Mi chiamo Emma Ferrari, sono nata a Chieti, in Abruzzo, i miei genitori erano sicuri di chiamarmi così. “Emma” significa forte, potente, ma anche dolce e gentile, raffinata. Quando ero bambina non mi piaceva questo nome, mi sarebbe piaciuto chiamarmi Aurora, che significa “luce dell’alba”, ma i miei genitori hanno deciso così. In effetti, credo di avere un carattere forte, ne ho superate tante (come tutti del resto). Sono sempre stata determinata, ma nel contempo ho un animo accondiscendente, ma non lo reputo un difetto. Credo che nessuno sia superiore all’altro, siamo tutti esseri imperfetti e nessuno ha il potere di giudicare l’altro. La mia infanzia e adolescenza l’ho vissuta in Abruzzo. Entrambi i miei genitori lavoravano, quindi mi portarono al nido, avevo circa sei mesi e quando ero influenzata andavo dai miei nonni. A tre anni ho iniziato la scuola dell’infanzia. La scuola dell’infanzia l’ho vissuta serenamente, ero felice di andare a scuola, non piangevo come i miei amichetti, ero anche curiosa di scoprire cosa dovevamo mangiare a pranzo in mensa, ero molto golosa. All’elementari ero molto brava, ero molto volenterosa e il pomeriggio svolgevo i compiti con piacere, mia madre mi lasciava farli da sola e poi li correggeva. Avevo il mio gruppo di amiche e dopo scuola ci vedevamo per giocare. Alle scuole medie, ero portata per le materie umanistiche e in quel periodo ebbi le prime cotte. Mi piaceva un ragazzino della terza media, ma essendo molto timida non lo confessai a nessuno. Il pomeriggio mi piaceva scrivere sul mio diario segreto. Ho sempre sognato di scrivere un mio libro, e a volte mi chiudevo in camera o in soffitta e scrivevo sui quaderni racconti di narrativa. Ero nel mio mondo, la scrittura è da sempre il mio rifugio.
Con i miei cugini scrivevo anche dei copioni e organizzavo degli spettacoli a casa, credo di avere sempre avuto un’anima artistica, le passioni nascono da bambini. Un giorno, vinsi una gara di disegno, il tema era la “pace”: disegnai tanti bambini radunati in cerchio, e mi diedero il premio, nessuno dei miei compagni si aspettavano ciò. Ero brava anche a disegnare, anche se ora non so più farlo. Dopo la scuola media, decisi di iscrivermi al liceo classico, sempre a Chieti. Le mie materie preferite erano il latino, storia e filosofia. Le superiori non le ho vissute serenamente, mi sentivo inferiore agli altri, sia ai miei compagni, che mi sembravano più estroversi, sia ai professori perché provavo stima per loro, ma ero sempre rispettosa. In quel periodo sono stata bullizzata: le ragazze più presuntuose mi vedevano più ingenua di loro. Ho subito bullismo anche da due ragazzi. Io regalavo sempre un sorriso a tutti, anche se stavo male dentro. Del bullismo mi vergognavo, lo raccontavo solo alle mie professoresse, ma non risolvevo nulla, perché loro mi dicevano di reagire, ma io non ero abbastanza forte da poterlo fare. Ad oggi, penso di non essere l’unica ad aver subito questo tipo di violenza, anzi il bullismo è un fenomeno molto diffuso. In Italia il bullismo interessa circa il 68% degli adolescenti. Oggi, è diffuso anche il cyberbullismo, ossia una forma di bullismo che avviene tramite mezzi elettronici come smartphone, social network e così via. Il bullo non è una persona forte, ma è una persona