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Richard e Leonia – Il sigillo del lupo e del fiore

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“Richard e Leonia – Il sigillo del lupo e del fiore” sono due racconti in un unico libro: due destini che affrontano la stessa lotta tra l’ombra che divora e la luce che resiste. “Richard e Leonia” racconta l’incontro tra un principe nato tra mura dorate e una fanciulla orfana, plasmata dalla fame e dalla perdita; tra crudeltà regali, segreti e vendette, il loro amore diventa scintilla di speranza. Estratto: “Credo che ci sia più ingiustizia nello stare a guardare chi la fa, piuttosto che farla.”
“Il sigillo del lupo e del fiore” segue Amarion, custode di un’antica profezia. In un regno di intrighi, tra ribelli e cavalieri, il suo destino si lega a un sigillo – un lupo bianco e un fiore a cinque petali – simboli di un potere capace di distruggere regni o riportare pace. Estratto: “Se la figlia della Fiamma Bianca sposa il Lupo Bianco… tre regni cadranno.”
Due storie su amore, libertà e scelte impossibili: nulla è più forte di un cuore che non si arrende.

Perché ho scritto questo libro?

Scrivere questo libro è stato scavare dentro di me, raccogliere sogni e ferite, notti insonni e speranze sospese. Richard e Leonia e il sigillo del lupo e del fiore nasce da silenzi e sacrifici, dall’amore per leggende di cavalieri e amori impossibili. L’ho scritto per ricordarmi che la bellezza può nascere dal dolore e che la forza si trova nel non arrendersi. È un viaggio epico e intimo, un canto di speranza e fedeltà ai sogni più veri.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

In un antico paese del Sud dell’Inghilterra viveva un Re molto avaro di nome Wotar. Il suo regno affacciava su un bosco bellissimo, ricco di selvaggina e frutti del quale egli era molto geloso, infatti, al di fuori delle mura che lo circondavano, vi era un decreto scritto su un cartello: “Chiunque attraverserà queste mura, sarà messo a morte per decapitazione”. Quindi il suo popolo, impaurito, moriva di fame nonostante l’abbondanza del suo regno. Non molto lontano viveva una fanciulla orfana di nome Leonia che usciva tutte le mattine con il suo arco e le sue frecce e andava a caccia facendo attenzione a non entrare nel regno del Re Wotar, altrimenti le sarebbe costata la testa. Leonia badava ai suoi due fratelli minori, Sersant e Kedi, da quando i suoi genitori furono uccisi proprio dal Re Wotar perché, per procurare ai loro bambini del cibo, oltrepassarono le recinzioni che dividevano il loro villaggio da quello del Re. Ora, come allora, la selvaggina scarseggiava nel bosco vicino la modesta capanna di Leonia e dei suoi fratellini, ma le sue abilità le avevano sempre permesso di cacciare, seppur a stenti, del cibo per sè e per loro.

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In un regno non molto lontano da quello del Re Wotar, invece, viveva un Re di nome Tarley con la sua regina Marscian. Il suo popolo era tra i più ricchi della terra e non temevano il loro Re come i sudditi di Re Wotar. Nonostante ciò, anche il Re Tarley aveva i suoi scheletri nell’armadio: tutto quello che si era guadagnato era frutto della disgrazia di un regno vicino, al quale, tempo addietro, portò via non solo le ricchezze ma anche un bambino in fasce, figlio della regina del posto, che uccise senza pietà dopo averglielo strappato dalle mani. Il Re Tarley, in quel tempo, era disperato poiché la moglie aveva partorito un bambino morto. Per lui, essendo avanti con gli anni, era molto importante che il suo regno avesse un erede del suo stesso sangue, perché non aveva nessun altro familiare. E, nella sua pazzia, non comprese che proprio a quel bambino che non era suo figlio, avrebbe lasciato il regno che temeva di dare ad uno sconosciuto. Nonostante ciò, il Re Tarley accudiva il bambino come fosse il suo, mentre la regina Marscian, ingannata dal marito che scambiò i bambini quando lei dormiva ancora stremata dal parto, lo viziava credendo fosse realmente suo figlio. Il tempo passava ed il bambino, di nome Richard, ormai ragazzo, cresceva tra un combattimento e l’altro che il Re Tarley gli organizzava ogni settimana per tenerlo lontano dalle mura del castello: più lontano dagli altri regni stava suo figlio, e più difficile gli sarebbe stato conoscere la verità sul suo triste passato. Richard amava combattere nell’arena con valorosi cavalieri sempre più forti ma mai quanto lui, e quindi non aveva interesse su cosa ci fosse fuori dalle mura. Il Re era molto orgoglioso del principe e organizzava più spesso dei tornei per renderlo felice e per far divertire il suo popolo che ad ogni vittoria del principe gridava: “Viva il Re Tarley! Viva la regina Marscian e il loro figlio Richard! Lunga vita al Re!”

