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Sotto la superficie

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Consegna prevista Dicembre 2025
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Un segreto sepolto. Una minaccia nell’ombra. Una corsa contro il tempo.
Alessandro Vitale pensava di aver chiuso con il passato. Ma il passato non chiude mai con te. Ex militare, oggi poliziotto disilluso, si ritrova invischiato in un’indagine che sembra nascondere molto più di quanto appare. Una telefonata anonima, un capannone abbandonato, tracce di qualcosa di oscuro e pericoloso.
Qualcuno lo sta cercando. Qualcuno conosce il suo passato. Ma chi? E perché proprio ora?
Alessandro e la determinata Laura Pallavicini si troveranno a seguire una scia di indizi che li porterà a mettere in discussione tutto ciò in cui credono. Ma sotto la superficie della realtà si nasconde qualcosa di inquietante… e più si avvicinano alla verità, più il pericolo si fa letale.
Un thriller avvincente e carico di tensione, dove nulla è come sembra e ogni scelta può essere fatale.
Apri il libro. Ma fai attenzione: una volta entrato, sarà difficile tornare indietro.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro perché sentivo il bisogno di esplorare i limiti tra passato e presente, tra ciò che crediamo di aver lasciato alle spalle e ciò che torna a bussare alla nostra porta. Volevo dare vita a personaggi segnati dalle scelte, dal destino e dal peso dei segreti. Sotto la superficie è nato dal desiderio di raccontare un thriller avvincente, ma anche un viaggio interiore, dove la verità è sempre più profonda di quanto sembri.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Capitolo 1

Alessandro

Il ticchettio dell’orologio era l’unico suono che accompagnava il silenzio ovattato dell’ufficio. Le luci al neon, tremolanti, gettavano una luce fredda e innaturale sulle pareti bianche e sul pavimento lucido. Alessandro Vitale si spostò sulla sedia di plastica scura, il corpo stanco che protestava a ogni movimento. Aveva da poco passato i cinquanta, ma il volto scavato e segnato da rughe profonde lo faceva sembrare molto più vecchio. I capelli castani brizzolati, ormai radi, e la barba incolta, quasi completamente bianca, gli conferivano un’aria trasandata. Non era sempre stato così.

Ogni cosa in quell’ufficio lo soffocava: le pareti bianche, il pavimento riflettente, la solitudine. Si passò una mano sulla nuca, quasi come a voler strappare via il peso del passato. Sono arrivato qui perché non ho avuto scelta, pensò.

La verità era che il suo fallimento come imprenditore lo aveva trascinato in una spirale di rimpianti e compromessi. Aveva aperto il suo negozio con grandi speranze, convinto che potesse rappresentare una svolta, un modo per costruire qualcosa. Ma i debiti si erano accumulati più velocemente dei clienti, e in pochi anni si era ritrovato senza un soldo e senza prospettive.

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Quando il negozio aveva chiuso, Alessandro si era sentito perso. Cercò lavoro ovunque, ma a quasi quarant’anni con un passato nell’Esercito e poche competenze civili, le porte sembravano tutte chiuse. La Polizia era stata l’unica via d’uscita. Non era una scelta: era una necessità.

Entrare in Polizia gli aveva restituito una parvenza di stabilità, ma non di soddisfazione. Non c’era cameratismo, non c’era quel senso di appartenenza che ricordava dai tempi dell’Esercito. Il lavoro era diventato una routine, un modo per guadagnarsi lo stipendio senza pensare troppo. Eppure, ogni tanto, si chiedeva se avesse fatto la cosa giusta.

Le sue mani tamburellavano sul piano della scrivania vuota, un gesto nervoso che non riusciva a controllare. “E se avessi resistito di più?” pensò, lo sguardo perso nel vuoto. “Se non avessi lasciato l’Esercito? Era un sacrificio, sì, ma almeno avevo una direzione. Ora cosa mi è rimasto? Turni di notte che nessuno vuole fare, e quel negozio… quel maledetto negozio che mi ha portato solo debiti.”

Alessandro chiuse gli occhi per un momento. Il ticchettio dell’orologio continuava, e per un istante gli parve di tornare indietro nel tempo. Venti anni prima, quando indossava ancora la divisa, camminava a testa alta e le spalle larghe reggevano un fardello che ora sarebbe stato insopportabile. “Ti rispetto, Vitale,” gli aveva detto il comandante, con un sorriso che Alessandro non aveva mai dimenticato. “Sei uno su cui si può davvero contare.”

