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Consegna prevista Luglio 2026
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Nel cuore di Trastevere, una grande quantità di sangue viene rinvenuta in un vicolo. Nessun corpo, nessuna denuncia, nessuna indagine possibile. Ma un dettaglio cambia tutto: una fotografia enigmatica, trovata sul posto.
L’Ispettore Capo Moretti e il suo vice Russo coinvolgono Sara, fotografa forense dal passato irrisolto. Analizzando l’immagine, la donna scopre ciò che sfugge all’occhio: tra le linee dell’inquadratura, il corpo di una donna. Da questo momento niente è più come sembra. Una rete fitta di segreti, legami corrotti e indizi ambigui trascina i protagonisti in un’indagine non autorizzata, dove il confine tra giustizia e vendetta si fa sottile. Al centro dell’intrigo, una figura scomoda riemerge: l’ex Ispettore Capo Villa. Ma chi è davvero? E cosa nasconde?
Tra colpi di scena, ombre del passato e un ritmo serrato, questo thriller vi porterà nella Roma più cupa, dove il sangue è solo l’inizio e la verità… può uccidere.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto Sangue perché credo che dietro ogni segreto ci sia una verità capace di cambiare il destino di chi la scopre. Ambientato nei vicoli di Roma, il romanzo intreccia fragilità umane, desiderio di vendetta e inganni che rivelano quanto il passato possa condizionare il presente. È una storia che parla di scelte, di coraggio e di limiti sottili tra giustizia e ossessione. Non è solo un thriller, ma uno specchio delle nostre paure più intime e di ciò che siamo disposti a fare pur di sopravvivere

ANTEPRIMA NON EDITATA

Lunedì 5 ottobre

L’ispettore Evelio Russo varcò l’ingresso del commissariato cinque minuti prima dell’inizio del turno, come aveva fatto in trent’anni di servizio. La mente distratta, la volontà resa pigra dalla recente vacanza di quasi un mese che si era concesso per festeggiare i venticinque anni di matrimonio, e un solo desiderio: quello di iniziare la settimana con una giornata tranquilla. «Russo, l’Ispettore Capo vuole parlare con te. Devi andare subito nel suo ufficio». La faccia dell’agente scelto De Angelis era di quelle che si ignorano nei primi giorni di lavoro, e che poi si finisce con il detestare perché non dicono mai nulla di utile, soprattutto quando tra le righe si avrebbe il bisogno di misurare la situazione che di lì a poco si dovrà affrontare; un uomo tanto indifferente da raggiungere le vette più alte di fastidio. Russo lo osservò indispettito, spostando lo guardo dall’alto verso il basso, aiutato dalla statura di oltre venti centimetri sopraelevata. Tenne le mani sui fianchi, il peso quasi tutto sulla gamba destra, e puntò contro all’interlocutore il grosso naso aquilino e gli occhi vispi «De Angelis, qualche bella novità?». L’Agente scelto De Angelis si strinse nelle spalle, e fece una modesta smorfia di disappunto con le labbra sottili «Una novità» e riportò gli occhi di un azzurro slavato a prestare attenzione al giornale, che teneva spalancato sulla pagina sportiva, mettendo in mostra l’ampia pelata rossastra. Russo guardò in modo distratto i titoli che avevano calamitato l’attenzione del collega, per decidere se andare più a fondo della questione «E quale sarebbe?» «Riguarda Villa». Il riferimento a Villa, un concentrato di eventi drammatici, pose fine al dialogo. Prima di svoltare verso il corridoio che portava agli uffici dei superiori, decise di concedersi una piccola incursione nello spazio condiviso con i colleghi. Avrebbe dovuto essere più curioso di conoscere il motivo di quella richiesta, fatta esattamente nel primo giorno di lavoro dopo trenta di ferie, ma in realtà sperava in un evento straordinario per poterlo evitare, perché l’Ispettore Capo Villa era uno che calamitava la sfortuna. Lui ne era convinto, come gli suggeriva la metà napoletana, da parte di madre, che fin da bambino gli aveva insegnato che la iella si trasmette come i pidocchi o le malattie infettive, senza possibilità di difesa se non la giusta distanza. Guardò distratto verso le scrivanie, e con gli occhi contò le forze presenti per fare un rapido calcolo sulla quantità di impegni e di casi che il commissariato stava fronteggiando. Rinunciò a perdersi dietro alla speranza di un miglioramento della giornata, date le premesse, e prese la direzione degli uffici dei superiori. Si grattò il mento poco pronunciato, cercando di capire il motivo di quella convocazione, e camminò con passo svogliato. Si bloccò davanti alla porta dell’ufficio dove l’attendeva il suo superiore, e puntò gli occhi scuri, contornati da sopracciglia ribelli nere con ciuffi bianchi, sulla punta delle scarpe.

