con Philip. Iniziarono a parlare di più, e le conversazioni che prima erano brevi e imbarazzate diventarono lunghe e profonde. Parlavano di tutto: sogni, paure, passioni. Philip scoprì che Elizabeth era molto più di quanto apparisse in superficie, una ragazza brillante e curiosa, capace di sorprenderlo.
Una sera, mentre il sole tramontava e il cielo si dipingeva di sfumature arancioni e rosa, decisero di passeggiare lungo il sentiero che costeggiava la base. Si fermarono su una collina, da cui potevano vedere l’intera base e il mare in lontananza.
“È davvero bello qui,” disse Philip, guardando l’orizzonte. “Mi mancherà quando tornerò a Londra.”
“Anche a noi mancherai,” rispose Elizabeth, fissando il mare. Poi, dopo un respiro profondo, aggiunse: “Sai, Philip, mi dispiace per come ti ho trattato all’inizio. Ero confusa e non sapevo come comportarmi.”
Philip sorrise, voltandosi verso di lei. “Capisco. Anche io ero nervoso. Ma sono contento di averti conosciuta meglio.”
Elizabeth lo guardò negli occhi, il cuore che batteva forte. “Anch’io, Philip. Sono felice che tu sia qui.”
Un silenzio pieno di possibilità non dette calò tra loro. Poi, senza pensarci troppo, Elizabeth fece un passo avanti e prese la mano di Philip. Lui la guardò sorpreso, ma il suo viso si illuminò in un sorriso.
Sotto il cielo del tramonto, con il mondo che sembrava fermarsi attorno a loro, capirono che qualcosa di speciale stava nascendo tra di loro.
Tornando dagli altri dopo un po’, la madre di Elizabeth notò l’espressione assorta della figlia e le chiese con un sorriso: “Tutto bene? Mi sembra che si siano schiuse delle farfalle nel tuo stomaco.” Elizabeth sorrise, ma non disse nulla, continuando a dedicarsi al suo lavoro.
Philip tornò a Londra con il cuore diviso tra la sua passione per la ricerca e il ricordo di Elizabeth. Nonostante i suoi sentimenti contrastanti, si immerse completamente nella carriera, concentrandosi sulle sue scoperte e sulle presentazioni scientifiche presso il prestigioso centro di ricerca guidato dal signor Coverty.
Il signor Coverty era il direttore del centro e una figura influente e rispettata nel mondo accademico. Uomo sulla sessantina, con capelli grigi ben curati e occhi penetranti, era noto per la sua autorità naturale, ma anche per la sua gentilezza e disponibilità verso i giovani ricercatori. Conosceva la famiglia di Philip da molti anni e, fin dai primi giorni di studio, era stato un mentore per lui, vedendo in lui un potenziale straordinario.
Una sera, durante una cena con la famiglia di Philip, il signor Coverty si unì alla conversazione e chiese: “Philip, conosci il figlio del Lord Wilbert? Se non sbaglio, eravate nello stesso anno di studi.”
Philip alzò le spalle, sorpreso. “Come si chiamava?”
“Benjamin Wilbert.”
“Sì, lo conosco. Ma non sapevo che fosse figlio di un Lord. Era molto umile.”
Il signor Coverty sorrise. “Beh, Lord Wilbert sta organizzando una spedizione in Oriente e ha affidato a Benjamin la guida del gruppo. Stanno cercando un biologo per la squadra e ho fatto il tuo nome.”
Philip abbassò lo sguardo per un momento, riflettendo, prima di rispondere: “La ringrazio molto, signor Coverty, ma devo rifiutare.”
“Ma come mai?” chiese il signor Coverty, sorpreso.
Philip, con calma, iniziò a raccontare di Elizabeth e di come il suo pensiero lo trattenesse. “Finché Elizabeth non tornerà a Londra, non posso partire.”
Il signor Coverty, pur deluso dal rifiuto, ascoltò attentamente e annuì con comprensione. “Capisco. Rispetto la tua decisione, Philip. Sono sicuro che troverai un modo per conciliare il tuo amore per Elizabeth con la tua passione per la scienza.”
Philip continuò a dedicarsi al lavoro, guadagnandosi rapidamente il rispetto dei colleghi. La sua determinazione lo portò a diventare una figura di spicco nel centro di ricerca, ma il pensiero di Elizabeth non lo abbandonava mai.
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