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Consegna prevista Febbraio 2026

Un presente da proteggere, un futuro da riscrivere.

Coleman D’Alemberre, un ex galeotto francese, in seguito a un finto attentato sul treno, si stabilisce in una tranquilla cittadina della provincia italiana, dove cerca di ricostruire la sua credibilità. Difficile, quando il protagonista ha il portamento di un dinosauro biondo e un passato ingombrante che non sembra accordargli una seconda possibilità: messaggi anonimi e minacce rimescolano il suo destino con morti improvvise, sospetti, rivelazioni e coscienze corrotte. Coleman sarà costretto a rimettersi in gioco mentre la vita di ogni giorno gli offrirà imprevedibili alleati e qualcosa o qualcuno da difendere.
Tandem è una storia intensa e ironica, d’azione, solitudine e redenzione, dove nulla è ciò che sembra, dove un nuovo inizio si nasconde dietro una porta.

Perché ho scritto questo libro? 

Questo romanzo è stato una sfida personale alle mie capacità creative. Nasce dal tema ambientale che costò la vita al personaggio di Gabriele. Ha richiesto molto studio, attenzione ai dettagli e varie sessioni di riscrittura per armonizzare personaggi caratterizzati da difetti personali all’apparenza insormontabili; ma mi ha intrigato, appassionato, mi ha richiesto un coinvolgimento inedito tra emotività e distacco. Spero sappia coinvolgervi come è stato per me.

ANTEPRIMA NON EDITATA

1

[Cinque anni fa]

Il treno era arrivato alla stazione centrale della capitale da non più di mezz’ora. Si era svuotato nell’arco temporale di una visita al bar con tanto di pisciata, ma quando l’uomo con il pastrano beige aveva varcato l’ingresso del convoglio, un vivaio di umanità affollava già i corridoi e si batteva per un posto a sedere. Erano diventati appetibili anche i piccoli sedili vicino ai finestrini che ispiravano male parole quando qualche pendolare osava occuparli. D’altra parte era impensabile affrontare un viaggio simile in piedi, senza distrazioni e per di più senza il supporto di un finestrino aperto: era primavera inoltrata e nel primo pomeriggio faceva già piuttosto caldo. Quel treno, inoltre, attraversava tutta la provincia con molte soste e poche comodità. L’uomo dal pastrano beige non lo sapeva e sembrava non essere interessato alla questione: riteneva di poter trovare un accomodamento  senza difficoltà e lo dimostrava l’espressione intimorita che suscitava la sua mole poderosa nei volti dei viaggiatori mentre scorreva lungo il corridoio in cerca di un posto adeguato a ospitarlo. In effetti, fu la sua enorme sagoma da dinosauro biondo a convincere un signore sulla sessantina a spostarsi sul sedile vuoto accanto al finestrino. L’anziano prepotente l’aveva già negato a molti altri viaggiatori che andavano via sfiniti e borbottanti quando quel tizio quasi ne oscurò la vista chiedendo il posto in una lingua che il sessantenne non capiva. Alzò lo sguardo su di lui, valutò la mole e le eventuali conseguenze della sua ostinazione.

Uno così, può stenderti solo sfiorandoti!

Senza pensarci due volte, liberò il sedile e lo lasciò accomodare, andando a comprimersi in quello spazietto d’emergenza. Fortuna che era esile! L’uomo si sfilò il pastrano, lo piegò e lo depose sulle gambe insieme alla sacca di tela.

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Viaggia con una sacca di tela? Insolito!

Era vestito in modo formale, come se venisse da una riunione d’affari: indossava un completo chiaro corredato da camicia bianca. Quando si era seduto, la carrozza aveva avuto un sussulto.

Ecco, adesso fa inclinare il vagone e ci fa deragliare!

