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L’O di CharlOt

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Consegna prevista Marzo 2026
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C’è chi nasce simmetrico, e chi impara presto che la vita non segue il copione. Paolo Nastego convive dalla nascita con un’emiparesi sinistra, e da questa asimmetria costruisce un linguaggio fatto di parole scelte, silenzi, poesia. La O di Charlot illumina la fragilità senza nasconderla, mescolando prosa e poesia per immergere di nuovo la realtà nell’immaginazione. Al centro, Charlot: muto, buffo, resiliente, simbolo di chi inciampa ma strizza l’occhiolino alla vita. Così fa l’autore, che si specchia in quel corpo impari e trova una nuova armonia. La vita, come una vecchia pellicola, graffiata ma autentica, non va spiegata: va guardata con amore. Questo libro è per chi ama la bellezza nelle crepe e ha il coraggio di sorridere, anche allo specchio.

Perché ho scritto questo libro?

Ho pubblicato questo libro per trasformare la mia emiparesi sinistra in linguaggio poetico e immagini. L’amore, ricevuto e vissuto, ha sciolto le difficoltà della disabilità, rendendole umane, vivibili, persino belle. Con Charlot come guida, racconto come l’immaginazione e il sentimento possano rendere lieve anche ciò che pesa, e come si possa, sempre, strizzare l’occhiolino alla vita.

ANTEPRIMA NON EDITATA

INCIPIT

La vita è un film in continua proiezione, e ogni passo è una scena da vivere con cuore aperto e sorriso contagioso.

LA VITA IN UNA PELLICOLA

La vita è un film circolare,

un ossimoro infinito,

un’antitesi di gioia e dolore,

un’eterna commedia e tragedia.

I personaggi si susseguono,

le scene si ripetono,

ma il finale

è sempre diverso,

perché la vita

è imprevedibile.

Ogni giorno è

un nuovo fotogramma,

un’opportunità

per poter cambiare davvero;

per migliorare,

sognando.

Continua a leggere

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Immagina di entrare in un piccolo cinema d’essai degli anni ’60. L’ambiente ha un fascino discreto, quasi sospeso nel tempo. Appena varchi la soglia, ti accoglie un silenzio ovattato e il passo si fa morbido sulla moquette consumata, che sembra raccontare storie di chi è passato di lì prima di te. Le file ordinate di poltrone in velluto rosso, un po’ sbiadite, ricordano sogni ormai lontani. I braccioli in legno, segnati dal tempo, suggeriscono un’intimità familiare, come se ogni seduta conservasse i pensieri e le emozioni di altri spettatori. Le pareti sono rivestite di una tappezzeria geometrica, tipica di quell’epoca: rombi, cerchi, colori ripetuti che quasi ipnotizzano. Anche loro, in un certo senso, sembrano prepararti a quello che sta per succedere sullo schermo. L’atmosfera è avvolta da una luce tenue e da un profumo che sa di popcorn appena fatti, mescolato alla polvere che si solleva dai tessuti e dagli angoli dimenticati del cinema. È un odore familiare, che parla di tempi passati. In fondo alla sala, nella cabina di proiezione, c’è il vecchio proiettore. Ancora funzionante, anche se ormai appartenente a un’altra epoca, emette un ronzio regolare, quasi rassicurante. Come un respiro lento che accompagna il pubblico verso un altro mondo.

Quando le luci si spengono, un fascio di luce taglia il buio della sala e si posa sullo schermo. Le immagini cominciano a scorrere, una dopo l’altra. Volti, gesti, paesaggi: frammenti di vita che si compongono come un mosaico. Ogni fotogramma racconta qualcosa, e a poco a poco ti accorgi che non parla solo di altri, ma anche di te. Ti ritrovi in quelle scene, in quelle emozioni, nei silenzi e nei sorrisi.

Poi, d’improvviso, tutto si ferma. Il nastro si interrompe. Cala un silenzio pieno, come un respiro trattenuto. In quel momento sospeso ti sembra quasi di poter riavvolgere la tua vita, di tornare indietro per rivedere ciò che è stato. Ricordi, volti, scelte affiorano con chiarezza, e per un attimo tutto si fa più nitido. È una pausa che non disturba, anzi: ti permette di osservare da fuori ciò che hai vissuto, di capirlo meglio.

