ANTEPRIMA NON EDITATA
Sun chasers
 «Ohh….oh!!! Ohhhh…oh!!».
 La voce del nostromo tuona feroce come se provenisse direttamente dall’ade. I marinai scattano come furetti impazziti al suo comando, temendo sia per le proprie tasche che per la propria vita. Non si scherza con il signor Crumbler. La sua faccia rubiconda e irosa si deforma in espressioni sempre più grottesche nel tentativo di velocizzare le operazioni di recupero delle prede. 
 Esse valgono moltissimo per la compagnia di navigazione. Il guadagno del personale sarà invero misero,  ma per loro la paga è tutto ciò che gli consente di tirare avanti. Potrebbero ricavarne molto di più ma sono bruti, arroganti, stupidi, inaffidabili e sleali esattamente come una ciurma deve essere. Dopotutto queste operazioni non sono sempre strettamente legali. 
 Rivolgo lo sguardo sopra la bocca sdentata e schiamazzante del nostromo e mi colpisce la sua capigliatura rada a scompigliata. Alzo ancora gli occhi sul ponte superiore dove fa capolino l’immagine torva e arcigna del capitano. Nessuno sa come si chiami davvero. È solo “il capitano” per tutti. È difficile sentirlo parlare. È parsimonioso con le parole e non apre bocca se non per riprendere, punire, denigrare, offendere o bestemmiare Dio. 
 «Azzattate quelle finacce» urla furibondo il signor Crumbler, con la voce che sovrasta ogni altro suono. «Presto ciurmaglia o le quaranze fischiaranno veloci come anguille». Riprende fiato solo per un istante: «eggrattate la pinella brutti lavativi, non voglio che nemmeno un’ergone vada perduta maledetti».
 Non sono certo di capire il significato di quelle parole. Sono imbarcato solo da quaranta giorni, trenta dei quali lo ho passati a schiena piegata a lucidare i pavimenti e gli scafi, oppure in cucina, oppure ancora a sfuggire a qualche vecchio pederasta. 
 «Vieni con me, ragazzo» mi intima il signor Williams. Il signor Williams non è molto diverso da tutti gli altri ma sembra godere di un certo rispetto persino da parte del capitano. Solo Crumbler lo odia con tutto il cuore. 
 Per qualche ragione il vecchio marinaio si è preso a cuore la mia salute e la mia sorte e sembra aver fatto della mia istruzione la sua missione. 
 «Vedi quei bocchettoni ragazzo?» mi domanda. 
 Annuisco. «Quando ti do il segnale tira forte questa leva. Se il bocchettone di destra diventa rosso, tira questa seconda leva. Se diventa blu tira quest’altra leva. Non tirare mai la leva gialla. Hai capito per tutti i diavoli?». Di nuovo annuisco in silenzio ma con più decisione.
 «Burberry, trilla la vrallaaaa. Javier sutta la mirraaaaa». 
 Gli ordini del nostromo arrivano prepotenti. Le operazioni di carico sono quasi finite, ma questo è il momento più delicato. Lo so perché il sig Williams mi ha messo in guardia almeno cento volte a riguardo. 
 Rimango concentrato sul mio compito. Spero di arrivare a prendere la leva. E’ così tanto in alto che mi devo sollevare sugli alluci e allungarmi al massimo per raggiungerla.
 «Beeeeeerrnnnaaaaa……Beeeeernaaaaaaa…..Beeeernaaaaaa…..». 
 Alle grida ritmate del sig Crumbler fanno eco paurosi rumori stridenti e metallici. 
 «Beeeernnnnaaaaaaa…….Tulla Tulla!!!!».
 Una bestemmia irripetibile esce dalla bocca del nostromo mentre il capitano rimane impassibile con lo sguardo da rapace disegnato sul viso magro e stretto. 
 Il signor Williams urla e si sbraccia alla mia volta. Tiro la prima leva. Fa così tanta resistenza che mi devo letteralmente appendere ad essa per riuscire a portarla in posizione bassa. Il signor Burberry urla qualcosa di incomprensibile: «Miracchiiiiaaaaaaaa…Miracchiaaaa». Javier, Timmonsons, Gross, Timberlain e un quinto marinaio si affacciano con aria preoccupata. Williams grida ancora. 