insicura che se la prende con i più “deboli”. Non ero io ad essere sbagliata ma loro. Consiglio a chi soffre per questa situazione di parlarne, di non vergognarsi e di mostrare indifferenza, magari anche ridendogli in faccia, perché lo scopo dei bulli e farci stare male. Se gli mostrate indifferenza non gli date agio. A quindici anni, ero in seconda superiore e iniziai a vedermi grassa davanti allo specchio, in realtà ero solo formosa, così iniziai a fissarmi con l’alimentazione, mi pesavo ogni giorno e arrivai a pesare trentanove kili, ero sottopeso, mi spaventai. Capii in tempo che stavo per entrare in un circolo vizioso: ero quasi diventata anoressica, e così iniziai a mangiare delle fette e biscottate e poco alla volta riuscii a riprendere peso, tornai al mio peso forma. Durante l’adolescenza si è più insicuri e crediamo a ciò che ci viene detto. Io a quell’età ero molto insicura e volevo a tutti i costi sembrare come le altre ragazze, mi paragonavo agli altri. Non ascoltate le opinioni altrui, ascoltate solo il vostro corpo, amatevi così come siete, siate felici di voi stessi, se avete un problema non sottovalutatelo, parlatene con i vostri cari prima che sia troppo tardi. Non abbiate rimpianti per il passato, perché il passato determina chi siamo oggi. L’esperienza ci rende diversi e più forti. Gli errori commessi in passato erano dettati dall’inesperienza. Noi non possiamo tornare indietro e cambiare quello che ci è accaduto, ma possiamo solo andare avanti e migliorarci. L’ultimo anno delle superiori avevo diciotto anni, avevo fretta di prendere la patente e di andare dove volevo, ho sempre desiderato diventare una donna forte e indipendente, e quello era il primo passo da fare. L’ultimo anno delle superiori lo passavo a studiare, a praticare sport e a frequentare la scuola guida. La notte prima dell’esame di Stato uscii con le mie amiche per festeggiare, ricordo che ero in ansia, come tutti i maturandi, ma ero felice di chiudere quel capitolo della mia vita. All’esame dovevo sostenere tre prove scritte e poi l’orale. All’orale ero sicura di me, ricordo che le professoresse mi fecero i complimenti per le tre prove scritte, presi novantuno. In estate desideravo fare una vacanza con le mie amiche, ma i miei genitori essendo molto rigidi mi concessero di andare in vacanza con le mie zie, ero un po’ dispiaciuta, ma andai ugualmente, anche perché non ho avuto occasione di viaggiare molto. Dopo la maturità non avevo le idee chiare sul mio futuro. Sapevo che volevo realizzarmi, volevo proseguire gli studi, ma avevo paura di non farcela. Avevo paura di non riuscire a concludere l’Università. Decisi inizialmente di prepararmi per il test per le professioni sanitarie per diventare fisioterapista, acquistai il libro e iniziai a studiare, ma poi capii che forse non era quella la mia strada, era una mia sensazione. Non feci più l’esame di ammissione, ma decisi di iscrivermi alla facoltà di lettere moderne all’Aquila, viaggiavo col treno ed era un po’ stressante. Ricordo ancora i primi giorni di Università, non riuscivo a seguire bene le lezioni, non avevo trovato ancora il mio metodo di studio, perché l’ambiente universitario era diverso dal liceo. Feci amicizia velocemente, rispetto alle superiori, le persone sembravano più mature.
