Attraverso ciò che, forse, abbiamo vissuto e, ogni giorno, viviamo anche noi.
Perché in fondo, tutti abbiamo un destino a cui apparteniamo anche se non ricordiamo il momento in cui è nato.
Benvenuti, allora, che possiate trovare, fra queste pagine, quella parte di voi che stavate aspettando da sempre.
Prologo – Tutto era già nell’Universo
Io li ho visti.
Prima ancora che si vedessero.
Prima ancora che avessero un nome, una forma, una pelle da abitare.
Erano luce che si cercava, ombra che non faceva paura, promessa prima ancora di sapere cosa promettere.
Non erano ancora nati, e già si riconoscevano.
Non si erano mai incontrati, e già si chiamavano a vicenda.
Nel silenzio tra le stelle, nel battito di un tempo che non ha calendario.
Li ho seguiti, vita dopo vita, morte dopo morte.
Sempre gli stessi occhi, sempre lo stesso tremore quando si sfioravano.
Hanno sbagliato, si sono persi, si sono dimenticati.
Ma ogni volta si sono ritrovati.
E non perché fosse scritto, ma perché era già.
Come l’alba dopo la notte, come la voce nel vento.
L’amore non è destino, è memoria.
E questa è la loro.
Capitolo 1 – La prima voce del fuoco (voce dell’Universo)
Prima che tutto prendesse forma, prima dei nomi, delle città, delle guerre, in principio, c’era la luce.
E c’era l’ombra.
Non in lotta, ma in equilibrio.
Perché il mondo nasceva dal respiro di entrambi.
Poi venne il cuore.
Due scintille, unite nella stessa origine, che decisero di scendere nella carne.
Non per dominare, ma per amare.
Li ho guardati nascere come stelle.
Li ho osservati scegliere la vita.
Li ho visti brillare.
E l’ombra ha avuto paura.
Allora ha rotto l’equilibrio.
Ha sussurrato all’orgoglio, alla rabbia, al potere.
Ha spinto gli uomini a dimenticare.
A bruciare, a dividere, a inchiodare l’amore allo scorrere del tempo.
Ma io ho inciso la verità nel fuoco.
Nella sabbia.
Nelle ossa del mondo.
La profezia è nata in Egitto, nel cuore della notte, nel momento in cui una sacerdotessa ha sognato una stella che cadeva nel Nilo e un fiore d’ambra che fioriva fra le mani di un uomo senza nome.
Le parole le sono scivolate dalle labbra, e un anziano scriba le ha trascritte su una pergamena, senza sapere di custodire la chiave.
Poi la pergamena è scomparsa.
Rubata, o forse solo nascosta.
Le parole si sono disperse.
Ma io le ho salvate.
In un fiore che sboccia, in un raggio di sole, in un alito di vento.
In un affresco, in una canzone, in un codice cifrato dentro un diario perduto.
E in ciascuna epoca, chi ascolta col cuore può di nuovo sentirle.
La profezia dice:
“Quando l’ombra avrà camminato mille volte sotto mille nomi, e le due scintille si saranno amate e perse sotto mille cieli, allora verrà l’istante del ricongiungimento.
Solo se il cuore ricorderà prima della mente, e la luce sarà scelta senza paura, l’ombra cadrà.
E la vita comincerà davvero.”
Ora il tempo sta finendo.
E il cuore ha iniziato a ricordare.
Capitolo 2 – Dietro gli occhi di un gatto
Non aveva voce.
Non come in principio.
Non aveva mani, né parole.
Solo lo sguardo.
Occhi attenti, antichi, pieni di tutto ciò che non poteva dire.
La osservava.
Ora dopo ora, giorno dopo giorno.
La vedeva spegnersi a tratti, poi riaccendersi con un respiro.
La sentiva piangere silenziosamente, per non farsi ascoltare, con la testa affondata nel cuscino, mentre il mondo fingeva di andare avanti.
Era lì nel momento in cui subì l’ennesimo abbandono da parte dell’ennesimo uomo sbagliato, che la fece restare muta per ore, con lo sguardo perso e le dita strette attorno a una tazza che non beveva.
Era lì nel momento in cui si rannicchiava sul divano con una coperta addosso anche se non faceva freddo, come se volesse nascondersi dal mondo, o forse da sé stessa.
E lui non poteva fare nulla, solo starle accanto.
Strusciarsi piano contro la sua gamba, posare il musetto sul suo petto e miagolare dolcemente, sperando che capisse che c’era, che era lui.
Ma lei non ricordava, non ancora.
E quel non potersi rivelare lo lacerava.
Ogni notte, seduto sul davanzale, guardava il cielo cercando una via d’uscita, un varco fra le stelle.
A volte il fiore d’ambra sembrava pulsare sotto la luna.
