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Le ore sottili

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Consegna prevista Luglio 2026
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Questo libro nasce dal desiderio di raccontare la fragilità e la forza che abitano il tempo della nostra vita. Non un tempo scandito solo dagli orologi, ma dalle memorie, dai ricordi, dagli affetti che ci attraversano e ci segnano.
La protagonista, Elena, vive un percorso che è insieme intimo e universale: dal peso dei ricordi d’infanzia alla scoperta dei cambiamenti del corpo e della città, fino al confronto con la solitudine, con l’amore perduto e con le scelte che danno senso all’esistenza. Il romanzo indaga il rapporto tra memoria, tempo e fragilità esistenziale. Attraverso una scrittura intimista e stratificata, segue il percorso di una protagonista che osserva il dissolversi delle certezze quotidiane, misurando la vita in ore che diventano “sottili: leggere come fili d’aria, ma anche taglienti, capaci di ferire o rivelare.
L’autore ha voluto dare voce a chi sente che il tempo non si può fermare, ma si può abitare.

Perché ho scritto questo libro?

Perchè ho voluto ispirarmi alle donne che mi hanno circondato nella mia vita, mia madre, mia moglie, mia figlia e per ultimo mia nipote, sono tutte identificabili nella protagonista del libro che in silenzio e con dignità vivono le le loro ore sottili

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prologo – L’orologio fermo

Il tempo in quella casa non scorreva come altrove. Ogni stanza respirava ricordi e memorie, come se le pareti e i mobili avessero trattenuto frammenti di vite passate, sospesi nel silenzio. L’orologio sul camino, antico e solenne, con la cassa di legno scuro e la lente leggermente appannata, non segnava più le ore. Le lancette erano ferme, immobili, bloccate in un momento indefinito, eppure Elena percepiva il loro silenzio come vivo, quasi palpabile. Non erano i ticchettii a scandire la vita, ma la consapevolezza che ogni istante, anche il più ordinario, possiede un valore unico, fragile e invisibile.

Seduta sulla poltrona accanto al camino, Elena osservava i raggi del sole filtrare dalle tende leggere e disegnare geometrie mutevoli sul pavimento di legno. Ogni mobile, ogni oggetto, custodiva una storia: il vaso di porcellana con crepe delicate sul bordo, le sedie consumate dal tempo, il tappeto dai colori sbiaditi, i libri dalle pagine ingiallite. Ogni oggetto sembrava avere un’anima, una memoria che parlava a chi sapeva ascoltare. Elena chiudeva gli occhi e lasciava che quei ricordi scorressero come un fiume lento ma incessante, come se ogni istante fosse un microcosmo da esplorare.

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Riviveva i pomeriggi d’infanzia, quando il profumo della lavanda essiccata entrava dai cassetti e si mescolava al calore del sole e al silenzio delle stanze. I giochi con le bambole di pezza cucite dalla nonna erano veri e propri mondi paralleli: principesse e cavalieri, viaggi su mari di seta, castelli di nuvole e ponti sospesi tra cielo e terra. Parlava alle bambole come fossero persone reali, confidando loro segreti che non avrebbe mai condiviso con gli adulti. Ogni tocco, ogni gesto, era carico di significato. L’orologio immobile sul camino scandiva silenziosamente il ritmo delle sue avventure.

Una volta, da bambina, aveva persino chiesto all’orologio: «Perché non parli più?», bisbigliando nella stanza deserta. E nel silenzio aveva immaginato una risposta: “Perché il tempo non ha bisogno di parole, vive nei tuoi occhi e nei tuoi ricordi”. Da allora, quel pensiero l’aveva accompagnata come un segreto, una piccola verità custodita solo per sé.

Il silenzio della casa non era vuoto, ma pieno di possibilità. Ogni rumore lontano – lo stormire di un albero, il cinguettio di un uccello, il fruscio dei passi sul selciato – era un richiamo alla realtà fragile e preziosa delle ore sottili. Elena percepiva il tempo come un filo invisibile che lega passato e presente, gioie e perdite, attimi ordinari e straordinari. Ogni oggetto, ogni rumore, ogni luce le parlava di ciò che era stato e di ciò che avrebbe potuto essere.