I professori erano più distaccati e non spiegavano tutto, lo studio dovevamo farlo principalmente a casa in autonomia. Inizialmente, seguivo le lezioni senza prendere appunti, ma poi riuscii a trovare il mio metodo di studio, prendevo gli appunti e prima di sostenere gli esami riassumevo i volumi a mano per fissare meglio i concetti, impiegavo più tempo, perché prima dovevo leggere e sottolineare, ma riuscivo a studiare meglio, la scrittura mi aveva soccorso di nuovo. Il gruppo di ragazze con cui mi ero legata all’università ha iniziato ad allontanarmi, non capivo il motivo, ci rimasi male ma poi capii che forse era invidia e non volevo più averci a che fare. Forse il mio carattere veniva visto come “diverso” solo perché non sono presuntuosa. Io sono felice di essere umile e credo che ognuno deve mostrarsi così com’è, senza maschere. Dobbiamo credere in noi stessi, amarci così come siamo e ringraziare ogni giorno quello che abbiamo. A quell’età pensavo che il problema fossi io. Vedevo che le altre colleghe si vantavano dei voti alti, io inizialmente rimasi indietro con lo studio, mi sentivo di nuovo sola. Un giorno capii che dovevo contare solo sulle mie forze, dovevo farcela da sola, non potevo deludere i miei genitori e così riuscii a trovare il mio metodo di studio, non ho mai studiato dalle dispense, credo che bisogna impegnarsi davvero quando si tratta di formazione. Riuscivo a superare gli esami con successo. Non mi paragonavo più agli altri, curavo solo il mio giardino, guardavo solo i miei obiettivi: non avevo bisogno di nessuno per andare avanti, e anche se ero figlia unica avevo i miei genitori che mi sostenevano, avevo le mie amiche. Non studiavo per ostentare i miei voti, lo facevo per me stessa. Non serve a nulla vantarsi dei propri successi, il mio desiderio era solo di realizzarmi, desideravo farlo per me. Ho avuto tante delusioni in amicizia. In quel periodo avevo diciannove anni, non avevo amiche vere e non avevo nemmeno un fidanzato. Stavo bene da sola, non cercavo l’amore, ero felice con me stessa, andavo alle feste, uscivo con le amiche, studiavo, e praticavo sport, ho avuto solo frequentazioni brevi, ma nulla di importante. Un giorno però inaspettatamente ho incontrato l’uomo della mia vita.
Capitolo II
Un amore inaspettato
Un sabato sera ero andata in un ristorante sul mare a Pescara, era estate e come tutti i sabati ero uscita con il mio gruppo di amiche, io avevo vent’ anni. Io e le mie amiche, abbiamo fatto un giro per la città prima di entrare al ristorante e poi siamo andate a cenare. Dopo la cena siamo andate a fare un giro sul lungomare e tre ragazzi ci fermarono, lavoravano per un’azienda di Modena, erano emiliani e stavano facendo delle interviste per lavorare a un progetto nella loro azienda. Io notai un ragazzo con gli occhi marroni e moro, aveva gli occhiali da vista, non era bello, ma era riservato e c’era qualcosa di lui che mi colpiva. Questo ragazzo si presentò, si chiamava Simone e aveva venticinque anni. Sembrava incuriosito e così mi iniziò a fare delle domande personali, io essendo riservata non risposi a tutte le domande e così lui mi chiese il mio numero di telefono. Quei ragazzi dopo circa mezz’ora ci salutarono e andarono via, erano lì da qualche giorno. Non mi scrisse nessuno di loro, e dopo qualche giorno Simone mi inviò un messaggio buffo e così iniziammo a parlare. Un giorno Simone mi chiamò. Diventammo più intimi e lui mi disse che ha avuto solo delle storie brevi e la più duratura è stata una di tre anni con una ragazza della sua città. Lui lavorava nell’azienda dei suoi genitori a Modena e il weekend era libero. Un weekend mi fece una sorpresa all’università e io rimasi molto contenta, lui dormì in un albergo a Chieti. Quei giorni sono stata benissimo, per la prima volta ci tenemmo per mano, e così nacque il nostro amore, così inaspettatamente. Ci baciammo per la prima volta nella mia Università, dopo circa due mesi dal nostro primo incontro. Io e Simone ne abbiamo superate tante, anche per via della distanza, ma eravamo felici insieme, lui