Ma il film non è finito. Il proiettore riprende a girare, e con lui le immagini tornano in movimento. Solo che ora appaiono diverse: il passato e il presente si fondono, offrendo nuove letture. Ti rendi conto che ogni esperienza, anche la più piccola, si intreccia alle altre e contribuisce a definire chi sei.

In questo continuo andare avanti e indietro, capisci che la vita è un ciclo che si rinnova. Ogni riavvio è un’occasione per riflettere, per trovare nuovi significati. Come un film che non smette mai di evolversi, la vita ci mostra sempre qualcosa di nuovo, anche quando pensiamo di conoscere già la storia. Alla fine, scopri che non sei solo spettatore, ma anche protagonista. Ogni proiezione è un nuovo inizio, ogni scena una possibilità. Finché il proiettore continuerà a girare, ci sarà sempre una storia da vivere, un capitolo da scrivere, un’immagine da scoprire.

VITA CIRCOLARE

Bambino, adulto;

adulto, bambino.

La vita in cerchio;

senza fine, senza tempo.

La vita ha un ritmo tutto suo, antico e continuo, che non segue un vero inizio né una fine. È un ciclo che si ripete, dove si nasce bambini, si cresce, si diventa adulti… e poi, in un certo senso, si torna bambini. È come un cerchio che si disegna senza sosta, sempre in movimento, sempre in trasformazione. Ogni bambino porta già dentro di sé l’adulto che sarà, e ogni adulto, anche se spesso se ne dimentica, conserva qualcosa del bambino che è stato. Quel modo di guardare il mondo con occhi pieni di stupore, quella capacità di sorprendersi per le cose più semplici. È un passaggio continuo tra due mondi, in cui i ruoli cambiano, si alternano, si intrecciano. Ed è proprio questo alternarsi che ci forma, ci cambia, ci fa diventare chi siamo.

Il bambino vive la vita come un’avventura da scoprire. Tutto è nuovo, tutto è interessante: ogni giornata è un territorio inesplorato. È curioso, aperto, pronto a fidarsi, a meravigliarsi. Per lui, ogni persona sconosciuta può diventare un amico, ogni angolo di strada può nascondere una sorpresa.

Poi si cresce, e si diventa adulti. E anche se esteriormente si cambia, dentro restano i segni di quel cammino: le esperienze, i successi, gli errori, i sogni realizzati o lasciati indietro. Ma da qualche parte, dentro, c’è ancora quella scintilla: un sorriso improvviso, una risata senza motivo, un momento di leggerezza che ci riporta indietro, anche solo per un attimo. E forse è proprio questo che completa il cerchio: quando l’adulto, pur con la consapevolezza e la maturità acquisite, riesce a ritrovare un po’ di quello stupore infantile. Quando torna a guardare le cose con occhi semplici, a lasciarsi toccare dalle piccole gioie, a sognare senza preoccuparsi troppo. In quel ritorno alle origini si uniscono forza e delicatezza, razionalità e meraviglia.

La vita, in fondo, non è una linea retta. È un fluire continuo, come le stagioni che tornano diverse e uguali, come le onde che si rincorrono. Ogni fase ci invita a conoscerci meglio, a scoprire nuove parti di noi, a guardare il mondo con occhi sempre nuovi. Ed è proprio questo movimento, questo cambiamento costante, a rendere la vita così viva e piena di possibilità.

SOGNO DI SOGNARE

Quando sogno

di sognare,

il sogno

diventa realtà.

Nel silenzio ovattato di una notte serena, Andrea Valentino si abbandona a un sonno profondo. Ma quel sonno non è solo riposo: è l’ingresso in un mondo altro, un universo di sogni dove tutto è possibile. Si sente lucido, presente, come se potesse dirigere lui stesso le scene che si susseguono nella sua mente. È un viaggio tra immagini e sensazioni che sfuggono alla logica, ma non all’anima.

