Stretti e affocati su letti di Procuste stanno le mie consolazioni, sfogliando gli album di una vita intensa, a volte sprecata, altre volte violata per quel cinico arrivismo che mi ha costretto, da illustre imprenditore quale ero, a beffeggiare, spesso senza vero volere, operai, dipendenti, collaboratori, famiglia.
Sono ormai solo, senza neppure una moglie, preferita di gran lunga a quel mercato vizioso che mi ha sempre spinto a cercare e ottenere lusso, fama, grandezza…
Continuo tuttora a barcamenarmi in questo sistema vizioso che pretende vittorie assolute sull’italiano medio che, nonostante tutto, continua a fidarsi di me, di noi, della gente che imbroglia per ingarbugliare ulteriormente scelte di vita, spese, acquisti, debiti, sprechi… ordini illusori tra disordini ordinari…
Oggi non si rincorre più il petrolio, o meglio, non solo; si preferiscono altre conquiste, da raggiungere con la stessa ignobile ignoranza… e, così, c’è chi si arricchisce a dismisura e chi continua a ripiegarsi su sé stesso, senza neanche accorgersene. Si accettano per buone proposte di vendita e di acquisto, mentre i sultani esultano. Io farei parte di quest’ultima categoria, strabordanti uomini d’affare che tanto hanno e poco danno alla gente come alla loro stessa vita, satollante di lussuria, ingorda di onestà. Tuttavia, non sono più abbastanza cinico da non curarmi di questo prototipo umano e, sovente, rifletto su me stesso, ex sciovinista guascone dai poteri ormai ineleggibili…
Un tempo sbandieravo lusso e apprezzavo la sagacia di chi riusciva, fortuitamente e senza dote, a conquistare i podi più alti della società; oggi, al contrario, penso che l’insulso concetto di quantità e la mania di grandezza e potere siano relativi… ce lo dimostrano persino le poesie: pochi versi racchiudono immensi significati, così vari da necessitare lunghe pagine di libri e interi saggi per essere spiegati e per provare a scorgerne sfumature e sensibilità.
Non reggono cheating, voluttà, consumi e denaro di fronte all’essenzialità; non è accettabile l’ipotesi di scambiare soldi, successo, ville, automobili, conoscenze fuorvianti (date per nobili e scoperte disgraziate) con l’effettiva felicità, facilmente ottenuta con un abbraccio, una donna innamorata esclusivamente di te (non del tuo conto in banca!), una famiglia che dia riparo e conforto, nonché la pace della propria coscienza.
Gli affetti sono una cosa, i doveri e il lavoro un’altra. Saperli distinguere è già di per sé un atto d’amore!
Eppure siamo la disonesta rappresentazione di una società in crisi, sorretta da miti lontani, status symbol di vetro, che si sbriciolano ad ogni quotidiano urto con la vita vera, non quella pensata, supposta, surrogata da mille forse e chissà, sugellata da valori precari come i cieli stellati d’inverno…
Mi ritrovo, allora, a pensare sotto la doccia, mentre l’acqua scorre e io navigo… navigo… Con gli occhi chiusi e la cascata rovente che cerca invano di scrollarmi di dosso paure e rimpianti, immagino una ‘vita condizionale’, di cui avrei potuto godere se solo non avessi accettato reboanti compromessi e giurato rovinose promesse.
Attratto dalla grandezza non sono stato in grado di essere effettivamente grande, di avere il coraggio di scegliere l’amore, la pace, la vita…
Nonostante mi sia accorto dei grossi errori compiuti e, quindi, abbia dato leggero sollievo alla testa greve di pensieri, non sono del tutto sereno: fatico a risalire le mie rapide emozionali e i miei occhi cisposi stanno lì a raccontare l’amarezza di una vita trascorsa a fregare gli altri, compreso me stesso, per cercare di ottenere chissà cosa…
La rassegnazione tarda ad arrivare e il rammarico resta vivido tra gli anfratti del mio cuore, angusto come le caverne platoniche, senza luce, senza lume, senza amore.
