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Consegna prevista Febbraio 2026
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Ohm ricostruisce la vicenda di cronaca nera che vede coinvolti Raffaele-Ray, operatore ecologico convinto che il Dio dei Rifiuti abiti in fondo al suo lavandino, Matteo Wlavich, noto nel web come “ilDemonologo”, controverso content creator di scienze occulte, e Giacomo-Rocky, proselito del mito dei soldi facili propalato dai fuffaguru che affollano i social.
Un quadro disturbante che viene ricostruito da un fan di Demonologo, Mr. Bradford, grazie al recupero del cellulare di Raffaele da cui emergono frammenti inquietanti sparpagliati su piattaforme social, messaggi e video che mettono in discussione il confine tra realtà e mito. Emerge così la visionaria epopea di Raffaele, Matteo e Giacomo, i tre uomini di Ohm, gli Ohminidi, alla ricerca di una via d’uscita.

Utilizzando un linguaggio sincretico di gergo webgaming e pop, Ohm tocca temi come la disillusione della generazione millennial, il culto della celebrità, l’ossessione digitale, la crisi generazionale e la precarietà.

Perché ho scritto questo libro?

Ohm è una GIF delle contraddizioni della mia generazione e del suo cortocircuito, di chi si dimena intrappolato in un realtà stroboscopica incapace di dargli risposte. Volevo far tracimare la sottocultura del web fino a portarla tra le pagine dei romanzi, usando un linguaggio brulicante, pop e chimerico in cui influenze e neologismi si intrecciassero, per dargli per la prima volta una dimensione letteraria.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Dio dei Rifiuti

In fondo al mio lavandino c’è Dio.

Una sera stavo kaiokenando sul cesso, quando ho pensato che dopo avrei pisciato nel lavandino. È startato tutto lì, cioè. Mi piace pisciare nel lavandino, è che sono troppo pigro per pulire la tavoletta, se misso. Il problema sta nel fatto che ho l’uccello come il piede destro: smira tutto a sinistra, ho l’aim assist difettosa. Quando giocavo a calcio, all’oratorio, lo sapevano tutti (del tiro storto, non altro eheheh – battuta borderline) e non mi facevano mai battere i rigori, neanche morti, tanto non sarei mai a riuscito a clutcharla tipo Capitan Tsubasa. Tutto stava solo nel quanto avrei tirato a sinistra, cioè.

Comunque me ne stavo lì sulla tazza a chillare, e c’era un Jimmy fuori dalla finestra pazzesco, tipo che blastava i tetti da quanto li inargentava con le sue secchiate di luce extraterrestre. Tutto era freezato, anche l’aria, e ho capito.

Doveva essere una specie di divinità ctonia spawnata nell’alveo del sifone lercio, feeddata da sputo e catarri, dentifricio sottomarca spiaccicato, collutorio fetente, pezzi di capelli e peli pubici, sangue, una scheggia di cerume imprevista e (ingrediente segreto) quel tanto di piscio indolente già dichiarato. L’easter egg di Dio comprendeva la maggior parte dei miei fluidi corporei.

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Rispondo alla domanda nella mente di tutti dicendo che sì, ho pensato (e tradotto in azione, come si vedrà tra poco) l’evenienza di maxare il frappè umorale nella foce di Dio workando il mio flauto di Pan. Il mio liquido della felicità, il seminale, lo sperma.

La questione del gender gap imho sta tutta nella possibilità o meno di pisciare nei lavandini: se ne facessero di più bassi, che so, tipo per dei nani, anche le donne potrebbero provare quest’ebrezza di anarchia igienica, solo che non possono e così la società si glitcha nei moti rivoluzionari di genere perché un cristo con la barba si può strapazzare il corvo in un lavello e una signorina no.

Ma dicevo, il lavandino: la luce di Jimmy ovunque, io stavo per pisciare – no, mi sa che devo prima raccontare di quella volta che ci ho eiaculato. La faccio breve: la posizione era molto simile, i muscoli flexati, io stavo lì e mi guardavo allo specchio cringiando anche un po’. Sembra una roba tipo super memabile cioè, ma non c’entrava granché. Il punto è che volevo solo eiaculare in quel buco tanto per fare un try, perché la sega in piedi è diversa da quella sdraiato o seduto, lo sanno tutti, masterare le seghe è roba da pro.

