La pioggia martellava contro i vetri della soffitta, un ritmo incessante che rispecchiava il battito frenetico del cuore di Emily Carter. La stanza di Sarah Whitmore era in netto contrasto con la tempesta che infuriava fuori:
inquietantemente immobile, quasi sterile. Il letto era disfatto. Ma non nel modo caotico di una partenza frettolosa. Era intatto, come se lei fosse semplicemente svanita nel nulla, lasciando dietro di sé solo il debole profumo di lavanda e un persistente senso di disagio che si aggrappava al tessuto stesso della stanza.
L’ispettore capo Davies, un uomo la cui circonferenza sembrava assorbire la luce con la stessa efficacia della nebbia perpetua di Blackwood, stava sulla soglia, con un’espressione che sembrava una maschera di stanca indifferenza. “Fuggire, Carter. Capita sempre. Che sia la figlia del sindaco o no, non è certo una priorità.”
Emily, con il suo trench bagnato dalla pioggia, avvertì un familiare moto di sfida. Aveva percorso Blackwood per anni, sapeva che i segreti della città sussurravano al vento, aggrappandosi ai ciottoli umidi. Non era solo una fuga. C’era qualcosa di profondamente sbagliato. I libri sistemati meticolosamente, la scrivania intatta, la dolcezza persistente della lavanda: tutto parlava di un’assenza deliberata e attentamente pianificata. Non era la fuga disordinata di un’adolescente ribelle. Era… calcolata.
Davies sospirò, il suono era come se l’aria fuoriuscisse da una gomma forata. “Abbiamo controllato i soliti posti. Nessun segno. Il suo telefono è spento, le sue carte di credito non sono state utilizzate. Il sindaco, naturalmente, è fuori di sé.” Si passò una mano sulla sua zucca già lucida, lo sguardo fisso sul letto intatto. “Abbiamo pesci più grossi da friggere,
Carter. Non perdere tempo.”
Ma Emily lo sapeva bene. La nebbia che avvolgeva perennemente Blackwood non era solo meteorologica; era un sudario che oscurava un’oscurità più profonda della pittoresca facciata della città. Il sindaco, Arthur Whitmore. Era un uomo di potere, la cui influenza era intessuta nel tessuto stesso dell’esistenza di Blackwood. La scomparsa di sua figlia non era semplicemente una questione privata; portava con sé il peso di una minaccia silenziosa, un avvertimento sussurrato nella nebbia.
L’indagine iniziale era un paesaggio frustrantemente sterile. Nessun testimone, nessuna effrazione, nessuna richiesta di riscatto. La polizia, apparentemente soddisfatta della narrazione della “fuga”, offrì poca assistenza. Emily sospettava che il loro disinteresse fosse deliberato, una facciata attentamente costruita che mascherava una verità più profonda e inquietante. Blackwood era una città immersa nei segreti e questa scomparsa sembrava essere la chiave per svelarli tutti.
La sua indagine non iniziò alla stazione di polizia. Ma negli archivi scarsamente illuminati di Blackwood, una collezione labirintica di giornali sbriciolati e documenti ingialliti. L’aria era densa dell’odore di carta invecchiata e terra umida, un complemento perfetto alla nebbia persistente che filtrava attraverso i vetri delle finestre incrinati. Le ore si sciolsero in una confusione di ricerche, le sue dita tracciavano inchiostro sbiadito, ricomponendo frammenti di un puzzle che sembrava deliberatamente progettato per resistere ai suoi sforzi.
Trovò frammenti sulla storia della famiglia Whitmore, sussurri di vecchie faide e riferimenti velati a una forza oscura e potente che sembrava manipolare il destino della città da dietro le quinte. Il nome Holloway continuava a ripresentarsi, una presenza costante negli annali di Blackwood: il nome di una famiglia antica quanto la città stessa, altrettanto ricca e altrettanto segreta.
Poi, il diario. Un piccolo libro rilegato in pelle nascosto nel cassetto della scrivania di Sarah, nascosto dietro una collezione di libri di poesia apparentemente innocui. Conteneva voci criptiche, scarabocchiate con una calligrafia frettolosa, punteggiate da simboli inquietanti che sembravano essere una forma di messaggio in codice. Le parole stesse erano fugaci scorci della vita di Sarah: incontri clandestini, minacce velate e un ricorrente senso di sventura imminente. Scrisse di una paura così profonda che sembrava permeare l’aria stessa intorno a lei, una premonizione agghiacciante che risuonò profondamente in Emily.
Le annotazioni accennavano a una relazione clandestina, una relazione pericolosa che avrebbe potuto rivelare segreti che era meglio tenere sepolti. Ma implicava anche qualcosa di più oscuro, qualcosa di più sinistro, collegato agli Holloway. Il diario parlava di personaggi potenti, sussurri di una cospirazione così vasta che minacciava di scuotere Blackwood fino al midollo. Mentre Emily decifrava i codici criptici, i pezzi del puzzle cominciarono ad andare al loro posto, rivelando un quadro molto più complesso e pericoloso di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
La sua indagine la condusse al The Serpent’s Kiss, un fumoso jazz bar nascosto nel ventre di Blackwood. L’aria era densa dell’odore di whisky scadente, sigarette stantie e dell’onnipresente odore di nebbia che sembrava insinuarsi in ogni angolo. La musica era un ronzio basso, un impulso malinconico sotto la superficie di conversazioni sommesse e sguardi furtivi. Fu qui, in questa tana di ombre, che lo incontrò per la prima volta.