A volte sentiva il richiamo di ciò che era stato, un invito alla fuga.
Eppure, restava.
Nonostante l’attesa, la prigione, la frustrazione, il dolore di vederla soffrire e non poterle stringere nemmeno la mano.
Perché l’amava.
Anche così.
Anche da lì, da dietro gli occhi di un gatto.
E sapeva, in fondo al cuore felino che di nuovo batteva con la memoria dell’uomo, che quel dolore non era vano.
Era parte del viaggio, parte del ritorno.
E nel momento in cui lei avrebbe ricordato, nel momento in cui avrebbe saputo, lui sarebbe stato lì.
Non più soltanto ad osservare, ma pronto a camminarle accanto.
Come aveva da sempre fatto.
Capitolo 3 – Il respiro del Nilo
L’aria profumava d’incenso e papiri bagnati, e il sole scivolava lento sulla pietra chiara del tempio.
Il Nilo, in lontananza, pareva dormire, ma lei ne sentiva il respiro sottopelle, come un richiamo antico.
Ankhesenam era una sacerdotessa del tempio di Iside.
Il suo sguardo, color nocciola, sapevano leggere i segni del cielo e interpretare i sogni dei vivi.
Di notte pregava le stelle, di giorno camminava fra colonne incise e silenzi sacri.
Lui era una guardia reale, incaricato di proteggere il santuario da chiunque volesse profanarlo.
Alto, fiero, con lo sguardo d’ambra che brillava anche nell’ombra delle colonne, si chiamava Mehu, ma lei lo avrebbe riconosciuto anche se avesse avuto mille nomi diversi.
Si erano incontrati all’alba, nel momento in cui i templi di nuovo sussurrano e gli dèi ascoltano.
Uno sguardo, una scossa.
Il tempo, per un attimo, aveva ceduto.
Ma non era concesso.
Non a loro.
Una sacerdotessa non poteva amare.
Una guardia non poteva desiderare chi serviva gli dèi.
Eppure, si cercavano nei corridoi bui, fra offerte e silenzi, scambiandosi sguardi che bastavano a incendiare il cuore.
Lui le donò un piccolo amuleto d’ambra, “contro le tenebre che verranno”, le disse.
Lei lo strinse al petto sentendo che era il dono più prezioso che avrebbe mai potuto ricevere.
Ma qualcosa si muoveva, invisibile, nell’ombra.
Un sacerdote anziano, corrotto dal potere e assetato di controllo, li spiava, li temeva.
Aveva letto nei segni che quell’unione avrebbe portato equilibrio dove lui bramava caos.
Una notte, Mehu sparì senza lasciare traccia.
Nel suo alloggio, soltanto sabbia e quiete.
Lei urlò senza voce, pianse senza lacrime.
E nel momento in cui, giorni dopo, trovò l’amuleto d’ambra uguale a quello che le aveva donato ai piedi della statua di Iside, capì che era stato sacrificato, senza colpa, ma per paura.
Da allora, ogni notte, sussurrava il suo nome nel vento del deserto.
E il fiore d’ambra che portava al collo pulsava, lieve, come un cuore che non voleva dimenticare.
Capitolo 4 – Il veleno del dio dimenticato
Il tempio era silenzioso, ma la quiete non era mai innocente. Serpenti sacri dormivano fra le crepe delle colonne, e l’aria sapeva di mirra e morte.
Il sacerdote si chiamava Khai.
Non il nome che gli era stato dato, ma quello che aveva scelto nel momento in cui aveva smesso di pregare gli dèi e aveva cominciato a usarli.
Aveva uno sguardo nero come l’abisso e mani sottili che sapevano leggere il futuro.
E plasmarlo.
Diceva di servire Iside, ma nel buio del suo cuore, venerava un altro dio.
Uno dimenticato, nascosto fra le dune, che prometteva potere in cambio di rovina.
Aveva visto la luce nascere fra la sacerdotessa e la guardia.
E la temeva.
Non perché fosse proibita, ma perché era vera.
Perché quell’amore vibrava con la stessa forza che in principio aveva legato cielo e terra.
E perché, in un angolo remoto della sua anima, sapeva che nulla avrebbe potuto spezzarlo.
Tramò in silenzio.
Sussurrò menzogne ai superiori.
Fece scivolare veleno nei sogni del Faraone.
E nel momento in cui venne il momento, non servì una lama.
Bastò la parola giusta, nel posto giusto.
Fece scomparire Mehu come si fa sparire un’ombra al tramonto.
Ma qualcosa andò storto.
L’ambra che la sacerdotessa portava al collo iniziò a brillare.
Non con la luce del sole, ma con quella della verità.
E nel cuore di Khai nacque un’ossessione: se non avesse potuto distruggere quel legame, avrebbe dovuto seguirlo.