Preso da una strana agitazione, il sessantenne cercò lo sguardo del viaggiatore di fronte con il quale tentò di solidarizzare sul suo timore, ma questi non gli prestava attenzione. Era un uomo di mezza età in giacca e cravatta e cercava di carpire qualche notizia gratis dal giornale del grosso astante, ma scorse solo titoli in francese. Così abbandonò la sua curiosità e riprese a sbirciare il cruciverba della vicina, più giovane di qualche anno, a cui di tanto in tanto osava suggerire definizioni. Carina ma sguaiata per i suoi gusti, infatti, aveva messo entrambe le gambe sulla valigia che teneva sotto il sedile e masticava rumorosamente un chewing-gum. Quando il corridoio si affollò all’inverosimile, l’aria si fece soffocante e si alzarono voci di protesta perché il finestrino non poteva essere aperto:
«Le  correnti d’aria sennò…».
«Ma ci sono più di quaranta gradi!».
«Si soffoca!».
«Si suda!».
«Appunto! Domani avrò una cervicale tremenda!».
Il dinosauro biondo si guardò in giro. Forse le chiacchiere lo distoglievano dalla lettura del suo giornale;  o forse, era disturbato da una discussione che considerava sterile. Tuttavia non si espose: la sua mascella pronunciata sembrava minacciare senza che gli fosse necessario aprire bocca. Infine,
qualcuno nei sedili posteriori prese l’arbitraria decisione di far passare aria per poi chiudere durante il tragitto, scontentando entrambe le fazioni che si battevano per il finestrino aperto o chiuso. Una leggera scossa alla partenza fece perdere l’equilibrio a una ragazza bassina e robusta che tentava di caricare il suo trolley sul portabagagli. Gli altri passeggeri intorno a lei protestarono:
«Attenta!».
«E reggiti! Non vedi che parte?».
«Era ora!».
«Scusate, eh! Almeno datemi una mano».

Due viaggiatori vestiti casual, sulla cinquantina, giocavano a carte con un allegro cicaleccio che denotava una forte cadenza dialettale. In effetti, quasi tutte le conversazioni su quella vettura, quale che fosse il tema (lavoro o ricette per il menù della sera), che l’interlocutore fosse seduto sul sedile di fronte o al cellulare, avevano la stessa caratteristica: una rapida esecuzione della frase ad alto volume, molte parole tronche e una stretta componente patois incomprensibile a uno straniero. Gli studenti, ragazzi e ragazze seduti a terra o rannicchiati negli scompartimenti tra un vagone e l’altro, ignoravano toni e contenuti, presi com’erano dalla lettura o dalla consultazione di quegli infiniti notes di appunti scarabocchiati durante le lezioni. La corsa del treno tagliava le luci che illuminavano le campagne sfidando quanti sonnecchiavano a bocca aperta e con la testa inclinata da un lato. Durante una breve sosta, parecchi passeggeri avevano abbandonato l’abitacolo, il corridoio si liberò e gli umori si distesero. Il suono di un fischietto annunciò la ripartenza.

A metà dell’odissea su rotaia, il controllore irruppe nel vagone, svegliando quelli che da diverso tempo ciondolavano con la testa. Il passeggero francese fu divertito dalla frenetica ricerca dei titoli di viaggio dei parecchi ancora ebbri di sonno. L’ufficiale gli si parò davanti.
«Invece di spassarsela, perché non mi mostra il suo, di biglietto?».
L’uomo rispose in italiano ma con forte accento straniero:

«Spiacente, non ce l’ho».
L’episodio attirò l’attenzione di molti pendolari, curiosi di scoprire chi osava utilizzare i loro mezzi senza pagare. Ora lo fissavano attraverso i sedili. L’accento esotico moltiplicò gli sguardi.
«… credo che lo potremmo addebitare ai costi sociali dello
Stato che devo ancora scontare!».

Come si permette? Sta sfidando le autorità?

«C’è poco da fare lo spiritoso. Carta d’identità?»
L’uomo si piegò alla richiesta con eleganza: aprì il sacco di tela che teneva sulle gambe, indugiando di proposito in gesti lenti e ieratici che non tradissero l’intenzione del suo progetto imminente. Sapeva cosa pensava il suo pubblico. Era nato per guardare dentro le persone, glielo leggeva sui volti preoccupati. Valeva la pena divertirsi un po’. Tirò fuori la carta per l’identificazione, solo quella. Il controllore la prese, mentre il treno proseguiva il viaggio. Quando il convoglio fece la prima sosta, si allontanò per confrontarsi con l’altro ufficiale, poi tornò a esaminare il documento. Il disagio dei presenti era palpabile. Anche se ingannavano il tempo nascondendosi dietro ai propri pensieri e alle proprie attività, ciascuno era in attesa dell’evolversi di quell’episodio. Sarebbe bastato il commento del controllore a dissolvere i dubbi, ma l’ufficiale di bordo consultava il suo palmare con espressione seria e impenetrabile. Infine tuonò con voce decisa:
«Coleman D’Alemberre. C’è un dispaccio sul suo conto.