 Il bocchettone si sta colorando di un fulgido e ipnotico color vermiglio. Tiro la seconda leva. «Cirrala ballaaaaaaa…». 
 Al grido del nostromo segue un religioso silenzio. Poi l’euforia dell’equipaggio esplode in gioia. Il carico è finalmente issato e al sicuro. Anche Williams ride e si congratula con il resto dell’equipaggio con una bottiglia di gel fermentato già in mano comparsa da chissà dove; sono sicuro che staserà sarà così tanto ubriaco da non riuscire nemmeno a trovare il suo pulcioso giaciglio. Lo vedo dirigersi verso di me: «bravo ragazzo! Ottimo lavoro». 
 Vorrei ribattere che non è stato poi così complicato tirare una leva. Sorrido e rimango in silenzio. 
 «Non parli mai troppo eh? Se non tiri fuori la voce non diventerai mai nostromo» mi suggerisce. “Io nostromo?!” mi ritrovo a pensare. Sorrido più vivacemente. «Va bene ragazzo, ti sei meritato una porzione di proteine aggiuntiva. Potrai riscuotere il tuo premio a cena» mi dice con allegria. Poi Williams attirato dagli strepitii festosi di Burberry e Timberlain si allontana incespicando nei suoi stessi piedi.  Spero con tutto il cuore che non si ubriachi troppo velocemente oppure addio premio. 
 Rialzo la testa e vedo il capitano rientrare nei suoi alloggi lasciando dietro di se un’immagine residua di austerità. La sua espressione non è mutata di un millimetro durante tutto il tempo in cui lo ho osservato. Per lui la buona riuscita della pesca non è null’altro che una consuetudine. Non può esserci gioia per qualcosa che semplicemente è andato come doveva andare. Sospetto che sia per questo che giudica tutti gli uomini al suo comando degli stolti e mi domando come mai abbia una opinione più alta del signor Williams. 
 A me, nonostante la gratitudine per il suo interesse, non sembra molto diverso da tutti gli altri e in particolare nella passione per le bevande ad alta gradazione alcolica. Un enigma, anche se il mistero più inesplicabile è ancora l’oggetto di questa pesca. 
 Non ho ben compreso cosa fanno tutti e perché siamo qui. Viaggiamo per giorni nella noia più assoluta per ritrovarci tutto d’un tratto in luoghi ostili ove, a detta del vice timoniere Timmonsons e del marinaio scelto Burberry la tenuta della nave e la linea della nostra vita è appesa a un filo che gli Dei possono recidere a loro piacimento. 
 “Perché questi Dei dovrebbero poi reciderla?” mi chiedo. Spesso, li ho sentiti discutere della morte,  della possibilità di perdersi e galleggiare nell’infinità finché l’oscura signora non si aggradi a mieterci l’anima. Fanno discorsi che mi fanno rabbrividire. Forse è per quel motivo che il collo di della bottiglia è per per loro così suadente. In ogni caso, con lo scafo sballottato come un tappo di sughero tra i gli spumeggianti marosi, tutti i marinai si agitano come impazziti, rapiti da una frenesia febbricitante nel tentativo di compiere le operazioni nel più breve tempo possibile. 
 Il signor Williams mi ha ammonito che rimanere troppo a lungo nella zona di pesca può essere estremamente pericoloso, e benché il carico sia tutto, nessuno vuole rendere per esso  l’anima al creatore. Ebbene, sulla natura esatta del pericolo, è stato piuttosto reticente. Ho avuto come l’impressione che non riuscisse a trovare le parole. Forse dopotutto questa fantomatica minaccia è oscura e insondabile anche per lui. Il signor Crumbler, il nostromo, sembra invece avere un’idea più precisa dell’azzardo a cui andiamo incontro. L’ho sentito parlare di tempeste, di onde, di vento, di vortici, ma io non ho mai visto nulla di tutto ciò.  Per dire la verità sembra che anche il nostromo affronti tutto semplicemente urlando più forte e più a lungo, rompendo i timpani ai malcapitati che hanno la sfortuna di passargli accanto. La pesca inizia sempre con il suo comando: «Atttteeeentttt!!!! Attteeeeeent!! Marinaaaaaarrr….marinaaaaarr…..garitt al luooooooogggg gaaaarittt al luoooog. CSUUUUPFFFFF!!! CSUUUUPFFFFF!!!». Chissà cosa significa. Ho sentito il Timmonsons spiegare che è una formula magica per tenere lontana la sventura, ma il signor Timmonsons non mi sembra molto intelligente con quel cipiglio imbronciato e perennemente perso nel vuoto.