mi guardava come se fossi la donna più bella del mondo, diceva che ero la sua famiglia. Io credevo nell’amore vero, ho i valori che mi hanno trasmesso i miei genitori e i miei nonni. Credevo di essere una ragazza fortunata, credevo fermamente nel nostro amore. Vedevo mia cugina più grande che si era fidanzata da ragazzina e si era sposata con lo stesso ragazzo. Desideravo anch’io un destino così. Un giorno, decisi di fare l’Erasmus a Parigi, volevo fare un’esperienza diversa, anche perché il mio sogno è viaggiare. Seguii il corso di francese all’università, ma vedevo Simone triste in videochiamata, a volte piangeva, e così quando si avvicinò la data della partenza decisi di non partire più. Non volevo farlo soffrire. In quel periodo mio nonno materno ebbe un ictus e rimase allettato per due anni, io non riuscivo a vederlo in quella condizione, piangevo davanti a lui. Mio nonno era pieno di energia, inizialmente voleva muoversi e scendere dal letto, ma con il passare del tempo la sua speranza si affievolì e iniziava a desiderare la morte. Mio nonno iniziò a lavorare a sette anni, aveva un carattere mite ed era buono con tutti, era felice che i nipoti potevano studiare, dato che lui non ha avuto la possibilità di farlo. Mio nonno pensava prima agli altri e poi a se stesso, ricordo che quando era in quello stato, io ero andata a trovarlo con mia madre e quando stavamo per andare via, lui ci disse: “state attente”, rimasi colpita da quella frase, perché nonostante il suo stato, lui era preoccupato per noi, era come se non gli interessava come stesse lui, l’importante è che noi tornavamo a casa tranquille. Un’altra sera ero con mia cugina, stavamo vicino a mio nonno e vedendolo quasi immobile ci spaventammo e iniziammo a piangere, non volevo farlo, ma non riuscii a trattenermi. Mio nonno vedendoci piangere ci disse: “non piangete”, io non lo sentii, me lo disse mia cugina, ma mi commosse questa frase. I nonni vogliono vederci felici non tristi. Dopo due anni di sofferenza purtroppo mio nonno ci lasciò, gli ultimi giorni della sua vita sembrava sereno e pensieroso, guardava spesso il vuoto, chissà se lo sapeva già. Forse quando stiamo per lasciare la terra lo sentiamo. Oggi mio nonno è come se non fosse mai andato via, lo sento sempre vicino, mi protegge sempre e spero di averlo reso fiero di me. Io ho ereditato la passione per la scrittura da mia nonna materna. I miei nonni paterni erano anche loro molto umili, lavoravano la terra, avevano la fattoria da giovani. I miei nonni, hanno vissuto gli anni della seconda guerra mondiale. Mi raccontavano che scappavano e si nascondevano per le bombe. Hanno ricordi vividi, nonostante fossero piccoli. La guerra non si cancella, porta solo la distruzione e morte, non serve a nulla, e come diceva Einstein: “la guerra si può solo abolire, non può essere umanizzata.” Quanti bambini hanno sofferto e soffrono per la guerra. Io mi reputo fortunata, sono nata in uno Stato di pace, anche se in altre parti del mondo vi sono realtà differenti. I miei genitori mi hanno permesso di studiare, ed io mi reputo fortunata anche per questo. Ho conseguito la laurea triennale a ventidue anni, era il mese di giugno, c’era anche Simone alla seduta con un mazzo di fiori. Presi centocinque, avevo la media del ventisette, ed ero molto felice. Ero convinta di proseguire i miei studi, non avevo intenzione di fermarmi alla triennale, anche perché sarebbe stata una laurea incompleta, così a settembre mi iscrissi alla magistrale. Decisi di continuare sempre alla facoltà di lettere moderne all’Aquila, mi ero trovata bene in quell’università. Io avevo obiettivi chiari: desideravo diventare un’insegnante di italiano come mia cugina, desideravo fare concorsi pubblici dopo la laurea. Il mio obiettivo, quando mi iscrissi alla magistrale era di laurearmi a ventiquattro anni con il massimo dei voti. Ero convinta che dopo l’università avrei vinto un concorso pubblico, avevo tante convinzioni a quell’età, ero molto fiduciosa, ero sicura anche del mio amore, ma presto quelle convinzioni crollarono.
