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Quello che non ricordo

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Consegna prevista Agosto 2026

Lisa torna nella casa della sua infanzia, dove ogni stanza custodisce un ricordo, un segreto, un’ombra del passato.
Dopo la morte della madre, la sua vita prende una piega inaspettata: riaffiora il mistero della sorella maggiore Clara, scomparsa anni prima senza lasciare tracce. Tra vecchie fotografie, lettere nascoste e incontri con persone enigmatiche, Lisa inizia un’indagine personale che la porterà a scoprire verità sepolte, legami mai confessati e la sua stessa identità, intrecciata a ciò che accadde in quel lontano passato.
Con colpi di scena sorprendenti e momenti di profonda introspezione, “Quello che non ricordo” è una storia di coraggio, amore e suspense, che ci ricorda che anche i segreti più dolorosi non possono restare sepolti per sempre.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro spinta dalla passione per il thriller psicologico e la suspense. Volevo raccontare una storia intensa di mistero familiare, verità nascoste e legami profondi. Il desiderio era far riflettere sui segreti che portiamo dentro e mostrare che, anche nel dolore, la verità può liberare e illuminare la vita.
Perché anche quando ci si sente persi nel buio più totale, arriverà una luce a guidarci, e sarà quella a darci la forza di andare avanti.

ANTEPRIMA NON EDITATA

A chi aspetta risposte da tutta una vita. 

Anche quando non sa più quali domande fare.

Capitolo 1 – Il ritorno

 

Mi chiamo Lisa, ho 34 anni.

Sono nata e cresciuta in un piccolo paese del sud Italia, un posto che per molti sarebbe stato un rifugio, ma per me è sempre stato un labirinto di ricordi e silenzi. Appena finiti gli studi, ho preso il primo treno per Milano, spinta dal bisogno di fuga, dal desiderio di dimenticare. Fuggivo da me stessa, dai ricordi che mi bruciavano dentro come brace nascosta sotto la cenere.

Ora lavoro come responsabile in una nota azienda in forte crescita. La mia vita potrebbe sembrare perfetta: stipendi alti, viaggi di lavoro, serate nei locali alla moda. Ma nessun successoprofessionale riesce a colmare il vuoto che mi segue come unombra, silenziosa e ingombrante.

Dietro il sorriso curato e gli abiti eleganti, nascondevo una ferita che nessuna città poteva sanare, un dolore che il rumore della città metropolitana e le luci dei grattacieli non riuscivano a coprire.

Per questo motivo, chi mi conosce mi descrive come una donna fredda, distaccata, quasi incapace di provare emozioni.

Ma non è così.

È solo che la mia infanzia è stata segnata da un evento tragico, una ferita aperta che non si è mai rimarginata.

Mia sorella maggiore, Clara, è scomparsa nel nulla quando avevo solo sette anni.

Ricordo ancora le sue risate nelle sere destate, il modo in cui i suoi capelli scuri catturavano la luce del tramonto mentre correva leggera tra i campi dietro casa. Ricordo i nostri giochi inventati, i segreti sussurrati sotto le coperte, i piccoli litigi su chi dovesse decidere a cosa giocare.

Poi, il silenzio.

Ricordo le urla disperate di mia madre, la confusione delle luci della polizia, le notti insonni passate a sperare in un miracolo. Ma Clara non è mai tornata.

Dopo mesi di ricerche, la nostra famiglia si sgretolò: mia madre cadde in un baratro di depressione da cui non uscì mai completamente, mentre mio padre si allontanò da noi senza lasciare traccia, cancellando ogni segno della sua presenza.

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Io, invece, sono cresciuta con un grande buco nella memoria. Non ricordo nulla di quella notte, nulla di concreto, nulla che potesse aiutare a ritrovare Clara o a capire cosa fosse successo. Ogni dettaglio che poteva essere importante era evaporato, lasciando solo un vuoto freddo e penetrante.

Dopo la recente morte di mia madre, ho deciso di tornare nella vecchia casa di famiglia.

Solo un weekend, mi sono detta. Il tempo di mettere in ordine, di fare pulizia, e poi mettere tutto in vendita.

Casa”, una parola che dovrebbe evocare calore, protezione, legami. Per noi, invece, era solo un lento e doloroso disfacimento: pareti invecchiate dal tempo, tende logore che ondeggiavano come spettri al minimo soffio di vento, mobili scheggiati e accumuli di polvere che raccontavano la trascuratezza di anni e anni di abbandono. Ogni angolo parlava di assenze, assenze pesanti come pietre.

Ero lì, a camminare tra corridoi silenziosi, con il cuore che batteva leggero e pesante insieme, respirando quellodore di legno antico e di casa chiusa da troppo tempo.

La stanza del soggiorno era immersa in una penombra innaturale.

Il ticchettio dellorologio a muro scandiva il tempo con una precisione quasi ostinata, come se volesse ricordarmi che, anche nella penombra, la vita fuori continuava.

Io, invece, ero ferma. Seduta a quel tavolo, che un tempo sprigionava risate infinite e deliziose cene. Aspettavamo con ansia la sera, il momento in cui ci riunivamo tutti e quattro, a parlare delle piccole cose, della nostra giornata, di quella vicina impicciona, dei nostri sogni. Sembra di non essermela goduta abbastanza, perché tutto è sfumato così presto. Eravamo felici e lo sapevamo, quello che invece non sapevo è che presto tutto sarebbe cambiato.

Mentre ero immersa nei ricordi, frugavo tra le vecchie carte dimenticate, fu allora che lo vidi.

Un disegno che non avevo mai notato prima. Era mio, lo riconobbi subito: quei tratti infantili, imprecisi, ma pieni di significato.

