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Le Cronache di Fuoco e Sangue: Il Serpente e il Drago

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Consegna prevista Giugno 2026
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Tradimento. Vendetta. Destino.
Nel regno spezzato di Absalon, la principessa Astryd porta sulle spalle un’eredità che pretende sacrifici e sangue. Designata erede al trono in un mondo che non ha mai conosciuto una regina, si ritrova al centro di intrighi, cospirazioni e alleanze fragili come vetro, mentre l’ombra della guerra incombe sulle isole divise.
Il fuoco della vendetta la guida, ma la sua vera prova sarà scoprire se la forza risiede nel potere… o nel coraggio di fidarsi. Un enigmatico alleato, distante e spietato, incarna tutto ciò che lei disprezza: eppure, tra battaglie epiche, segreti sepolti e viaggi oltre i confini dell’ignoto, l’odio e la fiducia si intrecciano fino a confondersi.
Quando le fiamme della guerra si mescolano a quelle di sentimenti inattesi, perfino il cuore più ostinato può vacillare. E mentre i draghi custodiscono l’ultima speranza, Astryd dovrà scegliere se restare prigioniera del passato… o rischiare di abbracciare un futuro diverso.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro perché la scrittura per me non è solo passione, ma necessità: il mio modo di dare voce a emozioni che non riuscivo a esprimere. Nasce da emozioni profonde: la ricerca di identità, il peso delle aspettative e il desiderio di libertà. In Astryd ho riversato le mie stesse lotte: fragilità e forza, rabbia e resistenza. È un viaggio epico e intimo, dove affrontare i propri demoni diventa il primo passo per cambiare destino.

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO 1

Respirare.

Dovevo soltanto respirare.

«Date le circostanze attuali e l’impossibilità della Regina di generare ulteriori eredi, sarebbe il momento ideale, se il Re volesse nominare un successore.»

Feci un profondo respiro dal naso, mentre la mia mano si posò istintivamente sul petto, come se potesse placare i battiti frenetici del mio cuore. Nascosta nell’ombra, con la schiena premuta contro il freddo legno della porta, spostai leggermente il viso verso la piccola fessura che mi consentiva di intravedere ciò che stava accadendo nella Sala del Consiglio.

Di solito non mettevo il naso negli affari di mio padre. Spiarlo in quel modo mi sembrava terribilmente invadente, ma stavano parlando del futuro del Regno di Absalon, del mio futuro. Così rimasi immobile ad ascoltare, pregando gli Antichi Re di non essere scoperta e maledicendo il mio buon gusto per aver scelto il giorno sbagliato per indossare uno dei vestiti più appariscenti che possedevo. Una morbida veste di un rosso intenso, con cuciture e ricami in oro che adornavano la lunghezza dell’abito, l’orlo delle maniche che mi sfioravano i gomiti e una sottile cinta in oro legata con grazia intorno alla vita. Un capo concepito per catturare ogni sguardo, inequivocabilmente inadatto a chi desidera passare inosservato.

Dallo spiraglio non riuscivo a vedere la sala per intero, ma sapevo molto bene chi faceva parte del Consiglio ristretto, perciò mi concentrai sulle loro voci.

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«La successione è già evidente: secondo la legge, la nomina spetta a Rentus.» La voce, ferma e intrisa di una certezza gelida, apparteneva a Lord Kealius, marito di zia Calaenne. Un uomo dai capelli castani spruzzati di cenere e un volto severo, scolpito dall’inflessibilità delle sue opinioni.

«No! Mio fratello sarebbe un secondo Hamond. È troppo impulsivo e divorato dall’ambizione. Gli interessa solo il potere, e nel giro di pochi mesi trascinerebbe il regno in una nuova guerra contro le altre tre Isole. Non lo permetterò. Non ora che siamo così vicini alla firma di un trattato di pace.»

Fu mio padre a parlare, Re Jaec II Dràkon, solenne e autoritario al centro della sala.

La stanza sembrava trattenere il respiro, quasi temesse spezzare la gravità del momento. Le fiamme tremolanti dei bracieri proiettavano ombre danzanti sulle pareti di pietra, come se persino il fuoco partecipasse al dibattito con un mormorio sommesso.

Tre secoli prima, al termine della Guerra dei Quattro Re, la terra stessa si spezzò sotto il peso delle ambizioni umane, dividendo i quattro popoli che ne facevano parte in altrettante Isole. Da allora ognuna di esse portava ancora le cicatrici delle vecchie faide mai del tutto sopite.