Il sultano che è in me non morirà mai e questa è la mia più grande condanna…
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Disorientante lussuria, disorientata amarezza
Di corsa procediamo verso mete ambiziose, senza guardarci attorno, senza soste, senza ripensamenti.
Attratti dal traguardo trascuriamo persino noi stessi, correndo il rischio di dimenticarci chi siamo e cosa realmente vogliamo…
A menadito conosciamo il percorso, ma non badiamo al paesaggio, ai compagni di viaggio, alla musica di sottofondo, e confondiamo la destinazione con la nostra stessa fine.
Crediamo che raggiungere l’ambito obiettivo possa precluderci onestà e correttezza, perciò tiriamo dritto ad ogni costo…
Il lusso ci persuade, così come la possibilità di possedere sempre di più, che siano soldi, case, donne, uomini, automobili, aziende, followers, vacanze, foto accattivanti, fonte di vuote reazioni che instaurano finte relazioni…
Succede, allora, che la voglia di primeggiare ceda presto il posto all’amarezza di non avercela fatta come uomini, diventando, di conseguenza, disorientante, pronta a restituire dispiaceri e delusioni disequilibranti…
Eppure non ci va di mollare e ci convinciamo che prefissarci un altro lussurioso traguardo possa restituirci maggiore successo. Ricaschiamo su gare quotidiane, per cose che spesso nemmeno capiamo…
Corriamo, ci arrabattiamo tra testi di canzoni da reinterpretare e libri troppo lunghi da completare; preferiamo le scorciatoie, i percorsi semplici e già spianati da chi, prima di noi, ha cercato di farcela subito, senza troppo sudore…
Conquistiamo, di conseguenza, amori di cartapesta, che posano sentimenti e innamoramenti sulle gambe mence del denaro, dei mariti ricchi e delle mogli modelle, degli amanti santi e degli amici codini che, tuttavia, su Instagram osano sfoggiare profili degni di una Giovanna D’Arco degli anni 2000.
Ciò che resta di simili scenari nonsense sono le continue lotte tra il Bene e il Male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che ci fa provare gioia e ciò che ci distrugge.
Ma ciò che ci fa stare bene è esso stesso il bene?
Ci sono uomini che stanno bene guardando un film al cinema, altri che, al contrario, si appagano pestando un ragazzo appena uscito da un locale; ci sono uomini che adorano cantare sotto la doccia e ballare ai concerti Rock, altri invece amano puntare tutto su una partita a carte, lasciando case, famiglie, lavori; ci sono uomini che trovano pace osservando un tramonto in riva al mare e altri che preferiscono bruciarsi i neuroni con dosi massicce di droghe.
Se sono tutti sereni allo stesso modo, quale tra questi è il vero Bene?
L’unica, ragionevole soluzione a questo banale dilemma è che il Bene non è un personalissimo eccipiente con cui medicare umori miopi e stati d’animo stazionari; il Bene è un accordo stretto tra la correttezza e il piacere, un compromesso risalente all’origine della vita stessa e che vede sul podio il rispetto proprio e altrui, l’amore per sé e per “l’altro da sé”, senza distinzione alcuna.
Il Bene è equilibrio, l’unico pre-giudizio da condividere a priori: non esistono alternative, perché dove stanno concordia e lealtà alberga l’universale serenità.
Tuttavia, nonostante l’assolutezza del Bene, fatichiamo ancora a dar tregua all’amarezza di protervi errori esistenziali e combattiamo contro ideali sbagliati, anche se perseguiti con fermezza…
Siamo forse tutti sultani?
Sultani, infatti, non sono esclusivamente imprenditori megalomani ed ereditieri di buona sorte; sono sultani i cinici, gli arrivisti, gli egotisti, chi vuole senza essere disposto a dare, chi pretende senza mai fare…
Sultani sono i depositari di valori ovattati che, nel rumore della coscienza, restano in silenzio senza mai chiedere perdono…
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