Si ritrova in un vecchio cinema abbandonato, dove il tempo sembra essersi fermato. L’aria profuma di polvere e pellicole consumate, mentre il rumore lontano di un proiettore dà vita a una nostalgia sospesa, quasi magica. Sullo schermo opaco compare una figura familiare: un uomo con la bombetta, il bastone, la giacca troppo grande. È Charlot, il vagabondo sognatore nato dalla mente di Charlie Chaplin. Andrea lo guarda e prova una strana vicinanza, come se lo conoscesse da sempre, come se quello sguardo malinconico e ironico fosse lo specchio di qualcosa che gli appartiene profondamente.

Così comincia L’O di Charlot, un viaggio intimo e visionario nell’anima di Andrea. Inizia a sentire un legame profondo, quasi misterioso, con il cineasta inglese. Chaplin lo affascina: quell’infanzia segnata dalla povertà, le umili origini che l’hanno spinto a creare un personaggio capace di affrontare il mondo con ironia e dignità. Charlot non è solo un clown: è la voce di chi lotta, di chi sogna, di chi non si arrende mai. Con la sua comicità fatta di gesti e silenzi, Chaplin ha trasformato la sofferenza in poesia, regalando al mondo emozioni che attraversano il tempo. Ogni scena, ogni movimento di Charlot è arte pura. In quel mondo surreale in cui realtà e sogno si fondono, Charlot diventa un simbolo: incarna le nostre fragilità, le nostre speranze, e quella tenacia silenziosa che ci tiene in piedi. Le sue storie non sono solo da guardare, ma da sentire. I suoi occhi raccontano più di mille parole, e la sua capacità di farci sorridere e commuovere nello stesso istante è un dono raro.

E poi c’è Calvero, l’altro volto di Chaplin. Il protagonista di Luci della ribalta è un artista stanco ma ancora pieno di umanità, un uomo che ha conosciuto la gloria e ora cammina tra le ombre del declino. Nelle sue parole, rivolte alla giovane ballerina Terry, vibra una verità profonda: la vita è un palcoscenico dove ogni emozione merita di essere vissuta. La sua ultima esibizione è un atto d’amore verso l’esistenza, fragile e luminosa.

Charlot e Calvero: due anime dello stesso spirito. Il primo parla col silenzio, il secondo con la voce della saggezza. Entrambi ci invitano a guardare oltre l’apparenza, a credere ancora nei sogni, a cercare la bellezza nascosta nella fatica del vivere.

Andrea sogna ancora. Ora cammina in un campo dorato, il grano ondeggia sotto un cielo perfetto, e il sole accarezza la pelle come una promessa. Ma lui sa: è solo un sogno. Così avanza, a piedi nudi, finché il paesaggio si dissolve, lasciando spazio a una foresta antica, viva e silenziosa. Le fronde bisbigliano storie dimenticate e lo conducono fino a una radura illuminata da una luce argentea. Al centro, un lago. Sullo specchio dell’acqua, vede il suo volto, che si sdoppia: un sé sognante e uno reale. Sfiora la superficie gelida e un brivido lo scuote. Dall’acqua emerge una scala di luce. Andrea la percorre, gradino dopo gradino, e a ogni passo il sogno si frantuma come uno specchio. In cima, sospeso tra due mondi, si lascia cadere. Si sveglia di colpo. Il cuore batte forte. È tornato nella sua stanza, ma qualcosa in lui è cambiato. C’è una nuova luce nei suoi occhi: come se la realtà avesse rivelato un volto segreto.

Inizia così il racconto che segue. Ci immergeremo nel mondo di Andrea, tra le pareti della sua camera da letto e il cinema abbandonato Pitaluga. Due luoghi che diventano simboli: rifugi dell’anima, scenografie di un viaggio interiore. Nella sua stanza, uno specchio rotondo riflette più del volto: mostra i ricordi, le speranze, le vite possibili. Ogni sera, Andrea si avvicina a quello specchio come si va a trovare un vecchio amico. Il passato si mescola al presente, i sogni al vissuto.