Ricordava quella sera, il cielo stellato sopra la base e il cameratismo che gli scaldava il cuore. “Ho fatto la scelta giusta,” si era detto allora, pensando a Sofia e ai suoi figli, al futuro che voleva costruire per loro. Ma quella visione svanì come un sogno interrotto, riportandolo alla realtà dell’ufficio vuoto. Ora non era altro che il fantasma di quell’uomo.

Le luci tremolarono per un istante, e Alessandro si passò una mano sul volto. Gli occhi grigi, un tempo pieni di determinazione, ora conservavano solo un accenno della luce che li animava. Ogni volta che si specchiava, si chiedeva dove fosse finito l’uomo che era stato. Un uomo che sorrideva con fierezza, circondato dalla sua famiglia. Ma tutto era cambiato.

Il suo matrimonio con Sofia era ormai un guscio vuoto. Parlavano sempre meno, e quando lo facevano, era solo per dirsi cose necessarie. “Mi ama ancora? E io?” si chiese, ma non trovò il coraggio di rispondersi. Era più facile evitare la questione, rifugiarsi nel lavoro monotono, nei turni di notte, nei silenzi.

Un suono improvviso lo fece trasalire. Il telefono sulla scrivania vibrava. Alessandro lo fissò per un momento, esitando. Era un numero sconosciuto. Alla fine rispose.

“Vitale,” disse, la voce roca.

Dall’altra parte del filo ci fu un attimo di silenzio. Poi una voce profonda, familiare: “Ti ricordi ancora di me?”

Alessandro rimase immobile, il cuore che accelerava. La voce aveva un tono che gli faceva stringere lo stomaco, un misto di minaccia e nostalgia. “Abbiamo servito insieme, un tempo. Ho bisogno di parlarti.”

Quella voce fece scattare una miriade di ricordi. La base militare, le missioni sotto copertura, le decisioni difficili che avevano dovuto prendere insieme. Ma non erano ricordi piacevoli. Erano ombre. Alessandro deglutì a fatica.

“Ciao, certo che mi ricordo, ma non è il momento ora.” rispose, cercando di suonare indifferente. Ma la verità era che non sapeva cosa dire. Il passato che aveva cercato di seppellire stava bussando di nuovo alla sua porta.

“Non sarà mai il momento, ma questo non cambia nulla. Ti troverò, Alessandro. Non puoi più scappare.”

La linea cadde, lasciando Alessandro solo, con il telefono in mano e un senso di vuoto ancora più grande nel petto. Guardò l’orologio. Mancavano ore alla fine del turno, ma l’unica cosa che gli restava da fare era immergersi nei suoi pensieri, in cerca di risposte che forse non voleva trovare.

Capitolo 2

Laura

L’ufficio era immerso in un silenzio rotto solo dal lieve fruscio delle carte e dal suono lontano del traffico oltre i vetri. Laura Pallavicini entrò con passo sicuro, portando con sé un’energia che sembrava riempire la stanza. Non era alta, ma il portamento e la sicurezza nei movimenti la facevano sembrare più grande della sua figura minuta.

I suoi lunghi capelli castani cadevano morbidi sulle spalle, e i suoi occhi grandi e attenti sembravano scrutare ogni cosa con precisione. Non era una donna che passava inosservata, ma non era la bellezza, che pure c’era, a renderla speciale. Era l’aria di competenza che emanava, il modo in cui si muoveva, parlava e affrontava le situazioni.

Si avvicinò alla scrivania di Alessandro, gettando un’occhiata rapida ai fascicoli. “Ci lavorano ancora su questi?” chiese senza guardarlo direttamente. La sua voce era morbida ma decisa, il tono di chi sapeva farsi ascoltare.

Alessandro annuì distrattamente, con lo sguardo fisso sul rapporto che aveva davanti. Lei sfogliò un documento, poi si allontanò verso la sala briefing, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

Laura non era sempre stata così sicura di sé. La determinazione che mostrava ogni giorno era il risultato di anni di sacrifici e sfide superate a fatica.

Ricordava bene i giorni della scuola di polizia. Le esercitazioni estenuanti, le notti passate sui libri a ripassare procedure e regolamenti. La pressione era costante, ma era la mentalità degli altri che la feriva di più. “Una donna qui? Durerai meno di una settimana,” le aveva detto un istruttore con un sorriso sarcastico durante il suo primo giorno.