Devo consegnarla al primo posto di polizia ferroviaria. Nel frattempo mi segua».
L’uomo raccolse pazientemente le sue cose e lasciò il posto. Gli sguardi dei compagni di viaggio non lo abbandonarono fin quando, arrivato alla porta che separava un vagone dall’altro, mise una mano dentro l’impermeabile e con uno scatto improvviso, puntò pollice e indice a destra e a manca. Gridò: «TATATATATA».
Il treno cominciò a frenare. Alcuni persero l’equilibrio, altri lasciarono cadere la rivista, le carte da gioco o la matita in un fremito, prima di accorgersi che non era successo proprio niente!

5

[…]. L’anziana vicina si presentò sul pianerottolo. Era una signora molto vivace a dispetto dei suoi ottant’anni. Bassa (anche se chiunque sarebbe risultato tale, in confronto a Coleman) con i capelli bianchi raccolti in uno chignon, indossava una vestaglia a fiori che variava di tonalità e tessuto in base alla stagione.

Aveva conquistato Coleman quando aveva sventato una crisi con la polizia, causata da un ritardo a un controllo domiciliare dicendo:
«… mica pretenderete che un ragazzone così bello se ne stia chiuso a casa ad aspettarvi!».
Poi si era rivolta a lui:
«E tu, Coleman, sbrigati! Questi signori hanno da fare!».

Ora la donna stava immobile a fissarlo mentre apriva la serratura.

«Mi dica!».
«È passato uno. Voleva lasciare un pacchetto».
«Chi…?».
«Uno di quelli che fa la consegne. Dice che non aveva tempo per ripassare così gli ho detto di lasciarmelo».
«Grazie, signora. E dov’è?».
«Se n’è andato. Aveva fretta!».
«Mi riferivo al pacchetto!».
«Aspetta!».
La signora rientrò in casa.

Strano! Adèle sa che non deve inviarmi niente.

Dopo svariati minuti di attesa, finalmente la signora uscì per consegnargli il pacchetto. Coleman lo analizzò con sospetto. Era molto simile ad altri che Adele gli aveva già fatto recapitare. La spedizione non aveva mittente, il destinatario era su un’etichetta stampata. Era confezionato in un involucro di carta. Non presentava segni di manipolazione. Lo portò con sé in casa, pur sapendo che non sarebbe stato saggio tenere un oggetto di cui non poteva valutare il potenziale rischio. Evian Fontaine, se lui era il mittente, non poteva definirsi un gentleman: quelle mani ossute e sottili avevano la straordinaria capacità di trasformare qualsiasi cosa in marchingegni esplosivi o cibi impregnati di veleni insospettabili. Accettare un pacchetto del genere era quantomeno incauto. Ma non poteva pretendere che l’anziana vicina potesse essere accorta in tal senso. Era, dunque, giunto il momento di difendere le persone che gli erano vicine?

Sin da giovane, affascinante e benestante a causa della sua maledetta carriera clandestina, Coleman si era circondato di una ampia compagnia di persone altolocate vicine al suo amore di tutta la vita, Katherina, una importante manager del settore profumeria. Lei, una affascinante bionda tutta d’un pezzo, era sempre stata la sola a creare in lui un minimo remore per la sua condotta vigliacca. Insufficiente, tuttavia, a farlo desistere dal realizzare gli infami progetti della sua banda: c’era dentro fino al collo e non poteva uscirne. Né, in fondo, lo voleva. Quando le prosperose manager e intriganti assistenti che collaboravano con la società di Katherina le raccontavano della passione con cui quell’uomo sconosciuto le aveva amate in quel favoloso appartamento che si affacciava sul Louvre, lei aveva la conferma che Coleman non sarebbe cambiato, che stava sabotando la prospettiva di un futuro insieme. Di proposito! Allora, carica di rabbia e delusione, lo affrontava e gli assicurava la fine della relazione. Ma lui invocava, con tutta l’enfasi e l’ipocrisia possibile, un pentimento, snocciolava promesse di redenzione false come banconote da un euro ma gravemente credibili. Così, convinceva la sua preda fiduciosa che stavolta sarebbe stata quella buona. Per Coleman, la labilità dei rapporti era alla base della loro stessa sicurezza personale: la relazione con i membri di quel gruppo appagava la sua esistenza di essere sociale e la primaria esigenza di estinguere rapidamente tutti i legami che potessero diventare oggetto di inevitabili ritorsioni o vendette trasversali tra clan avversari. Insieme si discuteva, con arguzia e spirito, di mondanità, di politica, di moda, di arti, di conquiste sessuali, a volte di progetti personali ma non si entrava mai nel merito. Non c’erano contatti privati al di fuori del gruppo, nessuna frequentazione per uno sport, un aperitivo, una confidenza. Alla fine di ogni serata ci si dava appuntamento per la successiva al solito bistrot, per poi spostarsi insieme di locale in locale. Evian aveva solo iniziato il suo declino.

