Sicilia, 1906. Marietta nasce in una terra di agricoltori, tra ulivi e pistacchi, dove il tempo segue il ritmo delle stagioni e delle campane. Cresce tra mani che filano e ricamano, tra racconti di donne forti e silenzi colmi di attesa. Ogni punto di merletto custodisce un frammento di vita, un’emozione tramandata di madre in figlia.
Gli anni scorrono tra fatiche e speranze, tra guerre lontane e ritorni attesi, e mentre il mondo intorno cambia e le tradizioni si trasformano, Marietta attraversa la storia con passo lieve ma deciso, intrecciando al proprio destino quello della sua terra e di chi la abita.
Nascita
Estate 1906, il caldo torrido e opprimente delle giornate siciliane soffocava l’aria, densa e palpabile. Nel cielo azzurro, il sole dominava implacabile.
Le cicale frinivano incessantemente, riempiendo il silenzio della campagna con il loro canto monotono.
Da lontano, nell’aia, giungeva un gemito. Un suono flebile, ma distintamente umano: il pianto di una bambina appena nata.
La terra, secca e arida, sembrava risvegliarsi a quei dolci strilli che si alzavano lievi.
I contadini, impegnati nel loro lavoro, si fermarono un istante per ascoltare, con le mani sporche e la fronte sudata. Un sorriso apparve sui loro volti stanchi. In mezzo alla fatica e alla calura, quel pianto rappresentava qualcosa di straordinario: un miracolo nel cuore dell’estate siciliana, per una famiglia in attesa da tanto tempo di una nascita.
Intorno alla casa, la tenuta era piena di alberi di ulivi e di pistacchi, i fastuchi, le cui fronde donavano ombra e frescura.
Più in là, si estendevano degli appezzamenti di terreni con alcuni pagliai, ripari semplici ma ben organizzati, utilizzati solo in estate per raccogliere i frutti e per il riposo degli agricoltori.
Nella piccola dimora di pietra, sotto il grande ulivo, la puerpera, esausta ma felice, strinse la neonata al petto. Accanto a lei, la signorina Carmelina, un’anziana, con mani esperte e sguardo amorevole, sistemava i panni e controllava che tutto fosse in ordine. Asciugava sicura e delicatamente la fronte della partoriente e rassicurava la creatura con dolci parole.
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«È una bella bimba» disse Carmelina. «Maria crescerà forte e sana.»
«Lo spero» rispose Matilde, guardandola con affetto.
Fuori dalla casa, le donne si muovevano freneticamente. Alcune, chine sul lavatoio, strofinavano i panni con vigore nell’acqua fresca. Altre portavano brocche e le versavano dentro i vacili per rinfrescare l’ambiente e offrire sollievo alla madre affaticata.
Il padre, con gli occhi lucidi, guardò la scena con un’espressione di orgoglio e amore. La felicità per il lieto evento riempiva il suo cuore. Era nata Maria, anzi Marietta, come amavano chiamarla.
Seppur il caldo fosse soffocante e la vita agreste piena di difficoltà, tutto sembrava perfetto in quel momento.
Un piccolo angelo entrava nelle loro vite, portando gioia nella dura quotidianità.
I suoi grandi occhi castani e i capelli neri divennero il dono più prezioso, illuminando le loro esistenze.
La festa della Madonna
La stagione calda proseguì col lavoro incessante nei poderi, ma la serenità e la bellezza della natura alleviavano il peso delle giornate.
Con l’arrivo di agosto e la conclusione della raccolta del grano, giungeva il momento di tornare in paese per la grande festa della Madonna, attesa da tutti.
Le fanciulle, dopo aver trascorso la stagione a di fori, si avvicinavano al paese avvolte in fazzoletti, coprendo capo e volto per proteggersi dal sole e mantenere la pelle chiara.
Al loro ritorno, cercavano di evitare segni di abbronzatura, rossore o colorito scuro, che avrebbero rivelato le giornate di lavoro nei campi. Desideravano apparire simili alle nobildonne del luogo, i cui visi erano candidi e levigati. Questi semplici accorgimenti servivano a mantenere la dignità e rispettare le convenzioni sociali, evitando l’etichetta di cuppitiddi, soprannome per chi avesse la pelle scura come un cuppo nero.
La mattina iniziò con la funzione religiosa, in cui i contadini e le famiglie si riunivano nella chiesa del paese per pregare e ringraziare per i doni ricevuti. Il pomeriggio era dedicato alla celebrazione della Madonna.
Nel corteo guidato dal parroco, i più devoti trasportavano la statua della Madonna adornata di fiori e candele. Le strade, addobbate con lenzuola ricamate sui balconi, accolsero molte donne a piedi scalzi. Percorsero il tragitto come un atto di penitenza o per chiedere protezione per i propri cari, avvertendo sotto di loro il calore del selciato. Le giovani, in particolare, pregavano affinché si sposassero, arrotolando sulle dita u rusariu, con la speranza che ogni giro le avvicinasse a quel sogno. Sembrava si sentisse un pensiero mormorato: «U Signuruzzu m’aiuta!».
I loro capi, coperti da velette o foulard ricamati, esprimevano il rispetto profondo per l’evento.
Marietta, troppo piccola per comprendere il significato della festa, tra le braccia della madre, osservava, scrutando, ciò che la circondava.
«Guarda, piccolina, quella è la Madonna che ci protegge!» le sussurrò.
Il padre, camminando accanto a loro con il capo chino, seguì la processione con passo regolare.
Il percorso attraversò le principali vie del paese, in particolare a strata ranni, mentre i canti sacri si levarono al cielo. Tra le voci, qualcuno intonava: «O Maria, quanto sei bella! Sei la gioia e sei l’amore. M’hai rapito questo cuore, notte e giorno penso a te…».
All’ingresso della chiesa il sacerdote impartì la benedizione conclusiva.
Animarono la festa i banchi pieni di suppellettili, mandorle tostate e ricami, mentre in piazza si sentivano voci e rumori in un unico brusio: la festa della Madonna prendeva vita.
Così, gli abitanti si spostarono verso il corso principale, un po’ di fretta, come api che svolazzano sui fiori.
Le strade erano piene, i bambini correvano tra i banchi, gli uomini conversavano e le donne osservavano i ricami e gli altri oggetti esposti.
Verso sera, la festa volgeva al termine con i fuochi d’artificio, i maschiati, il momento più atteso. Molti scrutavano il cielo, con il cuore che sembrava fermarsi a ogni esplosione e gli occhi incollati alla luce che si frantumava nell’oscurità. L’aria vibrava di emozioni che facevano tremare la pelle, i colori esplodevano sopra di loro, accendendo una sensazione di stupore e meraviglia: «Taleeè! Taleè!» esclamò qualcuno, estasiato dalla bellezza. Altri si attupparono le orecchie per il forte rumore, cercando di sfuggire alla potenza del suono che accompagnava ogni scoppio.
Risuonava ancora nelle orecchie il fragore dei botti e negli occhi restarono i bagliori delle scie luminose, mentre ciascuno tornava a casa. C’era chi si attardava a chiacchierare davanti alle porte o sotto i balconi e chi già pensava agli acquisti dell’indomani.
La mattina seguente, la festa continuò con la fiera. I banchi riempivano le vie: era il momento degli acquisti. Le donne, avendo messo da parte i risparmi durante tutta la stagione per questo preciso momento, tornarono sperando di portare a casa qualche “tesoro” desiderato da mesi.
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