Capitolo III
La prima vacanza con le amiche
I miei genitori essendo molto rigidi non mi permettevano di fare dei viaggi con le amiche. Dopo essermi fidanzata con Simone, desideravo fare un viaggio da sola con le amiche, non l’avevo mai fatto e così quell’estate io e le mie amiche andammo in varie agenzie di viaggio per organizzare un viaggio in Sardegna, poi trovammo un’occasione su un sito online e decidemmo di prenotare una casa che non costava tanto. Simone era un po’ geloso, diceva che forse non dovevo andare in vacanza con le mie amiche, probabilmente voleva che aspettassi lui, ma era presto per fare una vacanza insieme. Decidemmo di partire solo noi ragazze, il mese di agosto quando non avevo gli esami universitari. Raggiungemmo l’isola con l’aereo, perché ci voleva meno tempo. Un taxi ci accompagnò in costa Smeralda. Fuori la casa vedemmo che c’era un signore sul balcone, e così gli chiedemmo: “scusi ma questo non è l’appartamento che si affitta?” il signore anziano rispose: “ma quale casa in affitto? questa è casa mia!” e così capimmo che la casa che prenotammo su internet non esisteva, ci avevano ingannate. Segnalammo quanto accaduto e il tassista si offrì di accompagnarci in un’agenzia per trovare un appartamento per noi: non potevamo dormire sulla spiaggia ovviamente. Riuscimmo a trovare una casa, era un po’ costosa, la zona era molto turistica, ed era a pochi metri dalla spiaggia. Raggiungemmo la casa e dopo aver sistemato le valigie andammo a fare la spesa. Quella vacanza divenne un incubo per me: Simone mi chiamava sempre, perché era geloso. Sulla spiaggia durante la giornata venivano i PR delle varie discoteche per proporci le feste, così tutte le sere andavamo alle feste, raggiungevamo le discoteche con la navetta. Simone mi aspettava tutte le sere, lui non era d’accordo sul fatto che io andassi in discoteca, a lui non piacevano quei luoghi e non voleva che ci andassi. Simone aspettava tutte le notti che tornassi a casa. Una sera ero con la mia amica Angelica, e Simone mi inviò tantissimi messaggi, io gli risposi, ma lei mi disse di staccare e di dirgli che stavo alla festa, sembrava brutto anche nei confronti di Angelica. Una sera a una festa sulla spiaggia, un ragazzo napoletano voleva ballare con me, mi disse che ero molto bella, ma io gli dissi che ero fidanzata, lui mi rispose: “vai in vacanza da sola e sei fidanzata?!” io lo allontanai e lui se ne andò. Sono sempre stata rispettosa nei confronti di Simone. Per tutta la vacanza Simone si mostrava freddo, anche lui era partito con i suoi amici. Io non facevo nulla di male, stavo con le mie amiche, non avevo mai fatto una vacanza con loro e avevo il desiderio di farlo. Mi fece sentire in colpa, ero quasi pentita di essere partita. Ad oggi rifarei tutto, già ho rinunciato a tante cose per Simone, lui non mi accompagnava nemmeno alle feste perché non gli piaceva il casino, non abbiamo mai festeggiato un capodanno insieme. Io credo che l’amore non significa limitarsi o annullarsi per l’altro. Significa sentirsi liberi, significa avere la fiducia per l’altro, non significa rinunciare alle feste se ci piacciono, non significa rinunciare ai viaggi o alle uscite con le amiche. Bisogna stare bene con se stessi, se non si sta bene con se stessi è inutile fidanzarsi. Bisogna bastarsi da soli e il ragazzo deve essere solo un valore aggiunto, non una cosa che ti toglie. Io ero troppo giovane e non ne ero consapevole, pensavo che Simone si comportava così per proteggermi, ma mi sbagliavo. L’amore non è questo. Dopo la vacanza in Sardegna mi allontanai da alcune mie amiche che non reputavo sincere. Iniziai a diventare più selettiva: volevo circondarmi solo da persone che mi facevano stare bene.