Un giorno il Re Tarley dovette partire per svariati giorni e non potendo organizzare

i tornei settimanali di combattimento, lasciò Richard senza nulla a cui dedicarsi e, nel giovane, cominciò a crescere una forte curiosità nel sapere cosa ci fosse fuori dal castello, e se oltre all’arena avesse avuto altre passioni. Non passò molto tempo che la sua curiosità lo condusse fuori dalle mura del regno, fino ad arrivare nel povero villaggio che confinava col reame del Re Wotar. Mentre gironzolava in quei posti, fu sfiorato da una freccia e subito dopo sentì una voce dire, con tono ironico: “C’è mancato poco! Peccato che non mangio ragazzini altrimenti non vi avrei mancato…”. Richard si girò di scatto e vide una bellissima ragazza dai capelli castani lunghissimi, gli occhi nocciola e le labbra rosse come le fragole mature, e le chiese balbettando: “Voi…voi chi siete?” “Io sono Leonia e abito qui vicino, e voi? Non vi ho mai visto da queste parti”, ribadì la fanciulla. “Io sono Richard e vengo da un regno non molto lontano. Cosa fate con quell’arco e quelle frecce?” chiese ancora Richard. “Cerco del cibo per me e i miei fratellini. Il Re Wotar non ci

permette di cacciare nel suo regno e il popolo sta morendo di fame. Io, dopo la morte dei miei genitori, mantengo come meglio posso la mia famiglia”, rispose Leonia. “Oh, mi dispiace…come sono morti i vostri genitori?” chiese Richard. “Stavano cercando di uccidere un cervo per sfamarci e non si accorsero che erano entrati nel regno del Re…” Ma Leonia non fece in tempo a finire il racconto che venne distratta dalle guardie del Re Wotar che inseguivano, a cavallo, un bambino con in mano una lepre: “Fermati ragazzo, in nome del Re!” Urlavano. Ma il ragazzino non si fermava. Leonia lo riconobbe: era il figlio dei vicini di casa! Così si mise a correre per cercare di aiutare il suo amico, e Richard la seguì. Non poco più tardi, il ragazzino finì nelle mani delle guardie: “Portiamolo al Re Wotar!” Dissero. “Lasciatemi, lasciatemi stare! Avevo fame!”, urlava il ragazzino. Leonia e Richard arrivarono troppo tardi e da dietro il recinto, che divideva il reame del Re Woter al suo, videro il ragazzino legato al cavallo e trascinato dalle guardie. Allora, Leonia entrò subito nel regno per cercare di salvarlo e Richard la seguì. Poco dopo, si trovarono nei pressi di un enorme piazzale vicino il castello del Re. Vi era un trono ai margini degli alberi attorno e un grosso ceppo al centro. Leonia e Richard si nascosero dietro un albero e dopo un po’ videro arrivare il Re Wotar seguito dai suoi sudditi, dalle guardie che portavano il ragazzino, legato e bendato, e dal boia. La scena era familiare a Leonia…ciò le ricordava la morte dei suoi genitori e, presa da una forte disperazione, cercò di urlare e correre verso il centro della piazza per salvare il ragazzino, ma, fortunatamente, venne fermata da Richard che, tappandole la bocca, le disse: “Non possiamo fare nulla, se solo ci provassimo, faremmo la sua stessa fine.” Le lacrime cominciarono a rigare il viso della fanciulla che guardava impotente quella tragica scena. Dopo un po’ il Re Wotar ordinò di tagliare la testa al ragazzino che morì sul colpo. Leonia sentì come una pugnalata al cuore, le gambe le cedettero e si lasciò cadere a terra insieme a Richard che continuava a soffocare, con le mani sulla bocca, i pianti della fanciulla, evitando così di essere scoperti. Dopo qualche minuto, il pianto diede spazio al silenzio e in fine alla rabbia e allora Leonia disse: “Volevate sapere come sono morti i miei genitori? Eccovi servito, lo avete appena visto!” Richard rimase in silenzio, anche lui era visibilmente sconvolto e non sapeva cosa dire a quella fanciulla che aveva dovuto assistere impotente ad una simile tragedia una seconda volta. Leonia era preoccupata soprattutto per i genitori del ragazzino, cosa gli avrebbe dovuto dire? Ne avrebbe avuto le forze? E col cuore a pezzi disse: “Quasi ogni giorno, stremato dalla fame o per sfamare i propri figli, qualcuno supera il recinto che circonda il regno del Re Wotar e muore decapitato. Domani potrebbe capitare a me, chissà…e chi sfamerà poi i miei fratelli? Cosa gli verrà detto sulla mia morte? Prima che capiti una cosa del genere, io ucciderò il Re Wotar! Lo prometto su ciò che ho di più caro!” Richard cercò di farla ragionare dicendole: “Sono molto dispiaciuto per ciò che accade qui, io non ne ero al corrente. Sono sempre stato chiuso nel mio castello, e ora mi rendo conto che il mondo è più ingiusto di quanto credessi e che la giustizia che io vedevo, era solo una farsa racchiusa in quelle mura. Mio padre mi ha sempre nascosto la crudele realtà che c’era fuori dal suo regno, restandosene oltremodo indifferente. Credo che ci sia più ingiustizia nello stare a guardare chi la fa, piuttosto che farla.” Leonia ascoltò quelle parole con ammirazione e poi disse: “Pensavo che chi avesse i muscoli non avesse il cervello, invece mi devo ricredere!” E Richard, in difesa, esclamò: “Penso che chi curi solo il corpo sia poco intelligente, chi cura solo la mente sia intelligente ma non troppo, e chi cura solo lo spirito abbia una intelligenza semplice, pura, di base. La vera genialità sta nel curare allo stesso modo: mente, corpo e spirito. Siamo fatti di tutte queste cose e il corpo è la casa della mente, dello spirito, del cuore e dell’anima. Se non trascuriamo nulla, sarà più piacevole convivere con se stessi e far convivere gli altri insieme a noi. Una “casa” curata all’interno e all’esterno ci rende più felici e fa sì che chiunque entri, non solo si trovi a proprio agio, ma diventi automaticamente

