Devo muovermi. Elena scosse la testa, cercando di scrollarsi di dosso quei pensieri. Si lavò velocemente il viso con l’acqua fredda e, mentre lo faceva, cercò di ripetere mentalmente il copione che seguiva ogni giorno: Sorridi, stai dritta, fai una battuta se serve, tutto andrà bene.
Quando scese in cucina, la mamma era già in piedi, vestita per il lavoro. Stava preparando il caffè e spalmando la marmellata su una fetta di pane tostato.
«Buongiorno, tesoro. Dormito bene?» le chiese con un sorriso che sembrava più un’abitudine che una reale domanda.
«Sì, tutto bene» mentì Elena, infilando un biscotto in bocca per evitare di dover aggiungere altro. Sapeva che sua madre non sospettava nulla, e questo era un sollievo. Non voleva che le cose cambiassero. Non voleva che la guardassero con preoccupazione.
Laura scese le scale pochi minuti dopo, con l’aria fresca di chi era sempre un passo avanti.
«Allora, pronta per oggi? Interrogazione di storia, giusto?» disse con quel tono incoraggiante che Elena a volte trovava insopportabile.
«Sì, più o meno. Non è niente di che» rispose Elena con un’alzata di spalle, mentre beveva il suo latte.
Le conversazioni mattutine erano brevi e leggere, quasi come se tutti in casa sapessero che scavare troppo in profondità avrebbe potuto svelare cose che nessuno vuole affrontare. Alle sette e trenta in punto, Elena prese lo zaino e si avviò verso la porta. Prima di uscire, sua madre le disse come ogni giorno: «Non dimenticare di sorridere. Sei così bella quando sorridi».
«Certo, mamma. Come sempre» rispose Elena, cercando di nascondere la punta di sarcasmo nella voce.
Fuori casa, l’aria era fresca e pungente, ed Elena provò un momento di sollievo. Il tragitto verso scuola era sempre lo stesso: una passeggiata di dieci minuti lungo strade tranquille, con le cuffie infilate nelle orecchie per creare una barriera tra sé e il mondo. La musica era l’unico rifugio che le permetteva di staccarsi dalla realtà, di isolarsi dalle voci e dai pensieri che altrimenti si sarebbero accavallate incessantemente nella sua mente.
Quando arrivò davanti al cancello del liceo, la maschera si attivò. Tirò un respiro profondo, sistemò i capelli con un gesto automatico e attraversò l’ingresso come se fosse una qualsiasi mattina normale. Nella folla di studenti che si accalcavano nei corridoi, Elena si sentiva invisibile, ma era un’invisibilità a cui si era abituata e che, in qualche modo, le era diventata necessaria.
«Allora, pronta per essere interrogata oggi?» le chiese Chiara, la sua migliore amica, mentre le si avvicinava con il solito sorriso radioso.
«Prontissima, come sempre» rispose Elena con una risata. Dentro, però, il panico iniziava a montare. Non aveva studiato abbastanza. Le date le si confondevano nella testa, e immaginava già la sensazione di vuoto che avrebbe provato davanti alla cattedra.
Il resto della mattinata passò tra lezioni, chiacchiere nei corridoi e qualche risata forzata. Elena sapeva esattamente cosa fare per sembrare a suo agio: lanciare battute quando serviva, annuire quando gli altri parlavano, sorridere senza sfociare nella teatralità. Ma, dentro di lei, ogni gesto era un piccolo atto di resistenza, come camminare su un filo teso sopra un abisso.
Durante la pausa, Chiara le raccontò di una festa che si sarebbe tenuta il sabato successivo.
«Dobbiamo andare, assolutamente! Ci sarà anche Andrea, quello che ti piace!» disse con un tono malizioso.
«Vedremo» risponde Elena, cercando di non mostrare quanto l’idea la spaventasse. La verità era che l’idea di trovarsi in mezzo a una folla di persone, con musica assordante e chiacchiere inutili, le sembrava insostenibile.
Quando la campanella dell’ultima ora suonò, Elena tirò un sospiro di sollievo. Sopravvivere alla scuola era sempre una piccola vittoria. Tornando a casa, però, il senso di sollievo si mescolò con l’ansia per i compiti e le aspettative.
Una volta in camera, si lasciò cadere sul letto senza togliersi nemmeno le scarpe. Afferrò il diario nascosto sotto il cuscino e iniziò a scrivere:
Oggi è andata. Nessuno ha sospettato niente. Ho riso, ho scherzato, ho finto di essere normale. Ma dentro mi sento vuota. Ogni giorno è una battaglia, e nessuno sembra accorgersene. A volte vorrei gridare, ma non lo faccio. Se lo facessi, rovinerei tutto.
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