Capitolo IV
Una settimana all’isola D’Elba
La prima vacanza con Simone la facemmo all’isola d’Elba dopo due anni di fidanzamento. Prenotammo per una settimana. Decidemmo di partire ad agosto, quando eravamo liberi entrambi. Prima di prendere il traghetto dal porto di Piombino Marittima, ci accompagnò suo padre, ci fece tante raccomandazioni e poi finalmente, quando andò via ci sentivamo liberi di essere noi stessi. Sognavo di vivere insieme a lui, magari con una famiglia tutta nostra. Arrivati al porto dell’isola, raggiungemmo l’albergo, che era proprio in quella zona, sistemammo le nostre cose e poi chiamammo i nostri genitori per avvisarli. Scendemmo al mare e la sera uscimmo sul lungomare. I giorni successivi erano sempre gli stessi, di giorno andavamo al mare, a pranzo mangiavamo in albergo e la sera uscivamo e andavamo al ristorante. Il quinto giorno era una giornata grigia e piovosa, non scendemmo in spiaggia, ma rimanemmo in camera. Io ero uscita dalla doccia, mi misi un top nero e un pantaloncino di jeans, Simone era sdraiato sul letto, mi fissava, era strano, io percepii qualcosa e così mi distesi anch’io a fianco a lui. Ci guardammo per qualche minuto in silenzio e d’un tratto gli dissi: “cosa c’è? Perché mi guardi così? Mi devi dire qualcosa?” lui continuava a guardarmi, non sapeva cosa rispondermi, sembrava che non volesse parlare e alla fine mi disse in maniera silenziosa: “voglio una pausa.” Appena pronunciò quella frase io andai nel panico, saltai giù dal letto e dissi che non volevo vederlo più. Ero delusa da quelle parole, gli dissi: “voglio andare via, chiamo mio padre”, poi iniziai a piangere, lui si alzò dal letto e mi disse: “no amore, non fare così”, pianse anche lui, sembrava che si fosse pentito di quello che aveva appena detto. Io non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi, guardavo a terra, presi il cellulare e uscii dalla camera. Lui mi inseguì e disse: “facciamoci due passi”. Aveva smesso di piovere, io mi sentivo in gabbia, mi sentivo intrappolata in quell’isola con lui e non potevo neppure tornare a casa dalla mia famiglia, ero lontana da casa. Camminavo velocemente mentre lui mi seguiva e diceva: “non fare cavolate, calmati”, cosa pensava? Che mi buttavo sotto una macchina per colpa sua? In quel momento volevo solo prendere un traghetto e tornare a casa. Lui me lo impedì, mi fece sedere sugli scogli a fianco a lui e parlammo, io avevo ancora le lacrime agli occhi. Gli chiesi: perché mi hai chiesto una pausa? Hai conosciuto qualcuna?” Lui mi rispose: “chi devo conoscere? Solo tu mi rendi felice, voglio solo te!” mi sono chiesta perché cambiò idea così di punto in bianco? perché prima mi chiede la pausa e poi mi dice tutte quelle cose? Forse non è lucido? Io non riuscivo a credergli al cento per cento. Stava cambiando, era più distaccato. Io credo che se si ha un carattere non può mutare completamente, sicuramente crescendo si cambia, io sono cambiata tanto, ma non possiamo trasformarci in persone completamente diverse. Dopo quella discussione sugli scogli facemmo una passeggiata, uscì di nuovo il sole, sembrava che il clima rappresentasse il mio stato d’animo. Non scendemmo più al mare, ma dopo la passeggiata tornammo in camera, facemmo pace e ci baciammo. Lui mi chiese scusa e mi disse che ero bellissima e così facemmo l’amore. Il sesto giorno andammo a Portoferraio, pranzammo lì e nel pomeriggio ci fermammo in un bar, ad un tratto fissai il mare all’orizzonte e ripensai al giorno prima. Ripensai alla pausa che mi chiese, mi girai per non farmi vedere da Simone e iniziai a piangere, lui se ne accorse e mi asciugò le lacrime, si conservò il fazzoletto in tasca, in genere li conservava sempre. Mi tranquillizzai e la sera uscimmo sul lungomare a Porto Azzurro. Il giorno dopo dovevamo ripartire per tornare al porto. Mi vennero a prendere i miei genitori a Firenze, vennero con la macchina. Io ero un po’ triste, poi Simone andò via, ci salutammo frettolosamente. Non dissi nulla ai miei, io nascondevo tante cose. Non fu facile vivere una relazione a distanza, ci vedevamo ogni tanto il fine settimana, a volte veniva lui a Chieti e altre volte salivo io a Modena. Simone diceva che eravamo due anime gemelle, e quando ci separavamo si sentiva come se gli avessero strappato un pezzo del suo cuore. Tante volte piangeva per me, si dice che quando un uomo piange per una donna significa che è davvero innamorato. Diceva che le nostre anime erano già combinate, eravamo destinati a stare insieme per tutta la vita, noi eravamo certi di invecchiare insieme.
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