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 Se gli Dei del cielo vorranno che il signor Williams non sia troppo su di giri questa sera cercherò di farmi spiegare meglio, anche se tra poco  quando tutti dormiranno pasciuti potrò finalmente scorrere le pagine del consunto ‘Manuale del Pescatore VI edizione” che ho sottratto dalla biblioteca privata del comandante. Non è mio costume rubacchiare, e lo considero più un prestito temporaneo. Non è affatto mia intenzione tenere il volume. È stata una azione avventata, non lo nego, ma l’impulso è stato irrefrenabile. Dopo aver origliato a lungo una conversazione tra il Capitano e il nostromo Crumbler, non mi sono potuto sottrarre a questo sentimento. Dalla piccola finestrella da cui li spiavo potevo udire distintamente le loro voci e vedere i loro volti tesi e preoccupati e le parole dei due marinai mi hanno incuriosito a tal punto da poter riferire la conversazione parola per parola. 
 Capitano: «Nostromo. Domani saremo in zona pesca. Si faccia trovare pronto e strigli a dovere i suoi uomini perché siano in perfetta efficienza. E metta Williams come supervisore».
 Crumbler: «Agli ordini. Capitano. Saranno tutti scattanti come cavalli da corsa al cancello di partenza».
 Capitano: «Non mi interessano le sue inutili promesse!! Gli ultimi due carichi sono stati deludenti e la compagnia esige i propri profitti». La faccia di Crumbler si fece mesta.
 Crumbler: «Capitano, lo sa che un sole così basso e rosso rende le operazioni difficili e laboriose. Mette a rischio la sicurezza dei marinai……e in più e foriero di sventura».
 Capitano: «Marinai…..marmaglia senza spina dorsale…creduloni senza cervello..».
 La faccia del Capitano si fece contrita e arrogante, mentre le parole rimasero sospese aumentando l’imbarazzo del nostromo.
 Capitano: «Bando alle ciance. Il sole domani sarà perfettamente sicuro. Tutti gli strumenti indicano che nessuna tempesta disturberà il vostro lavoro…e questa è zona di passaggio volterie, amparre e cuccioli di omegattere, oltre alla normale fauna della zona».
 Nostromo: «Certo capitano, tutta l’attrezzatura è già stata controllata e in perfetto ordine. Glielo assicuro personalmente. Vedrà che questa volta faremo incetta».
 Capitano: «Lo spero bene!».
 Il nostromo sembrò essere convincente e si prese qualche confidenza, subitamente mal ripagata.
 Crumbler: «Le volterie sono salite a dismisura sul mercato. Se avessimo la fortuna di incrociare un branco potremmo recuperare velocemente le perdite. Anche le amparre hanno un discreto valore…».
 Capitano: «Nostromo, pensi al suo lavoro, non a sterili dissertazioni mercantili. È compito mio occuparmi delle faccende finanziarie. Pensi a tirare su quel carico!».
 Capitano: «Arrivederci».
 Crumbler: «Come desidera Capitano».
 Il sig Crumbler uscì dagli alloggi privati del comandante scornato come un mulo bastonato dal padrone.
 Mi chiedo che pesci siano queste volterie. Che forma avranno queste amparre. Se le omegattere hanno dei cuccioli allora devono esistere delle famiglie. Perché non peschiamo gli adulti allora? Saranno ovviamente più grossi. E se peschiamo così tanto, perché la cena è sempre di patate e riso? Certamente il Manuale scioglierà l’enigma di questi termini astrusi e per me sconcertanti.  Sento la copertina rigida spingermi contro la schiena dove ho nascosto il prezioso volume e non resisto al desiderio di toccarlo con le dita della mano, quasi fosse un oracolo alla cui sapienza affidare la mia intera esistenza. 