Cerano io, Clara e un uomo. Ma luomo… non aveva volto. Solo una sagoma sfocata, inquietante. Sentii un brivido lungo la schiena. Quel volto… lo conoscevo. Non sapevo da dove, non sapevo come, ma era familiare.

La finestra accanto a me scricchiolò allimprovviso. Mi voltai di scatto. Il vetro era chiuso, eppure la tenda ondeggiava come mossa da un soffio daria. Restai immobile, ad ascoltare il silenzio della casa, sembrava un manto pesante, rotto soltanto dal respiro affannoso che cercavo invano di controllare.

Appoggia distrattamente il disegno sul tavolo e salii in camera, con la mente in tempesta e il cuore pesante. Avevo bisogno di dormire. O almeno provarci.

La nostra vecchia cameretta era lì, come ibernata nel tempo.

Le pareti ancora tinte di rosa sbiadito, i poster scoloriti dei cartoni animati che tanto amavamo, la scrivania di Clara con ancora sopra i suoi quaderni, e quei libri ormai ingialliti che emanavano odore di vecchio e di carta dimenticata. Ogni oggetto era un piccolo frammento di vita spezzata, una testimonianza muta di un tempo che non sarebbe mai più tornato.

Mi sdraiai sul letto, fissando il soffitto con occhi vuoti, mentre il pensiero tornava sempre a Clara. A quella domanda che nessuno aveva mai voluto affrontare: che fine aveva fatto? Perché nessuno parlava mai di lei?

Quando Clara sparì, io diventai invisibile. Imparai a chiudere le emozioni, a non sentire più nulla. Diventai la donna fredda che tutti conoscono, ma dentro di me urlava il silenzio.

Verso le tre del mattino, dopo ore passate a rigirarmi tra le coperte senza pace, chiusi gli occhi per qualche minuto.

Un rumore secco al piano di sotto mi fece sobbalzare.

Il cuore martellava nel petto come un tamburo impazzito. Rimasi immobile, cercando di ascoltare ogni piccolo suono. Ogni scricchiolio del pavimento sembrava amplificato, ogni ombra un potenziale pericolo.

Poi, con le gambe che tremavano e la bocca asciutta, mi feci coraggio e scesi le scale.

Nessuno. Nessun segno di intrusi. Tutto era immobile, silenzioso. Troppo silenzioso. Laria era densa, quasi opprimente.

E poi lo vidi.

Il disegno. Ancora lì, ma cambiato. I bordi anneriti, come bruciati dal fuoco. E il volto delluomo… scomparso. Cancellato con una cura inquietante, come se qualcuno avesse voluto eliminare ogni traccia della sua identità.

Rimasi a fissarlo, il respiro corto, la mente in confusione. Chi poteva aver fatto questo? E perché? Quella semplice immagine, così infantile, era diventata un enigma impossibile da ignorare.

Mentre cercavo di raccogliere i pensieri, mi accorsi che intorno al disegno cera un odore particolare: una nota acre di cenere e di carta bruciata, ma mescolata a un sentore dolce, quasi di miele vecchio, che mi riportava alla cucina di casa nostra, ai biscotti che Clara e io preparavamo da bambine. Quel contrasto tra innocenza e minaccia mi fece rabbrividire.

Mi sedetti sul pavimento, appoggiai la fronte al tavolo, e lasciai che la memoria cercasse di emergere, come acqua in un pozzo profondo.

Ricordai momenti apparentemente insignificanti, che ora assumevano un peso diverso. La risata di Clara quando si nascondeva dietro la tenda, il modo in cui imitava mia madre, la promessa di proteggerci luna con laltra. Ogni ricordo era come un frammento di vetro, tagliente e luminoso allo stesso tempo.

Il tempo sembrava rallentare. Sentivo il battito del mio cuore scandire ogni secondo, ogni respiro, mentre una tensione crescente mi stringeva il petto. La mia mano sfiorava le vecchie carte, come se potessi sentire i ricordi impigliati tra di esse, intrappolati nella polvere e nellodore di carta.

Non potevo restare lì a fissare un disegno annerito senza cercare risposte. Dovevo scavare tra le scartoffie, tra i libri, tra i ricordi dimenticati. Dovevo capire. E, soprattutto, dovevo affrontare ciò che avevo nascosto a me stessa per anni.

Quella notte, mentre il vento sibilava tra le imposte e le ombre delle tende si allungavano come dita minacciose sul pavimento, compresi che il ritorno a quella casa non era un semplice weekend di passaggio. Era linizio di un percorso che mi avrebbe costretta a guardare in faccia al passato, a confrontarmi con la paura, con il dolore e con una verità che mi aveva sempre evitato.

Il disegno non era solo un oggetto: era un messaggio, una porta spalancata sul tempo perduto.

E io, finalmente, ero pronta ad aprirla.

 

 

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Valentina Di Giovanni
Mi chiamo Valentina Di Giovanni, sono nata e cresciuta in Sardegna, a Villasor.
Sono mamma di due bambine e, nonostante gli impegni della vita quotidiana, coltivo da sempre la mia più grande passione: la scrittura. Fin da adolescente amavo inventare storie e creare mondi immaginari pieni di emozioni e colpi di scena.
Questo è il mio primo vero romanzo, nato dal desiderio di esplorare misteri, segreti e fragilità umane attraverso il genere thriller e la suspense piscologica. Ho scritto questa storia per raccontare quanto la verità, anche quando fa male, non possa restare sepolta, e per trasmettere coraggio a chi cerca risposte anche quando non sa più quali domande fare.
Inoltre amo cucinare e cerco di mettere sempre tutto il mio amore in quello che faccio - in cucina come nella scrittura - perché credo che entrambe abbiano il potere di unire, emozionare e lasciare un segno.
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