Seduta in silenzio, Elena lasciava che la memoria la guidasse. Ricordava le prime letture, quando si perdeva tra pagine ingiallite, scoprendo mondi lontani e immaginari. Ricordava le conversazioni con la madre, fatte di silenzi e piccoli gesti: la mano che accarezzava i capelli, il sorriso discreto, le mani che cucivano e rammendavano tessuti come fossero piccoli riti di protezione invisibili. Ogni ricordo era un mosaico fragile, un insieme di emozioni sottili che nessuno poteva vedere ma che lei custodiva gelosamente.

La luce cambiava lentamente posizione, e la luce nelle stanze mutava continuamente. Elena osservava come le ombre si allungassero sul pavimento, come i riflessi sui mobili raccontassero storie diverse a seconda dell’ora del giorno. Ogni dettaglio diventava simbolo e ricordo: il fruscio delle tende, il crepitio del legno sotto i piedi, l’odore del caffè appena preparato dalla vicina cucina, tutto contribuiva a un senso di eternità fragile e sospesa.

Poi c’era il vento. Entrava improvviso dalle finestre, sollevava le tende e trasportava con sé odori lontani: la salsedine del mare, il profumo dei pini, l’aroma del pane appena sfornato dalla panetteria di fronte. Il vento trasformava la luce, piegava le ombre e portava con sé la sensazione che tutto fosse in continuo cambiamento, eppure costante nella sua essenza.

«Forse anche il tempo è come il vento» pensò Elena, «non lo puoi afferrare, ma puoi sentirlo passare sulla pelle.»

Ogni ricordo riportava immagini dettagliate: le ombre lunghe dei pomeriggi estivi, il calore del sole sul parquet, il profumo del mare al mattino, il vento che muoveva le tende e faceva danzare polvere e luce insieme. Ogni stanza, ogni oggetto, ogni respiro era un invito a vivere attentamente, a percepire la bellezza nascosta in ogni gesto quotidiano.

Elena pensava ai volti delle persone care, agli amici lontani, ai silenzi condivisi con il padre e alla voce dolce della madre. Riviveva momenti piccoli ma indelebili: una carezza sulla fronte, un sorriso sfuggente, una parola detta e subito dimenticata, un abbraccio che durava un battito di cuore. Tutto ciò diventava parte di un tempo sospeso, un tempo che lei poteva vedere solo con gli occhi della memoria e della riflessione.

La luce cominciava a calare lentamente, e il silenzio si faceva più profondo. Elena percepiva la fragilità di ogni istante, la delicatezza delle ore sottili che si dispiegavano davanti a lei come fili di vetro pronti a spezzarsi. Ma insieme alla fragilità, sentiva la forza del ricordo, la capacità della memoria di dare senso e valore alla vita.

Quando infine chiuse gli occhi, non c’era tristezza, ma un senso di pienezza: il passato non era perduto, ma custodito, e il tempo, anche immobile come le lancette dell’orologio, continuava a scorrere dentro di lei, invisibile ma concreto, eterno nella sua essenza fragile e meravigliosa.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Pietro Santamaria
Autore: Pietro Santamaria, nasce a Recale (Ce) 63 anni fa e dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo Scientifico A. Diaz di Caserta si arruola volontariamente quale Allievo Ufficiale di Complemento nell’Esercito Italiano, conseguendo il grado di Tenente dei Bersaglieri al congedo dopo 3 anni. Successivamente si arruola quale Sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri conseguendo il grado apicale nel Ruolo Maresciallo, quale Luogotenente dei Carabinieri ora del Ruolo d’Onore poiché riformato per infermità connesse al servizio. Nel 2000 ha svolto una missione internazionale per sei mesi in Kosovo per la pacificazione dopo il conflitto che aveva incendiato l’ex Jugoslavia. Dal 1989, dal matrimonio, vive e risiede in Anzio (Rm). Nel frattempo consegue la laurea breve presso l’Università di Siena in Scienza dell’Amministrazione. Fa parte dell’Osservatorio Nazionale Vittime del dovere
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