“Il Corvo” lo chiamavano. Sedeva in un angolo in ombra, una sagoma contro la luce tremolante del neon, il viso nascosto dalla tesa di un cappello a tesa larga. Trasudava un’aura di minaccia, una tensione palpabile che metteva a tacere il chiacchiericcio chiassoso degli altri avventori. I suoi occhi, quando Emily lo intravide. Erano freddi, taglienti e privi di qualsiasi emozione. Sembrava essere ovunque e in nessun luogo allo stesso tempo, un fantasma che osservava, aspettava, un guardiano silenzioso dei segreti più oscuri di Blackwood. La sua sola presenza era un avvertimento, una minaccia sottile che aleggiava nell’aria come la nebbia persistente.
L’incontro lasciò Emily scossa, un’agghiacciante premonizione dei pericoli che stava per affrontare. Non era più solo un caso di persona scomparsa; era un tuffo in un mondo di ombre, una discesa nel cuore di una cospirazione che minacciava di travolgerla. La nebbia fuori si infittiva, inghiottendo i lampioni, lasciando Emily sola nell’opprimente oscurità del bar, con l’immagine del Corvo impressa nella sua mente come un marchio.
La mattina dopo, Emily si ritrovò in piedi di fronte alla villa Holloway, un colosso gotico di un edificio che sembrava bere la nebbia come una bestia assetata. Era una struttura imponente, un monumento alla ricchezza e al potere, la sua grandiosità alludeva ai segreti nascosti che giacevano tra le sue mura. I giardini erano impeccabilmente curati. Eppure, l’aria intorno sembrava pesante, quasi soffocante, un palpabile senso di minaccia irradiava dalla sua imponente presenza.
Le telecamere di sicurezza ammiccavano nell’oscurità, i loro occhi rossi osservavano, giudicavano. Le guardie, severissime e vigili, pattugliavano il perimetro, la loro presenza era un duro promemoria del potere e dell’influenza della famiglia Holloway. Era chiaro che entrare nella villa sarebbe stata un’impresa estremamente rischiosa, che richiedeva una pianificazione meticolosa e una strategia attenta. Ma Emily sapeva, nel profondo, che le risposte che cercava si trovavano all’interno di quelle imponenti mura.
Doveva trovare un modo per entrare.
La sua ricerca si intensificò, scavando più a fondo nella storia della famiglia Holloway, scoprendo vecchi articoli di giornale e documenti polverosi che accennavano a un lato oscuro della loro eredità, un lato che la città aveva fatto del suo meglio per seppellire sotto strati di rispettabilità artificiale. Fu in quegli archivi invecchiati, tra l’odore statio della carta in decomposizione ei sussurri di storie dimenticate, che Emily inciampò in un nome: Project Genesis.
La menzione di un progetto di ricerca genetica abbandonato da tempo, una serie di studi sperimentali sussurrati come immorali e potenzialmente pericolosi. Mandò una scossa attraverso Emily. Non si trattava solo di una faida locale o di una qualche oscura rete criminale; era qualcosa di molto più significativo, qualcosa che avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche, non solo per Blackwood ma forse per il mondo intero. I pezzi stavano andando al loro posto, rivelando un quadro che si estendeva ben oltre la scomparsa della figlia del sindaco. Questa era la chiave. Questa era la verità che aveva bisogno di scoprire. La nebbia fuori si faceva sempre più fitta. Ed Emily seppe, con una certezza che la faceva rabbrividire fino alle ossa, che stava appena iniziando a comprendere l’oscurità che tormentava Blackwood.
Alessandra De Luca
Protocollo Blackwood è voglia e desiderio di riscatto, che diventa testimonianza e nel desiderio di riscatto vi è l’ immensita’ di una testimonianza bellissima, straordinaria, che dissipa le ombre, perchè ti da’ la forza di andare oltre le ombre stesse essendo testimonianza, visitando luoghi che spesso erano racchiusi soltanto nella nostra mente, e che avremmo sempre voluto visitare, raccogliere indizi, elementi, guardare con quella prospettiva oltre che ci porta ad essere veri investigatori e che ti porta ad entrare sul campo fantasticando, leggendo, andando oltre le righe, entrare nelle ombre per dissipare le ombre, un viaggio interattivo tra pensieri, indizi e luoghi fantastici da esplorare e da vivere immergendosi nell’ avventuroso brivido di questa intensissima lettura che ti proietta all’ interno del suo mondo non leggendolo soffermandosi sulle righe ma vivendolo in maniera intensa e viva!