Aprì la confezione con estrema cura sul tavolo della cucina. Aveva isolato la superficie con un giornale. La confezione conteneva tre barattoli di salse, tutte con un sigillo originale intatto ma non aderiva bene alla superficie di vetro. Coleman pensò, quindi, alla raccomandazione di verificare l’apertura del barattolo sulla superficie del coperchio: il “click” confermò la manomissione. Ora doveva capire la natura del pericolo. Aveva notato che sul terrazzo comune si erano avvicinati dei gatti randagi a caccia di prede vive come uccellini e lucertole. Poi avevano cominciato ad apprezzare i bocconi che cadevano sfacciatamente dai piani superiori e si erano stabiliti nelle vicinanze. Era la sua occasione: prese dal cestino una fetta di pane, spalmò le creme in tre strisce e le tagliò i pezzi più piccoli, disponendoli su un piatto che poggiò all’esterno. Dall’alto, giunse una voce:
«Ah, allora sei tu che dai da mangiare a quei gattacci!»

11

[…]Coleman era piuttosto abitudinario. Normalmente, uscito dal lavoro, si recava alla stazione di polizia per depositare la firma e poi si dedicava alle esigenze del momento: fare la spesa, prendersi un momento di svago o aiutare il signor Ezio nella ristrutturazione. Gli agenti che raccoglievano la firma avevano abbandonato da tempo ogni formalità e per questo avrebbero saputo tranquillamente dove rintracciarlo. Quel pomeriggio, tuttavia, Coleman aveva incontrato un affascinante diversivo ed era sparito dalla circolazione, ignorando l’obbligo di firma. L’allarme, già scattato a causa del suo coinvolgimento nell’affaire Cantanelli, aveva messo sulle sue tracce un intero esercito di agenti. Lui, ignaro di tutto, dopo aver consumato galanteria e passione con la rossa, era uscito a cena con lei. Ed era appunto lì che il commissario lo aveva raggiunto, insieme a due poliziotti in divisa che si avvicinavano ai lati del tavolo per bloccare le vie d’uscita. La donna fu allarmata. Lui non si scompose.
«Buonasera, signori. Caspita, ma quanti siete?»
Il commissario e i poliziotti lo guardarono seriamente. Li conosceva e il fatto che non avessero derogato la loro divisa per farsi una risata gli suggerì qualcosa di serio.
«So che sono in ritardo per la firma di reperibilità ma ora che ci siamo, approfitterei per cenare…»
Tutti, in sala, osservavano la scena con curiosità e sospetto.
«Puoi anche finire, se riesci a mangiare con un morto sulla coscienza!»

35

[…]Il citofono suonò insistentemente. Elisabetta si destò, correndo a rispondere in preda a una profonda agitazione. Stava per svegliare i bambini… o era successo qualcosa a Egidio o…? Dal basso una voce gracchiante chiese di Coleman. Era Luigi, il giornalista.
«Ho estrema urgenza di parlare con D’Alemberre. È lì?»
«Cosa vuole ancora da noi?».
Coleman si era avvicinato rapidamente. Lei mimò con le labbra “giornalista”. L’uomo prese la cornetta.
«Sono qui!».
«D’Alemberre, le consiglio vivamente di scendere. Non vorrà leggere il perché dalle colonne dei giornali?»
«Arrivo!».

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Sara Fratarcangeli
Nata a Colleferro (RM) nel 1980, ho trovato nella scrittura il mezzo per superare la timidezza e affrontare le sfide di ogni giorno. Nel 1999 ho vinto il secondo premio regionale Campiello Giovani che mi ha dato motivazione ed entusiasmo. Così ho preso una
laurea in Scienze della Comunicazione, ho seguito con passione un corso di regia cinematografica poi ho lavorato nella grafica e nel web.
Di me posso dirvi che quando osservo una scena del quotidiano, ovunque mi trovi (al bar, in sala d’attesa di uno studio medico, in un negozio), un meccanismo creativo spontaneo si affaccia alla mia mente e anima la scena con situazioni dialoghi, evoluzioni, finali.
Ora vivo ad Anagni (FR). Oltre al lavoro e alla famiglia, svolgo volontariato in biblioteca, partecipo a un gruppo di lettura; leggo, naturalmente, e cerco di imbrigliare le idee in un nuovo progetto letterario.
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