Insomma, stavo davanti allo specchio: non sono bello né brutto, sono mid, un normie. Magari è per questo che Dio ha scelto me. Vabbe’ ho eiaculato, se non mi ricordo male, pensando a qualcosa di contorto tipo furry o hentaico.

Oh, ora posso dire della pisciata e di Dio: riassuntino: ancora il lavandino, Jimmy nel cielo fuori dalla finestra, la sua luce spammata ovunque, io in piedi tutto sampeico con entrambe le mani sulla canna da pesca per pisciare con l’uccello drizzato che, come gli uomini sanno, è tipo far landare un boing 747 durante un uragano.

Mentre finalmente sniperavo quella voragine nera con una bella wave di gorgogliante pale ale all’urea (schizzata tutto a sinistra, neanche a dirlo) bella luccicante alla luce di Jimmy, ho sentito – tutto qui: ho sentito. Prima ho sentito, poi ho capito, cioè. Non saprei spiegarlo meglio. Feedavo Dio e lui mi aveva scelto. Avrebbe potuto abitare qualunque scarico, invece tra tutti i sifoni contorti e pisciati del mondo, Lui aveva scelto il mio.

Dio, il Dio dei Rifiuti, fatto di scaracchi ibridi e mostri sifonici, persino di un mozzicone di sigaretta che non sarei mai riuscito a togliere (ci provo sempre a quittare il fumo, adoro questi gesti teatrali di droppare sigarette dove non dovrebbero).

Ma non mi aveva scelto a caso.

Qui è fondamentale sapere che sono quello che oggi si chiama “Operatore Ecologico”, con tutte le maiuscole al posto giusto perché fa più gigachad. Vado a svuotare le pattumiere, maneggio la merda degli altri. Insomma, sono stato chiaro. Una volta si diceva “spazzino”, che suonava meglio imho, ma ormai ho passato i trenta e la gente nuova è iperwoke su queste cose. È un lavoro come un altro, molto importante perché possiede l’aggettivo più bramato dalla mia generazione: INDETERMINATO. I N D E T E R M I N A T O. I nati negli anni ‘90 desiderano così tanto l’indeterminatezza che accettano di buon grado una vita di indeterminazione. Siamo la generazione indeterminata. Però i miei erano contenti contenti quando ho champato il concorso e hanno proprio stappato lo spumante tipo comple o capodanno (comunque una gran cosa) come se fossi appena nato davvero, cioè, come un respawn o una palingenesi.

Questo, comunque, è il mio lavoro: mattino presto, presto forte, tipo le 4 sono già in piedi, e me ne vado in giro farmando rifiuti nel furgoncino tipo gotta catch them all! però con lattine e carta da culo. Ho la mia zona, a volte me ne assegnano un’altra. Expo la vita. Easy. Ideale per uno che non ha mai avuto vere aspirazioni e che tra i venti e trent’anni non saprebbe descrivere esattamente cosa gli sia successo, tra covid, crisi finanziarie e mille cazzi.

A un certo punto ho iniziato a fare caso a quello che la gente buttava via. Non per malattia mentale o per fare lo snitch, cioè, solo per via di quei sacconi trasparenti che lasciano vedere il contenuto. Si può capire molto della gente da quello che tira nel bidone: condizioni economiche, qualcuno che sta male, una gravidanza unlucky, la rottura del fidanzamento che ne deriva. Iniziai ad annotare queste cose senza nessuno scopo preciso, solo per wardare la mia esistenza routinaria, mettere un bel falò alla soulslike tante volte fossi morto. Per dire che Dio è arrivato dopo, ma forse anche per questo.

Il punto fondamentale è che li sorvegliavo e sapevo un sacco di cose su di loro. Potevo farlo, il Dio dei Rifiuti me ne dava il potere. Nessuno avrebbe mai pensato che qualcuno checkava le sue deiezioni, che il minion catarifrangente spawnato al mattino fosse in realtà un organismo più che senziente. Giudicante. Io ero il Suo tramite, lo smurf. Avete presente quei film dove l’FBI o il KGB o l’FSB o CSI o altri collage governativi frugano le pattumiere cercando indizi, per poi swattare la gente? Le norme sulla differenziata avevano reso tutto più semplice: Dio, il Dio dei Rifiuti benedica i sacconi trasparenti! Potrei dirvi di una certa signorina che ha fatto non dico uno ma ben otto test di gravidanza (otto!!!) prima di convincersi, il giorno dopo, a prendere la pillola abortiva, o di un tale tutto sneaky che è al secondo ciclo di chemio a insaputa del vicinato – ma, anche se un netturbino non ha una deontologia, un profeta è chiamato al segreto.