Il cinema, invece, è un tempio dimenticato. Polvere, ombre, silenzi pieni di storie. Il vecchio proiettore, quando si riaccende, non proietta solo film, ma emozioni. Le pareti vibrano di immagini tremolanti: momenti della vita del protagonista, istanti di gioia e di dolore, tutto torna alla luce, come in un diario scritto con la luce.

Tra lo specchio e il proiettore si gioca il vero viaggio di Andrea: una riconciliazione con se stesso, una riscoperta di ciò che è stato e di ciò che potrà essere. Ogni poesia che scrive è un frammento di questo cammino. Ogni verso riflette un’emozione, una domanda, una rivelazione. Come in un film di Chaplin, anche la vita di Andrea è fatta di ombre e luci, sorrisi e lacrime. È il racconto di un uomo che, come Charlot, crede nella forza dei sogni e nella dolcezza di un gesto semplice. Andrea scrive per condividere, per toccare il cuore degli altri. E quando ci riesce, sorride. Perché in fondo, la vera felicità sta nel riconoscersi negli occhi di chi legge.

L’O di Charlot è tutto questo: un tributo all’arte, alla poesia, alla vita. Un invito a riscoprire la bellezza che ci circonda, anche quando non la vediamo. Le poesie di Andrea diventano specchi per l’anima, finestre aperte su mondi interiori in cui ciascuno può ritrovare un pezzo di sé.

Non resta che sedersi in prima fila, mentre si accende il proiettore. Sta per cominciare un viaggio straordinario, sospeso tra sogno e realtà. Benvenuti nel mondo di Andrea Valentino.

***

Il crepuscolo cala dolcemente tra gli edifici, mentre il vecchio cinema Pitaluga si illumina nella sua antica gloria. Le insegne al neon, sbiadite ma ancora cariche di fascino, si accendono una a una, diffondendo una luce calda sulla strada. Il profumo di popcorn fluttua nell’aria, accompagnando ogni passo degli spettatori che si avvicinano, attratti da un’atmosfera intrisa di nostalgico mistero. All’ingresso, la grande porta di legno si apre pigramente, svelando un segreto custodito da anni.

L’interno è un mondo incantato di colori e di stili retrò: tappeti rossi, pareti coperte da poster vintage e poltrone di velluto che sembrano raccontare storie passate. Gli spettatori, provenienti da ogni angolo della provincia, si avvicinano uno alla volta, con lo sguardo euforico e attento. Scambi di sorrisi e sguardi creano un legame invisibile tra loro. Le luci soffuse avvolgono la sala in un’atmosfera intima, come se il tempo si fermasse per far spazio alla magia del cinema. La biglietteria è il cuore pulsante di questa piccola comunità temporanea: la cassiera accoglie ognuno con un sorriso gentile, consegnando biglietti che sono veri e propri passaporti per mondi lontani. Nel foyer, gruppi di amici ridono, coppie si scambiano sguardi affettuosi, e chi è solo trova un momento di quiete. Il bar degli snack, poi, è un angolo irresistibile: il suono del mais che scoppietta, i fruscii dei sacchetti di caramelle, e il profumo del popcorn creano un’atmosfera familiare e invitante. Quando le luci si abbassano, nella sala cala un silenzio carico di attesa. Le tende si aprono lentamente e il film sta per iniziare. Ogni pensiero si dissolve, lasciando spazio solo all’emozione del cinema. La pellicola di L’O di Charlot è pronta a girare, mentre il sogno prende vita sullo schermo.

IL SOGNO VA IN SCENA

Scende la notte;

s’alza il palcoscenico

del sogno.

Allora,

serenamente,

mi addormento

in prima fila.

Benvenuti nel mondo del “L’O di Charlot”.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Paolo Nastego
Paolo Nastego è nato e vive a Caneva, piccolo paese della pedemontana friulana. Classe 1966, ha studiato in Veneto e si è laureato in Scienze Giuridiche, dedicandosi ai servizi pubblici locali. Per anni ha raccontato storie e persone come giornalista pubblicista su testate del territorio. L’O Charlot è il sua prima opera, nata da un’urgenza intima e autentica, dopo qualche poesia sparsa tra le pagine di raccolte collettive. Scrive per restituire voce a quelle emozioni che spesso restano in silenzio.
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