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Raddrizzò le spalle cadenti e inspirò profondamente. Bussò in modo trattenuto, arrivando a sperare nell’improbabile scherzo di De Angelis. «Avanti!» La voce filtrata dalla porta giunse diversa da quella che ricordava. Tuttavia l’aver spinto Villa nell’oblio per tutto quel tempo in cui aveva pensato a riposarsi e ad assecondare i capricci della moglie, poteva averne falsato i ricordi, si disse Russo. Aprì la porta senza il desiderio di andare a fondo della faccenda. Entrò con passo felpato, una mano a tenere la maniglia e l’altra nascosta per dare il via al rituale scaramantico al quale si abbandonava da anni, ogni volta in cui la situazione lo aveva richiesto, il che era capitato quasi sempre in quell’ufficio. Si bloccò sorpreso, vedendo seduto dietro alla scrivania dell’Ispettore Capo Villa un uomo molto più giovane, con qualche filo bianco sulle tempie e una capigliatura rigogliosa di un castano scuro. «Entra, Russo, accomodati». La voce giovanile e profonda del superiore non sfruttò la forza dei gradi, rimanendo cordiale. «Sono il nuovo Ispettore Capo Fabio Moretti. Villa è andato in prepensionamento per assistere la madre, che ha avuto un peggioramento dello stato di salute. Prima di metterti al corrente sul caso che stiamo seguendo, hai da farmi delle domande?». Russo si vantava della capacità di capire l’indole delle persone. Lo sguardo diretto del nuovo superiore glielo faceva valutare in modo positivo: gli occhi di taglio medio grande, e i lineamenti né troppo duri e né troppo delicati, donavano a Moretti un aspetto autorevole ma senza eccessi. «Cognome e nome tipicamente romani?!». Russo, era incapace di fare domande dirette, un limite che soprattutto negli interrogatori lo sanzionava, conducendo la sua carriera a una situazione di stallo. «Sì, sono nato a Roma, dove ho vissuto per circa dieci anni. Poi la mia famiglia si è trasferita a Firenze. Ho fatto i primi anni di servizio in Sicilia, poi alla mobile di Milano». “Uno con le palle, quindi” pensò Russo che si astenne dal domandare l’età, perché era chiaro che Moretti aveva almeno dieci anni in meno rispetto a lui, e non voleva oltrepassare la sottile linea dell’invidia, che avrebbe complicato la collaborazione obbligata «In quale sezione lavoravi?». «Nella sezione tre». Russo spostò l’attenzione sulle mani di Moretti, ben curate e senza segni di ansia o di insicurezza, con le unghie della giusta lunghezza. Si sforzò di pensare a quali altre domande fare per capire il motivo del trasferimento: dalla sezione dei crimini contro le persone a un ordinario commissariato. L’Ispettore Capo Moretti studiò con attenzione l’atteggiamento del suo vice, tenendo gli occhi neri immobili sul volto segnato dall’eccessiva magrezza di Russo «Se non hai altre domande, ti faccio il riepilogo del caso di omicidio che ci sta tenendo impegnati». Russo contrasse gli occhi riducendoli alla metà della loro dimensione. «C’è qualche problema, Russo?». «Sono una persona molto scaramantica e, a mio modo di vedere, non porta nulla di buono il fatto che appena arrivi dalla sezione dei Reati contro le persone, ci troviamo subito a dover affrontare un caso di omicidio. A questo aggiungo il fatto che gli omicidi capitati nei miei anni di esperienza in questo commissariato sono stati pochi, e spesso dovuti a fatti non dolosi. Ovviamente è un parere puramente personale, ma qui lo sanno tutti che sono fatto così». L’affermazione condotta con serietà da Russo non turbò Moretti, che lasciò vincere un sorriso luminoso, ornato dalla barba a fare da cornice alla bocca regolare «Finché non farai qualche strano rituale, per me puoi pensare quello che vuoi. Io credo nella casualità e non nella sfortuna o nella fortuna. Non entriamo nel merito di queste cose, e non avremo problemi. Apprezzo la schiettezza, questo è un tipo di accordo che faccio con i colleghi di qualsiasi grado» Indugiò per lunghi secondi sul volto di Russo, e cercò di carpire l’emozione predominante trasmessa dagli occhi nocciola e verdi, di quello che sarebbe stato in quella nuova esperienza lavorativa il suo vice. Moretti prese in mano dei fogli con degli appunti scritti di pugno «Allora tornando al caso, abbiamo un uomo che ancora non è stato identificato, trovato venerdì mattina in zona Villa Sciarra. Dall’esame condotto per la constatazione della morte da parte del medico di turno sembra che sia stato raggiunto da più colpi di arma da fuoco. Si dovrebbe trattare di tre proiettili, ma dovremo attendere