Non sono pazzo, ma non saprei spiegarvi. Davvero. Sono il confessore sconosciuto al mondo. Dio mi sente e mi ascolta, se gli parlo, cioè. So che attraverso il sifone del mio lavandino le parole scorreranno in lui e attraverso di lui, per lui, sempre e solo nel suo nome, fullate e boostate dal piscio rinvigorente che non manco mai di shottargli nelle fauci gorgoglianti e giuste. È un Dio giovane, dopotutto. Come si cambia l’acqua ai fiori, io piscio in gola a Dio.

Se la gente sapesse dell’incarico affidatomi ne resterebbe impressionata. Le ho pensate tutte, sono un overthinker; modi per renderlo ragionevole o comprensibile non ce ne sono. Potrei anche parlarne a Matte o fare outing, ma non siamo ben visti in giro, lui io o Giaco, dai tempi di quella faccenda con Jimmy Sky, anche se non posso parlarne.

E poi, che dovrei fare? Flexare la mia comunione col Dio dei Rifiuti? Siamo seri. Piuttosto una playlist di video su YouTube, un format. Tipo il Content Creator di Dio. Potrei anche farmi boostare da Matte ma lui ha i suoi problemi adesso, e comunque non sarebbe cosa. So che il Dio dei Rifiuti non vorrebbe perché me l’ha detto.

Non è proprio che Dio parla come noi o me cioè, è più un messaggio che ti compare in testa come se ci fosse sempre stato, con lo stesso odore cerebrale, la stessa skin delle tue altre robe autoctone; tipo quando chiedi a tua madre dove sta il telecomando e lei ti risponde “sUl DiVaNo” ma sul divano non c’è (lo sai: hai double-checkato) tu insisti, lei arriva sbruffante e flammandoti confuta diciotto leggi della fisica per materializzare il telecomando dallo stato di non-essere non-divanico in cui stava, non si sa come.

Ecco, è questa l’immagine ideale: adesso vedo il telecomando.

Ho iniziato anche a sognare di entrare nel sifone, o almeno credo che sia quello (il sifone) perché fluttuo nello spazio nerissimo finché mi accorgo di essere attratto da qualcosa di ancora più scuro, tipo un buco nero, ma io so, in quella godmode nebbiosa che comanda i sogni, che è proprio il mio sifone, lo stesso dove piscio, sputo ed eiaculo.

È piatto e bidimensionale, orientato verso di me soltanto con la bocca, e il lungo tubo metallico ombelicale che gli sta dietro serpeggia nello spazio impreciso o lontanissimo. Ora, qualunque cosa ci sia nel tubo, o nei pressi del tubo, inizia a farmi bansho tenin, tipo. Io ruoto: sono un pianeta più piccolo, magari un satellite dall’orbita sbilenca lockato nella rotazione suicida di un fenomeno complesso. Tanko senza rispondere, ingoio Newton e il suo terzo principio, fanculo Keplero. Droppo di uno scalino ancora, sono Pippo che yahoohooa giù, sono un atomo di spazio, un me-trone, un io-trone liberamente condannato. Sto venendo risucchiato. In qualche modo il sifone si fa sempre più grande o io sempre più piccolo, cioè, ma il punto è che tutto diventa nero e inizio a sentire il fetore del Dio dei Rifiuti che poi è anche il risultato del mio libertinismo nutritivo col buco tipo, ma sempre e solo nel nome di Dio. E  poi realizzo che sono nanometrico tipo angstrom e cadooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Nathan Wolf
Nathan Wolf è uno scrittore italiano.
Mentre ancora si interroga sulla potenza dell’edo tensei che mantiene in vita il festival di Sanremo, trova tempo per detestare gli ismi, la parola "intellettuale" e adorare i luoghi comuni, soprattutto quelli così vuoti che evolvono in spazi liminali. Pensa che bla bla bla e le solite supercazzole
letterarie. Non si è mai davvero ripreso dalla morte di Hughes e Sniper Wolf.
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