rispettoso di quell’ambiente curato; a differenza di chi, entrando in una casa disastrata, non si preoccupa nemmeno un po’ di avere le scarpe sporche.” Leonia era esterrefatta dalla saggezza di quel fanciullo e rimase senza parole. Dopo poco, Richard troncò quel silenzio di ammirazione, dicendole che l’avrebbe accompagnata dai genitori del piccolo ragazzino defunto, e che avrebbe procurato lui stesso del cibo per loro. Leonia calò il capo in segno di approvazione e riconoscenza e così si incamminò verso il villaggio insieme a Richard. Appena arrivarono alla capanna della fanciulla, trovarono proprio i genitori del piccolo assassinato, Parcival e Talitha, che stavano per bussare alla porta di Leonia. Vedendola arrivare, Talitha esclamò: “Leonia! Meno male che siete qui! Sta per tramontare il sole e ancora il nostro bambino non è tornato a casa, volevamo chiedervi se lo avevate visto…” Leonia cercò di dire qualcosa, ma la voce era come se fosse sparita e le lacrime scendevano da sole. Allora Richard decise di parlare al posto suo e disse: “Milady, so che non ci conosciamo ma vorrei dirvi che vostro figlio…” “Lo so!” Lo fermò la donna: “…è morto.” E senza aggiungere altro si girò e tornò a casa col marito. Leonia era ancora impietrita e Richard le disse: “Ora è tardi e devo tornare a casa, ma domani verrò a trovarvi e vi porterò del cibo. Promettetemi, però, che nel frattempo non farete pazzie”. Leonia glielo promise e lo salutò, ma passò comunque la notte a pensare al povero ragazzino e al Re Wotar. La rabbia le offuscò i pensieri, chiuse i pugni così fortemente che le unghie quasi gli bucarono i palmi delle mani. Poi una immagine dolce la calmò: il volto di Richard. Allora pensò ai suoi splendidi occhi color miele, ai suoi folti capelli neri, al suo ineguagliabile sorriso e al suo fisico statuario…all’improvviso si accorse di arrossire e il cuore le batteva forte. Cercò di spostare i pensieri su altro e riuscire a dormire per far sì che l’indomani arrivasse subito e potesse rivederlo. Quando Richard arrivò nel suo castello, all’ingresso trovò suo padre ad aspettarlo: “Richard, dove sei stato!” Chiese il Re Tarley. E lui rispose con la voce un po’ tremante:”Pa…padre, siete già tornato?” “Sì, figliolo, mi mancava la mia famiglia. Allora, dove sei stato?” Chiese ancora il Re. “In giro per i boschi del regno…non sapevo ci fossero tanti animali qui intorno.” Rispose Richard. Ed il Re Tarley allora esclamò contento: “Ah, hai perlustrato il mio regno!? Sono felice, devi conoscere ciò che un giorno sarà tuo.” E si ritirò nella sua stanza lasciando il principe con un sospiro di sollievo. L’indomani mattina Richard saltò giù dal letto e prima ancora di fare colazione si intrufolò nelle dispense del castello, dove tenevano il cibo, e cominciò a mettere in un sacco tutto ciò che poteva. All’improvviso sentì una voce: “Milord, cosa fate?”, e con un balzo Richard fece cadere le provviste a terra: “Ni..ni…niente!”. Poi si girò e vide una fanciulla di bell’aspetto, di nome Viperia, che lo amava da sempre, e che sorridendo continuò a parlare: “Avanti, Milord, potete fidarvi di me, non dirò nulla”. Allora Richard pensò che un aiuto non sarebbe stato male e confidò alla ragazza tutta la verità. Viperia, sentendo parlare di Leonia, si fece verde dall’invidia tanto che, se avesse potuto, avrebbe urlato! Ma pensò che, se avesse aiutato il principe, avrebbe potuto conoscere la fanciulla, farsela amica e togliersela di mezzo senza destare sospetti. Era una opportunità che Viperia non poteva perdere perché questa occasione le avrebbe permesso di stare vicina al principe nonostante la differenza di classe che non glielo aveva mai permesso. Così si rasserenò e disse: “Milord, contate pure su di me e sul fatto che sarò una tomba e non dirò nulla.” Richard aveva gli occhi pieni di gioia per le parole della fanciulla, e cominciò a vedere in lei qualcosa in più che lo attirava, oltre al palese fatto che fosse bella e che avesse degli occhi magnetici e di un verde molto affascinante ed ipnotico. Ciò però non lo distrasse dall’impegno che aveva preso e mentre ritornò a raccogliere il cibo nel sacco, Viperia non perse occasione per sfiorargli la mano, il braccio, o qualsiasi cosa pur di suscitare in lui dell’interesse. La cosa sembrava stesse funzionando tanto che Richard spesso arrossiva, e non poteva fare a meno di pensare alla differenza tra lei e Leonia che