Mio padre aveva ereditato un regno non solo frammentato, ma anche consumato dall’odio e dalla sfiducia reciproca. Sin dal giorno della sua incoronazione, aveva intrapreso una missione che molti avevano definito impossibile: ricucire gli strappi di un passato lacerato. Aveva cercato di colmare le divergenze storiche e aveva aperto il dialogo per la costruzione di un futuro comune. Ogni scelta, ogni parola pronunciata, ogni trattativa portata avanti con instancabile determinazione era stata guidata da una visione di pace e di equilibrio.

«E chi altro avrebbe il diritto di reclamare il trono?» domandò Kealius, con il tono tagliente di chi riteneva la risposta ovvia.

«Chiaramente la primogenita del Re.» La voce che si intromise, leggermente velata dall’età ma ancora ferma, apparteneva a Lord Eston Davenport. Lo riconobbi subito. Primo Cavaliere del Re, aveva servito mio padre per anni come consigliere più fidato. Un uomo sempre corretto e giusto, la cui gentilezza si rifletteva persino nel modo in cui pronunciò il mio nome: «Astryd.»

Io?

Un tremito mi percorse il corpo, e il petto mi si strinse fino a farmi male.

«Una ragazzina?» La parola, sputata come un’eresia, venne seguita da un risolino secco e freddo. «Non c’è mai stata alcuna Regina sul trono di Absalon.» La figura che avanzò nel cerchio di luce tremolante apparteneva a Lord Adres, marito di zia Heria. I suoi capelli, neri come il piumaggio di un corvo, parevano riflettere la gelida oscurità del suo carattere. Gli occhi freddi guizzavano da un volto affilato, e la sua voce aspra sembrava graffiare l’aria, infrangendo l’atmosfera che si era creata.

«Unicamente per tradizione e precedenti, Lord Kealius.» Osservò pacatamente Lord Eston.

«Se pace ed equilibrio sono davvero ciò che preoccupa il nostro Re,» continuò Lord Adres «allora sconvolgere trecento anni di tradizioni nominando una donna potrebbe rivelarsi un errore fatale. Non si potrebbe tentare un’ultima volta?»

«Quello che tu credi, Lord Adres, non è rilevante» la voce di mio padre risuonò nella sala come un tuono, gelida e inappellabile. «Io sono il Re e non metterò a repentaglio la vita di mia moglie per assecondare delle inutili tradizioni. Astryd è la mia erede. Alla mia morte il mio trono e il mio titolo passeranno a lei. Così è deciso.»

Il cuore mi si fermò per un istante, il respiro trattenuto come se il tempo stesso si fosse bloccato. Non mi concessi di ascoltare oltre. Arretrai d’istinto, i piedi che si muovevano senza un pensiero consapevole, fino a quando persi l’equilibrio e caddi all’indietro battendo il sedere a terra. Trattenni a stento un’imprecazione. Mi rialzai in fretta, tolsi la polvere dal vestito con un gesto nervoso e,  ancora frastornata da ciò che avevo appena origliato, a passo rapido mi precipitai verso i corridoi del castello.

Spalancai la porta della biblioteca reale e, con un colpo secco, la richiusi alle mie spalle. Mi appoggiai all’anta, lasciando che il freddo metallo smorzasse il calore febbrile che mi pulsava sotto pelle. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente tentando di calmare il tumulto che mi agitava e riportare l’equilibrio nei miei pensieri.

Non so per quanto rimasi lì, immobile. Man mano che i secondi – o forse i minuti – scorrevano, sentii la calma scivolare lentamente dentro di me e, quando fui nuovamente padrona di me stessa, riaprii gli occhi, trovando sollievo nell’atmosfera quieta e familiare di quel luogo.

La biblioteca reale si ergeva davanti a me, imponente nella sua austera maestosità.

Le scaffalature di legno scuro, intagliate con maestria, si snodavano in lunghe file ordinate, fino a perdersi nell’ombra ai margini della stanza. Ciascuna colma di volumi antichi, i cui dorsi consumati dal tempo raccontavano storie di epoche lontane.

Il pavimento di marmo lucido era spezzato qua e là da tappeti pregiati, ricamati con motivi intricati. Questi morbidi arazzi non solo attutivano i passi, ma aggiungevano un tocco di calore, invitando chiunque li percorresse a soffermarsi e ad esplorare le meraviglie racchiuse tra le pagine dei libri.

L’aria era satura del profumo familiare di carta antica e inchiostro sbiadito, un aroma che avvolgeva i sensi e sembrava trasportarmi in un luogo fuori dal tempo. Le luci tremolanti delle candele e delle lanterne proiettavano ombre danzanti sulle pareti e sui soffitti a volta, accentuando l’atmosfera avvolgente e quasi sacra della stanza.