Anche attraverso i secoli.
Perché certe ombre non muoiono.
Si travestono.
Cambiano volto, voce, nome, ma rimangono ombre.
E così giurò a sé stesso: “Li separerò. In ciascun istante. In ciascuna forma. Finché l’ultima stella cadrà dal cielo.”
Capitolo 5 – Il soffio fra le dune (voce dell’Universo)
Io ero già lì, quando la prima stella cadde nel deserto.
Ero il vento che scolpiva le dune, la sabbia che si insinuava fra le dita, il sussurro silenzioso e sacro che precedeva il sorgere del sole.
Li ho visti ancora prima che si vedessero.
Lei, con la voce intessuta di preghiere.
Lui, con lo sguardo che portava il peso di tutte le battaglie future.
La loro unione era già scritta nelle pieghe del cielo, fra le costellazioni tracciate sulle volte del tempio, ma il mondo temeva la luce che non si può controllare.
Così ho sussurrato agli ibis in volo, agli scorpioni nascosti sotto la pietra calda.
Ho tracciato il simbolo dell’ambra sul cammino del sacerdote corrotto, perché ogni ombra che si alza lasci una traccia che io possa riconoscere.
Quando lui fu portato via, soffiavo fra le lacrime di lei.
Non per consolarla, ma per conservarla.
Perché l’amore non si perde.
Si trasforma.
E aspetta.
Io ho atteso.
Perché il ciclo doveva cominciare, e ciascuna fine è soltanto un varco verso il ritorno.
Capitolo 6 – La promessa
Non abbiamo mai smesso di cercarci.
Neanche nel momento in cui abbiamo dimenticato il nostro nome, né nel momento in cui il buio ci ha separati, trasformando i nostri volti in ricordi sbiaditi.
La promessa non ha voce, ma parla, non ha forma, ma ci tiene uniti.
È scritta in ciascun luogo in cui ci siamo sfiorati, in ciascun sguardo che ci ha riconosciuti prima ancora di capire.
È nei passi mossi senza sapere dove andare, nella luce che cade su alcune pietre come una carezza, nel silenzio che non fa paura.
La promessa vive nei luoghi che ci hanno accolti.
Torino la custodisce nei suoi riflessi.
La Sacra l’ha trattenuta per secoli, nelle crepe delle sue mura, nelle notti di vento e stelle.
Le ombre la rimembrano come si ricorda un canto sentito da bambini, che non si sa ripetere ma che non si dimentica mai davvero.
Forse non ci siamo promessi parole, forse ci siamo soltanto stretti la mano, in un istante lontano, e in quel gesto abbiamo inciso la nostra eternità.
Non sappiamo il momento preciso in cui l’abbiamo pronunciata.
Se fra le sabbie di un deserto, o sotto la pioggia, o se in una città che non esiste più.
Forse in un sogno.
Ma sappiamo che esiste.
Perché ogni volta che ci ritroviamo, ogni volta che il cuore ricorda, lei si ridesta.
E ci guida.
Senza chiedere nulla, senza pretendere risposte.
Solo con quella certezza assoluta e segreta che appartiene a ciò che è vero.
Capitolo 7 – Il richiamo
La luce dell’alba filtrava fra le tende come dita gentili.
Era una mattina qualunque, eppure qualcosa nell’aria era diverso.
Si svegliò di soprassalto, il cuore in tumulto, la pelle ancora scaldata da quel sogno che non riusciva a trattenere.
C’era sabbia.
C’era fuoco.
C’era un nome sussurrato fra le lacrime.
Scese dal letto con passi incerti, attraversò la casa come se non le appartenesse del tutto.
Ogni oggetto sembrava vibrare.
Ogni ombra sembrava osservare.
Si portò le dita al collo, dove non indossava nulla.
Eppure, sentiva il peso di un ciondolo invisibile.
Il ricordo di qualcosa che aveva accarezzato mille volte, in mille vite.
Chiuse gli occhi.
E venne il Nilo.
Venne la pietra bianca del tempio, le mani giunte in preghiera, il volto amato che spariva fra le sabbie.
Poi fu la fiamma.
Il cavaliere.
Il rogo e la resistenza.
Le rose selvatiche.
Poi i colori.
Il ritratto.
L’ambra sulla tela che non bruciava.
Poi il cielo in fiamme.
Il silenzio.
La perdita.
Aprì gli sguardo e respirò a fondo.
Lacrime calde le rigarono il viso, ma non tremava più.
Non aveva paura, sapeva che qualcosa di nuovo si stava risvegliando.
Era da sempre stata lei.
In ciascun istante.
In ciascun nome.
In ciascun amore.
E adesso, in questa vita, era il momento di ricordare tutto.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.