l’autopsia. Siamo anche in attesa dei primi riscontri da parte della scientifica e della balistica. L’arma non è stata rinvenuta sul luogo dell’omicidio, ma abbiamo tre bossoli. Al caso stanno lavorando Conte e Ferri». Russo risucchiò le guance, che iniziò a tormentare con i molari. «Qualcosa che non va?» Moretti cambiò espressione divenendo prevenuto. Se ci fosse stato Villa avrebbe raccolto quella scelta e se la sarebbe ficcata giù nella gola a forza, ma il novellino, a suo modo di vedere, aveva commesso un errore in buona fede e doveva conoscere le dinamiche del commissariato «Quei due non lavorano bene insieme. Primo, hanno problemi a organizzarsi; secondo, mancano di iniziativa e terzo, sono male assortiti… nel complesso sono rissosi, approssimativi e avventati». «Informazioni che mi sarebbero state utili due giorni fa» Moretti posò i fogli sulla scrivania, che non presentava nient’altro che un raccogli penne, il monitor del computer, la tastiera e il mouse. Un ampio tavolo che non poteva nascondere nulla. Russo pensò di essersi spinto troppo oltre i propri doveri. Il fatto che avesse diversi anni di età e di servizio in più, non lo mettevano nella condizione di poter avanzare delle critiche, come già era capitato con altri colleghi che avevano occupato una poltrona più in alto della sua. Si appoggiò con le spalle allo schienale della sedia, attendendo in modo passivo i nuovi incarichi. «In futuro vorrei che mi informassi per tempo sulle dinamiche di cui sei a conoscenza. Mi è stato richiesto di migliorare l’efficienza dell’area di polizia giudiziaria. Apprezzo che non ti sia fatto nessun problema a manifestare le tue perplessità, e confido nel fatto che continuerai a farlo. Ti chiedo solo l’accortezza di farlo nei modi e nei luoghi più giusti» Tra i due ci fu una sorta di stretta di mano mentale. «A questo punto per equilibrare la situazione, ti chiedo di seguire in modo diretto Ferri e Conti sulle indagini. Tenetemi aggiornato». Moretti mantenne un piglio cordiale, ma non amichevole. Anche lui doveva misurare gli interlocutori con i quali aveva iniziato da alcune settimane la collaborazione o, come in quel caso, da pochi minuti. «Vado subito a vedere a che punto sono» Russo si alzò mettendo tutta la forza sulle braccia per staccarsi dalla sedia. «A proposito, auguri per i tuoi venticinque anni di matrimonio. Un bel traguardo al giorno d’oggi». L’atteggiamento formale di Moretti si era ritirato dietro a uno più aperto al cameratismo, come quando l’aveva accolto. «Sembrerebbe di sì, dato che è un aspetto che sottolineano in tanti». Russo si grattò il naso, valutando come accontentare le curiosità che erano ancora insoddisfatte «Non c’è nessuna signora Moretti?». «Non più, ci siamo separati cinque anni fa». L’ispettore Capo si alzò per accompagnarlo verso l’uscita. Russo uscì tenendosi incollati sulla schiena gli occhi del nuovo arrivato. Moretti tornò alla scrivania, prese il cellulare e cercò nella rubrica per decidere se far partire o meno la telefonata. Vinse il desiderio di sentire l’unica voce che avrebbe potuto attutire il senso di nostalgia per il trasferimento improvviso. Gettò un occhio all’orologio e si rese conto che non avrebbe ottenuto risposta. Si sforzò di combattere con il senso di malinconia, per accettare una distanza che non avrebbe potuto colmare, come faceva prima, per trovare in un abbraccio o un sorriso la forza con cui superare le difficoltà acuite dalle crescenti responsabilità dovute all’avanzamento nella scala gerarchica. Appoggiò il cellulare sulla scrivania, e si rimise a ragionare sulle zone critiche alle quali lavorare per raggiungere l’obiettivo di migliorare il rendimento degli uomini sotto il suo comando.

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Cristina Iadeluca
Classe 1973, Cristina Iadeluca vive immersa nella quiete delle campagne etrusche, circondata dalla natura e dall’amore dei suoi figli. Scrittrice dall’animo riflessivo, ha trasformato la propria esperienza di vita in parole nel suo libro d’esordio, pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Rue 96 de la Fontain. Un’opera autobiografica intensa e sincera, in cui si intrecciano memoria, emozione e ricerca interiore.
Lontano dal frastuono della modernità, trova ispirazione nei silenzi della terra, nei ritmi lenti delle stagioni e nello sguardo attento dei suoi figli. La scrittura per lei non è solo espressione, ma un atto necessario, una forma di resistenza e di verità.
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