Lentamente mi staccai dalla porta e mi incamminai nel cuore della biblioteca. La quiete di quel luogo mi avvolgeva come un mantello, e il rumore ovattato dei miei passi risuonava appena, un sussurro che perdeva tra gli scaffali.

Raggiunsi il mio posto abituale: una scrivania di legno lucido e una sedia imbottita, che accolse il mio corpo inquieto. Mi lasciai andare contro lo schienale, mentre la tensione che mi serrava le spalle cominciava a sciogliersi. Le mie mani, ancora lievemente tremanti, sfiorarono la copertina di uno dei tomi più antichi. Era un volume che conoscevo bene, le sue pagine ingiallite racchiudevano frammenti della storia del nostro mondo, una cronaca intessuta di gesta eroiche e di ombre mai del tutto dissipate. Con un gesto misurato lo aprii, e le lettere incise con cura iniziarono a parlarmi.

Il passato però sembrava prendere vita tra quelle righe, con toni più intensi e vivi di quanto ricordassi.

CAPITOLO 2

«Più di tre secoli or sono, Lirendor era un regno prospero, retto da quattro fazioni in perfetto equilibrio: Umani, Faunir, Elfi e Gobbart. Al cuore di questa terra vibrava una magia antica e benevola, sprigionata dal leggendario Globo dell’Equilibrio: una sfera che si ergeva al centro del regno come un faro immortale. La sua luce si propagava fino agli angoli più remoti, tessendo invisibili fili di stabilità e armonia tra i popoli. Eppure, dietro la sua maestosa apparenza, si celava un segreto più antico ancora, intessuto nel cuore stesso del Globo. Al suo interno dimoravano quattro gemme, ciascuna custode di un potere primigenio, sorgente inesauribile della magia che permeava ogni cosa.»

Sola, nell’intimità di quel luogo, sentivo l’eco della mia voce narrare la storia del Mondo Antico. Ogni parola sembrava scivolare nell’eco che si perdeva tra le ombre, intrecciandosi con il soffuso crepitio delle candele ormai prossime a spegnersi.

Il peso del volume ancora saldo tra le mani, mentre un lungo respiro mi gonfiava il petto. Era un respiro che tentava di ancorarmi, di trattenere il tumulto che mi ribolliva dentro. Eppure, il desiderio irrazionale di scagliarlo contro il muro mi divorava, un impulso così potente da farmi tremare le dita. Immaginai la scena: me stessa, travolta da un’esplosione di rabbia, che urlavo fino a sentire il vuoto nei polmoni, con il libro ridotto a un’arma improvvisata, mentre frammenti di pagine e oggetti volavano per la stanza come schegge impazzite. Quell’immagine – assurda e grottesca – mi strappò un sorriso fugace, intriso di un’ironia amara.

«I sovrani delle quattro fazioni si riunivano con solenne riverenza per stipulare trattative cruciali, al fine di mantenere equilibrio e pace.»

Soffocai uno sbadiglio e cercai di riportare l’attenzione sulla lettura. Ero rimasta chiusa nella biblioteca per gran parte della giornata, mentre riflettevo incessantemente su quanto avevo sentito quella mattina. Il sole, ormai invisibile, doveva aver già ceduto il passo al crepuscolo.

Mi stropicciai gli occhi, cercando sollievo dalla stanchezza che si era insinuata tra mente e corpo. Tornai a leggere, la mia voce che rompeva appena il silenzio: «Ma, come spesso accade nelle epoche dorate, l’armonia fu spezzata da una figura oscura. Re Hamond Redgar, sovrano del Regno degli Umani, si allontanò dal sentiero della lealtà e del rispetto. Guidato da un desiderio insaziabile di potere, tradì la fiducia dei suoi alleati e compì un gesto di tradimento senza precedenti: sottrasse una delle Gemme dei Re. Quella mossa audace ebbe conseguenze immediate e devastanti. La scintilla di discordia si trasformò in un incendio di guerra, che in breve tempo inghiottì ogni angolo del regno.»

Quelle parole mi fecero rabbrividire. Un’ombra di inquietudine mi attraversò come un sussurro freddo sotto la pelle, e la mia voce cominciò a vacillare. Il timbro si incrinò, e un nodo mi serrò la gola, soffocando per un attimo il filo della narrazione. Era un riflesso involontario, un’eco della turbolenza interiore che cercava di farsi strada fuori di me.