 Il turno di lavoro è sul finire e mi ritiro nel ripostiglio dove mi è stato permesso di stendere un vecchio materasso a cui ho aggiunto un sottile scampolo di lana come coperta. È un giaciglio povero ma comodo e il materasso è fin troppo grande per me. Mi ci siedo sopra e afferro saldamente l’oggetto della mia cupidigia. Inizio a leggere con cautela nel timore di perdermi qualche parola. «Manuale del Pescatore – VI edizione, redatto dall’Ammiraglio Christofer A. Bonvicini. Nel ricordo di mia moglie Talassa» bisbiglio. Le sillabe escono come sussurri dalle mie labbra e il loro suono è quasi come una melodia celestiale. Mi ripropongo di chiedere al signor Williams chi sia questo  ammiraglio Bonvicini e proseguo veloce cercando la sezione in cui vengono descritti i pesci. Mi soffermo solo alcuni istanti sugli schemi degli scafi, delle vele e dei particolari esplosi perché mi sembra tutto difficile e incomprensibile. Finalmente trovo il capitolo giusto: “ambiente e fauna”. Proseguo girando le pagine con tutta la delicatezza di cui sono capace nel timore che per qualche arcana ragione la carta possa disintegrasi sotto il mio tocco. Eccola! Grido dentro me. La volteria! Cerco di comprendere ciò che leggo ma non riconosco la maggior parte dei termini che vengono usati. Una tabella sul lato sinistro riepiloga i dati salienti di questa specie e lo schema raffigurante l’esemplare è davvero strano. Sembra quasi un ghirigoro. Possibile che una volteria abbia davvero quella forma? Come fa nuotare mi interrogo. Avanzo nella lettura finché non mi imbatto nella omegattera. Anche in questo caso la sua raffigurazione mi delude. È solo un confuso, benché armonico, susseguirsi di linee più sottili e più spesse. Una tabella del tutto simile alla precedente illustra valori a cui no so dare alcun significato. Scorro in avanti appuntandomi mentalmente i nomi delle creature: muonate, spinneri, faradarine, nuclinidi suddivisi in neutarie e protrari. Eccole! Anche le amparre. Vicino all’immagine vagamente rassomigliante a una lucertola spicca un appunto in rosso, forse redatto dalla mano stessa capitano; recita: di piccole dimensioni ma estremamente pericolose. 
 Passo altre due ore immerso in quella lettura tentando di imparare il più possibile, poi la sirena che avvisa l’apertura della mensa mi desta da quell’incanto. Nascondo nuovamente il manuale dietro la schiena assicurandolo con un laccio, indosso il maglione troppo grande e mi precipito al piano superiore dove Timmonsons, Javier e  Burberry arrivano barcollando. L’euforia per il carico non è ancora scemata ma fortunatamente il signor Williams è ancora sufficientemente sobrio per rammentarsi del mio premio. Terminata la cena il lungo tavolo si svuota. Tutti si dirigono al banco del caffè sul fondo della stanza, e il sig Williams loquace si rivolge a me con tono amichevole: «Bravo ragazzo. La prossima volta per te avrò un compito più difficile». Non dico nulla e lui mi guarda perplesso, poi la domanda esce spontanea dalla mia bocca: «sig. Williams, cosa sono le volterie?». 
 «Ma allora parli!!» ribatte ridacchiando. Io rimango fermo nel mio mutismo. «Le volterie sono una preda pregiata caro mio ragazzo…anzi una delle più pregiate di questi tempi». Nono sono del tutto soddisfatto di una risposta così evasiva. «E le amparre?» lo incalzo. 