era, invece, una ragazza molto coraggiosa ed intelligente, ma allo stesso tempo timida e a volte impacciata. Prese le provviste, Viperia e Richard si incamminarono verso il villaggio. Appena arrivarono videro Leonia che, un po’ insospettita dalla presenza di Viperia, andò subito a presentarsi: “Salve, io sono Leonia e voi?” Viperia, sforzandosi di non far notare la rabbia che le suscitò la semplicità e la bellezza di Leonia, rispose: “Molto lieta, io sono Viperia e vivo al castello col principe e ci vediamo tutti i giorni.” Questa puntualizzazione fece subito capire a Leonia di avere davanti a sé una donna determinata, bella, e interessata al suo Richard. Quel principe che non l’aveva fatta dormire per il suo affascinante aspetto, per il suo coraggio, la sua disponibilità, intelligenza e per il suo animo nobile. Si rese conto, in più, che la sua classe sociale non era tanto diversa da quella di Viperia e che quindi entrambe avevano le stesse possibilità col Principe. Inoltre, il modo in cui Richard aveva sorriso alla sua precisazione, le aveva messo in testa brutti pensieri e si era molto scoraggiata. Ma al momento doveva pensare ai suoi fratellini che avevano fame.

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Amerina Longobardi
Amerina Longobardi nasce a Pedace (Cosenza) il 9 novembre 1982. Fin da giovanissima coltiva una profonda sensibilità per la scrittura, vissuta come strumento di indagine dell’interiorità e dei legami invisibili che uniscono le persone. Nel 2013 pubblica i suoi primi testi in una raccolta curata dal poeta Elio Pecora, avviando ufficialmente il suo percorso letterario. Nel 2016 esce per Teomedia l’ebook Albaurora, fiaba poetica, dove mito e amore si intrecciano in un regno incantato. Nel 2020 pubblica con Doxa Editrice Scrivere è un silenzio parlato, manifesto poetico che riflette sulla scrittura come voce interiore capace di superare il rumore esterno. La sua produzione, sospesa tra poesia e prosa, si distingue per uno stile intenso e intimo, in cui ricorrono i temi del silenzio, dell’attesa e della ricerca di senso, rendendo la sua voce unica nel panorama contemporaneo.
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