Mi fermai lasciando il libro aperto davanti a me e mi schiarii la gola con delicatezza.

Nel silenzio della stanza, le parole del racconto svanirono e lasciarono spazio a una marea di domande che mi inondarono la mente. La decisione di mio padre era stata un atto di saggezza o di follia? Sarei mai stata una buona regina? O avrei fatto la fine di Re Hamond, accecata dal potere e dal desiderio di dominio? In un regno dove il peso delle tradizioni ha sempre scandito il ritmo della storia, come avrebbe reagito il popolo all’idea di una donna sul trono?

Nessuna regina aveva mai regnato prima di me, e questa novità avrebbe agitato le fondamenta di abitudini secolari. Immaginavo già gli sguardi scrutatori e le voci sommerse che si sarebbero insinuate nei vicoli.

Strinsi le dita attorno alla rilegatura di pelle. Cercai di scacciare quel flusso di pensieri e ripresi a leggere «Dopo anni di scontri che avevano decimato intere città, ponendo fine a centinaia di migliaia di vite innocenti e lasciando isole e villaggi in rovina, il mondo si trovava sull’orlo del caos e dell’autodistruzione, quando, all’alba della Battaglia del-»

Un rumore improvviso mi fece sobbalzare. Distolsi lo sguardo dalle pagine e mi voltai verso la porta, che si stava aprendo lentamente, con un cigolio appena percettibile. Tra le fessure intravidi un volto familiare: Anastasia, mia sorella. I suoi occhi brillavano di un misto di curiosità e timido rammarico, come se fosse incerta se interrompermi o meno.

«Sapevo che ti avrei trovata qui» disse, la sua voce bassa e carezzevole, mentre chiudeva adagio la porta e si avvicinava. «Ti ho cercata alla Cupola, ma non c’eri. E l’unico altro posto in cui ti nascondi, quando non sei sul dorso di Cleth, è proprio qui.»

Aveva ragione. Lei mi conosceva  meglio di chiunque altro.

Quando non sferzavo i cieli insieme al mio drago, mi rintanavo qui a leggere.

Chiusi il libro, appoggiandolo sulle gambe, e accolsi la sua presenza con un sorriso complice, mentre si accomodava sulla scrivania lasciando i piedi a penzoloni, come solo una ragazzina di quattordici anni poteva fare. Era il ritratto stesso della grazia e della vitalità. I suoi capelli rosso fuoco erano raccolti con cura in una treccia elaborata e, la semplice veste color oro dalle maniche lunghe e svasate che indossava, stretta da una cinta simile alla mia, le conferiva un aspetto davvero regale.

Anastasia era la mia seconda sorella, più piccola di me di appena due anni, ma il nostro legame andava ben oltre la parentela. Lei era la mia confidente, il mio specchio, l’unica persona al mondo con cui potevo abbassare ogni difesa. Non era solo sangue che ci univa; era una connessione fatta di risate rubate, segreti sussurrati al buio e un numero infinito di piccole bricconate condivise. E se non fosse stato per i riflessi rossastri che attraversavano i miei capelli castani – un tratto che tradiva la nostra differenza – molti ci avrebbero scambiate per gemelle.

«Non so cosa sia successo» riprese, inclinando la testa di lato con un’espressione che alternava scherzo e preoccupazione. «Ma se resti un altro po’ chiusa qui dentro, finirai per trasformarti in un Gobbart delle Montagne. E, per quanto l’immagine di te con la pelle verde e i denti aguzzi sia divertente, non credo che potrei sopportare l’idea di doverti cacciare sulla loro Isola.»

Avrei potuto raccontarle tutto quello che avevo origliato quella mattina, sfogarmi con lei. Sapevo che sarebbe stata la mia roccia, il porto sicuro dove avrei potuto gettare l’ancora dei miei dubbi e delle paure.

Con lo sguardo fisso sul muro di libri che si ergeva davanti a me, aprii le labbra, pronta a parlare. Ma le parole si dissolsero prima ancora di prendere forma, lasciandomi in un silenzio esitante. Le richiusi, quasi con stizza, come se la mia stessa indecisione fosse un atto di debolezza.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Camilla Morandini
Ho trovato nei libri e nella scrittura il mio rifugio sicuro, un luogo senza confini né regole, dove tutto era possibile. Fin da bambina i mondi fantastici mi hanno offerto libertà e respiro, permettendomi di evadere dalla realtà e di vivere infinite vite tra le pagine. Scrivere, per me, non è solo un atto creativo, ma un modo per restituire al mondo quella stessa magia che mi ha fatta sentire accolta e libera.
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