 Il sig. Williams mi guarda perplesso. «Da chi hai sentito questa parola» mi interroga con tono apprensivo. «Perché sono pericolose?» aggiungo. «Ma sono molto piccole? E se sono piccole come fanno ad essere pericolose?». Sembra che la mia lingua si muova da se tanto è la bramosia di sapere. Vedo  Williams allertarsi. «Come conosci queste cose?» mi domanda stralunato. Io tiro fuori il libro dal mio nascondiglio stringendolo forte tra le braccia conserte. «Stupido! cosa hai fatto?» mi sussurra inquieto con gli occhi che iniziano a girare a destra e a sinistra. Proprio in quell’istante il frastuono proveniente dalla porta che sbatte attira l’attenzione di tutti i presenti. La figura avvolta in un nero mantello è come quella di un demone che entri nel suo dominio infernale. Il capitano si erge severo in tutta la sua statura. Il nostromo pur essendo più alto e più muscoloso al suo cospetto sembra un nano, sminuito dall’espressione cattiva e arcigna dipinta sul viso di quell’uomo severo. La voce tonante del capitano esce eruttando: «Chi di voi banda di ladri, miserabili e mentecatti si è permesso di sottrarre un oggetto dalla mia cabina?». Tutti rimangono atterriti in un silenzio quasi irreale. A memoria d’uomo il capitano non era mai sceso in mensa, anzi non aveva mai lasciato il ponte superiore dove è collocato il suo alloggio. 
 Nonostante le parole siano chiare, tutti faticano a comprendere il motivo della la sua presenza li. Con la ferocia inusitata che lo distingueva il nostromo Crumbler comincia a sbraitare ordini sconnessi e senza senso. «Se ne stia zitto razza di incapace» lo redarguisce il capitano. Poi si rivolge nuovamente alla platea. «Voglio sapere immediatamente chi ha sottratto un libro dalla mia biblioteca personale» chiede scrutando negli occhi impauriti dei presenti. Williams davanti a me deglutisce abbassando il capo. Il gesto non sfugge allo sguardo attento da falco del capitano. 
 «Signor Williams…» lo irride con un tono più che sarcastico. Le parole sono proferite con la stessa cadenza una sentenza di morte. Williams mi osserva brevemente alzando gli occhi.  Il terrore mi attanaglia ma so che il colpevole che sta cercando il capitano sono io. Inaspettatamente  Williams si scosta dalla panca: «sono stato io…» declama come se stesse recitando un poema  o dei versi. 
 «Ah si? E’ stato lei sig Williams? Lei non saprebbe mentire nemmeno in punto di morte» ribatte il capitano schernendolo. Poi come se io fossi trasparente tuona un ordine perentorio. «Ragazzo! Alzati in piedi». Tutti lanciano occhiate nella mia direzione pensando che sarà l’ultima volta che vedono il mio volto imberbe. Non appena scendo con un saltello dalla panca troppo alta un nuovo comando che non ammette repliche rimbomba nella stanza: «Nostromo! Il ragazzo subito in cabina da me! Immediatamente». Il capitano esce senza nemmeno attendere la risposta del nostromo. Crumbler che mi raggiunge a gran passi. 
 Il rumoreggiare e il parlottare dei marinai riempie l’ambiente coprendo in parte le oscenità proferite dal nostromo. Il signor Williams gli si para davanti: «È solo un ragazzo. Ecco il libro lo stava già restituendo a me» cerca di intercedere. 
 «Gli ordini del capitano non si discutono maledetto!!! Avrai anche tu la tua lezione se non ti fai da parte all’istante» lo aggredisce Crumbler. Anche se il sig Williams è coraggioso e vorrebbe far qualcosa abbassa la testa. Qualunque azione a questo punto sarebbe inutile e forse dannosa. Il nostromo mi afferra per un braccio e mi trascina letteralmente prima fuori dalla mensa e poi per i quattro ponti che ci divino dal patibolo. 
 Io continuo a stringere il libro con un solo braccio, atterrito dall’idea di farlo cadere e rovinarlo o ancor peggio di perderlo. Arriviamo di fronte alla cabina del capitano. Crumbler bussa pesantemente. La porta si apre e la voce da aquila del capitano arriva imperiosa: «Fallo entrare e vattene». Anche sul viso ostile del nostromo Crumbler passa un’ombra di pietà nei miei confronti. La porta si chiude dietro di me lasciandomi come un topo in trappola. Il capitano ha lo sguardo rivolto all’esterno. Osserva qualcosa dall’oblò e non dice nulla. Io rimango teso come una corda di violino. «Perché hai  preso il mio libro?» domanda. «Dimmi la verità oppure io capirò che stai mentendo e allora per te saranno guai seri». “Più seri di questi?” penso. Rimango muto. «È un ordine ragazzo!». La sua voce echeggia cupa amplificata dalle pareti della cabina. «Io…Io….Io volevo sapere cosa sono le volterie e le omegattere…e le amperre…e perché sono pericolose anche se sono così piccole». 