La frase l’aveva colpita come un pugno, ma non l’aveva abbattuta. Anzi, le aveva dato un motivo in più per non mollare. Ogni giorno si era allenata più duramente degli altri, cercando di colmare il divario fisico con rapidità, tecnica e intelligenza. Non era la più forte, ma imparava in fretta.

Un giorno, durante un addestramento pratico, aveva affrontato un esercizio di disarmo contro il miglior cadetto della classe. Il ragazzo aveva venti centimetri in più di lei e un sorriso che trasudava arroganza. Ma Laura era veloce, più di quanto chiunque avesse immaginato. Con un movimento rapido e deciso, gli aveva tolto l’arma finta dalle mani e lo aveva bloccato a terra.

L’istruttore l’aveva guardata con sorpresa. “Pallavicini, non pensavo avessi tutto questo dentro di te,” aveva detto, consegnandole la scheda con il punteggio.

Quella vittoria, però, era solo un piccolo passo. L’addestramento non era stato facile, e il primo anno sul campo era stato ancora più duro. Ricordava ancora il suo primo interrogatorio, il primo arresto. Ogni esperienza aveva lasciato un segno su di lei, ma invece di piegarla, l’aveva resa più forte. Come quella volta…la radio crepitò. “C’è una segnalazione di disturbo in via Garibaldi,” annunciò la centrale. Laura fu la prima a rispondere, affiancata da  Massimo, un collega in aiuto temporaneo al suo commissariato.

Quando arrivarono sul posto, trovarono un uomo agitato, con una bottiglia in mano. Le sue grida risuonavano nel silenzio della strada deserta. Laura notò subito che i movimenti dell’uomo erano irregolari, imprevedibili, e che c’era una tensione pericolosa nell’aria.

Massimo fece per avvicinarsi, ma Laura lo fermò con un gesto. “Aspetta,” sussurrò. Poi si rivolse all’uomo, mantenendo una distanza di sicurezza. “Signore, posso aiutarla? Vuole parlarmi?”

L’uomo si voltò verso di lei, urlando qualcosa di incomprensibile. Il suo sguardo era quello di una persona in preda a un misto di rabbia e disperazione. Laura non perse la calma. Fece un passo avanti, il tono della voce calmo ma fermo. “Non voglio farle del male. Metta giù la bottiglia e parliamo. Sono qui per ascoltarla.”

Dopo dieci minuti, tra urla improvvise e momenti di silenzio assoluto, l’uomo lasciò cadere la bottiglia e si sedette sul marciapiede, scoppiando in lacrime. Laura si accovacciò accanto a lui, parlando piano, mentre aspettavano che arrivassero i soccorsi.

Quando tutto fu finito, Massimo la guardò con ammirazione. “Hai un talento con le persone” le disse. Ma Laura scrollò le spalle. Non si era mai considerata speciale. Faceva solo il suo lavoro.

Tornata in ufficio, Laura si rimise al lavoro, immersa nei fascicoli che aveva lasciato a metà. Alessandro la osservò da lontano per un istante, cercando di non farsi notare. Non era sicuro di cosa fosse, ma c’era qualcosa in lei che lo colpiva.

Non era solo la sua competenza, né il modo in cui riusciva a gestire ogni situazione con calma. C’era una luce, una determinazione, che gli ricordava qualcosa di cui aveva perso traccia da tempo.

Scosse la testa, tornando al suo rapporto. Solo stanchezza, si disse. Ma una parte di lui sapeva che non era così semplice.

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Sergio Apicella
Sergio Apicella è nato a Salerno il 1° settembre 1971. Nel 1977 si è trasferito con la famiglia a Vicenza per motivi di lavoro del padre. Ha intrapreso studi tecnici diplomandosi geometra nel 1990.
Sposato e padre di due figli, lavora come guardia giurata esclusivamente di notte, svolgendo un ruolo fondamentale nella tutela di persone e beni, gestendo con disciplina il suo tempo tra famiglia, lavoro e passioni personali. È un grande appassionato di viaggi, sempre alla ricerca di nuove esperienze e culture da scoprire. Ama la scrittura, che considera un mezzo per esprimere emozioni, raccontare storie e dare forma ai suoi pensieri.
Curioso e determinato, affronta la vita con metodo e passione, trovando nella creatività un’importante valvola di sfogo e una continua fonte di ispirazione.
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