 Questa volta è il capitano che rimane in silenzio come se stesse lentamente soppesando le mie parole. «Avresti potuto chiedere a uno dei marinai, o al signor Williams» replica asciutto l’aguzzino. «Ho chiesto, ma le loro risposte sono sempre vaghe e io no ho capito». La mia risposta per qualche ragione mi infonde coraggio. Cosa può esserci sbagliato nella verità? «Hai ragione, loro non possono darti la risposta che tu cerchi, ma il furto è una cosa grave» mi incalza. «Io non volevo rubare» asserisco sicuro, ma senza alterigia. «Eppure il mio libro è nelle tue mani….». Abbasso gli occhi guardando quell’oggetto ancora stretto tra le mie braccia. «Lo avrei restituito dopo averlo letto».
 «Molto bene, per il furto del libro ti aspetta un mese di corvée». Deglutisco. «Chi si occupa di te sulla nave?». «Il sig Williams è il mio superiore» rispondo formale. «È un buon superiore? È gentile con te?» mi domanda. «Si,» rispondo, «e anche quando beve non manca mai di pensare ai miei bisogni. E mi ha concesso di stare nel ripostiglio dove il calore dei tubi è più intenso». Il capitano si accarezza la lunga barba scura pensoso. «Ora dimmi cosa hai letto sul libro».  Per qualche minuto snocciolo nomi e dati che ho imparato a memoria sebbene senza comprenderne appieno il significato. Il capitano mi costringere a riprodurre a memoria alcuni dei disegni che ho potuto scorgere tra quelle pagine consunte. Il suo viso non cambia mai d’espressione ma i suoi occhi furbi e vispi ridono di vivo interesse. I giorni passano e tutte le sere finito il turno di lavoro vengo accompagnato nella cabina del capitano dal signor Williams, promosso a suo attendente personale. 
 Le spiegazioni del capitano sono sempre affascinanti e dettagliate. Il nostro vascello, il diamante terzo, è una nave di seconda classe abilitata alle lunghe navigazioni e non adiamo a caccia di normali pesci. Siamo pescatori di energia. Gli esseri sub-quantici forniscono tutta la corrente elettrica di cui la galassia necessita per il suo sostentamento. La classificazione di queste manifestazioni può sembrare troppo immaginifica ma rende molto bene l’idea. Le volterie sono campi elettrostatici da cui estrarre potenziale elettrico. Le famigerate amperre sono flussi di elettroni che se catturati possono rifornire interi quartieri di Nuova Terra o Marte quarto. E in effetti ho presto imparato che possono essere piuttosto perniciose. Comprendo il pericolo del navigare nei pressi dei soli, gli effetti della loro gravità, la minaccia costante delle flare. Eppure queste è proprio in questo le zone dello spazio profondo, dove stelle morenti che si trasformano in supernove, in giganti rosee o in nane bianche, che si trovano le prede migliori e in maggiore quantità. La quantistica ci fornisce dimostrazioni inoppugnabili a riguardo. 
 Navigare tra tempeste solari, onde elettromagnetiche, venti di particelle radioattive richiede tutta l’esperienza e la perizia di un capitano di lungo corso.  Un nuovo universo fatto di fisica, chimica e matematica mi si dischiude davanti agli occhi spegnendo la mia sete di sapere. 
 I giorni, i mesi e gli anni  passano e io cresco e progredisco.  “Il capitano” ci ha lasciati già da tempo ma la sua immagine è come stampata a fuoco nella mia mente. Il suo ricordo è indelebile nella mia coscienza. 
 I sui gradi svettano ora sulle mie spalline e dall’oblò, che ora so essere uno schermo ad altissima definizione, scruto l’immensità dello spazio profondo.
 
			 
					
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