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Consegna prevista Marzo 2026

La storia di Letizia viene sconvolta dalla violenza di Vasco, che abusa di lei durante il loro primo appuntamento. Da quel momento, oltre alle ferite e alle paure, il suo corpo accoglierà una nuova vita, tessuta contro la sua volontà e che chiede la possibilità di nascere.
Quale decisione prenderà la ragazza?
Molte voci narranti si affiancheranno a lei in questo percorso, dando vita a un romanzo polifonico. Tante piccole tessere che fanno cogliere al lettore quanto la realtà possa essere sfaccettata e che lo invitano ad allontanare lo sguardo dalle tragedie che vive, per cogliere il disegno più grande che sottende agli avvenimenti quotidiani. Perché la vita ha bisogno di una certa distanza dalle tribolazioni per essere colta nella sua bellezza; e la medesima distanza è richiesta anche davanti alle tessere di un mosaico. Solo così sarà possibile scoprire che ogni tassello trova un senso compiuto nell’insieme di un progetto che lo accoglie e lo supera.

Perché ho scritto questo libro?

Il potere delle storie può cambiare la vita delle persone, perché è capace di radicarsi nella realtà e toccare le corde dell’esperienza. Io scrivo per raccontare queste storie, per scandagliare i bivi della vita quotidiana, dove le scelte non sono sempre scontate, ma richiedono la pazienza dell’ascolto. Scrivere per me è mettersi al servizio dei personaggi e dei loro vissuti, sospendere il giudizio per lasciare parlare la loro vita, che, in fondo, può essere specchio della vita di ognuno di noi.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

La porta è ancora chiusa. Le vetrine del negozio sfitto sono ricoperte da grandi fogli marroncini, fissati con dello scotch-carta. Il cartello arancione con scritto vendesi/affittasi è incollato nell’insegna vuota al di sopra dell’ingresso. Si guarda intorno con emozione; nella sua mente si forma l’immagine di ciò che diventerà quel locale. I tavoli sono già stati ordinati, i materiali marmorei sono in viaggio, ma presto saranno in magazzino. Persino il progetto dell’insegna è stato disegnato e consegnato alla ditta grafica da più di un mese.

Tessere in libertà. Così si chiamerà l’atelier. Un luogo dove lei e Matilde potranno insegnare e sperimentare l’arte musiva. Già sente il ticchettio delle martelline abbattersi sui blocchetti. Nel naso l’odore pungente della colla cementizia. Vede le dita fremere d’impazienza mentre immagina di posare ogni tessera al posto giusto. Pregusta la sensazione di allontanare lo sguardo dall’opera per coglierne la complessità cromatica e le linee dei disegni.

In questo modo, davanti a lei, prende vita il suo sogno, sebbene la trattativa sul locale non sia ancora stata conclusa; qualcosa, in fondo, potrebbe andare storto. Ma quella mattina si sente fiduciosa. Una strana energia l’ha contagiata, una specie di refolo di risurrezione. Tutto questo le permette di credere nella possibilità di cancellare il dolore del mese precedente e guardare con speranza verso un domani sereno. Si passa le mani nei folti capelli ricci e li smuove con vigore; sorride al suo riflesso sui vetri. Gli zigomi alti accentuano la curva della bocca carnosa e il mento sottile dà al suo volto un aspetto nobile. Il corto piumino leggero e i jeans a vita alta ne accentuano le forme longilinee, specchio dei suoi ventiquattro anni. Gli orecchini di giada pendono come gocce dai lobi delicati, richiamando il verde foresta degli occhi.

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Non riesce a smettere di sorridere davanti alla sua immagine. Si sente come una bambina trepidante in attesa di scartare il regalo.   

La strada secondaria in cui si trova è avvolta da un silenzio pigro. I pioppi che svettano da aiuole intagliate nel marciapiede mostrano con orgoglio i piccoli germogli al sole; nemmeno il vento ancora ghiacciato di marzo riesce a impaurire quegli scampoli di vita che ogni primavera rinascono. Il cielo è dipinto di un azzurro intenso, libero dalle nebbie invernali; l’umidità che penetra nelle ossa sembra solo un ricordo. In lontananza i rumori nervosi del traffico si alternano come echi di una battaglia al canto brillante dei pettirossi sui rami.

È arrivata all’appuntamento troppo presto. Incrocia le braccia al petto per proteggersi dal freddo. Cammina nervosa sul marciapiede guardando il cellulare. Nessuna chiamata. Il mediatore sarà lì a momenti e lei non vuole farsi trovare da sola: insieme hanno ordito quel folle progetto. Quindi entrambe devono essere presenti alla trattativa.

Non resiste più all’impulso di chiamarla.

Pronto?, la voce è tranquilla, ma c’è un brusio di sottofondo.

Si può sapere dove sei?

Che ore sono?

Sei in ritardo!

Non è vero…mi dici che ore sono?

Non hai l’orologio?

Sto guidando.

Tra dieci minuti arriva il mediatore. Vedi di non farmi trovare da sola.

Che palle, Letizia! Sono in strada.

Non vuol dire niente essere in strada. Anch’io lo sono!

Sente che l’amica sta ridendo sottovoce per non farla arrabbiare. Perde quel poco controllo che si è imposta.

Vedi di muovere il culo!, riprende la ragazza, ma non riesce a imprimere nelle parole la giusta determinazione. È contagiata dalla poca serietà dell’amica.

Se lo muovo non riesco a guidare, ribatte lei ridendo di gusto.

Tra quanto sarai qui?, chiede Letizia facendo finta di non aver colto la battuta.

Cinque minuti.

Reali o fittizi?

Reali, reali. Vedi di non stressarmi. Butto giù. Arrivo.

Muoviti!

Vaffanculo…però ti voglio bene. Kisses, e chiude la chiamata.

Letizia fissa lo schermo del telefono e sorride. Matilde è un po’ scombussolata, come tutte le artiste, ma, senza di lei, non sarebbe mai stata in grado di portare a compimento il progetto dell’atelier. L’ha sostenuta in tutti i sensi. E avere qualcosa da fare, delle pratiche da consegnare, degli ordini da fissare, delle scartoffie da chiedere al comune le ha permesso di non pensare al male di cui è stata vittima. Non è passato neanche un mese e le sensazioni di violenza sono ancora presenti nelle sue giornate.

Continua a camminare avanti e indietro guardando l’orologio. L’appuntamento è ormai prossimo. All’improvviso sente una fitta all’altezza dell’inguine. Si ferma. Appoggia la mano sul dolore come se lo potesse toccare. È rincuorata. Finalmente il ciclo sembra esserle tornato. Le avevano detto in ospedale che poteva succedere dopo un evento traumatico come il suo; ma che, prima o poi, il suo utero avrebbe ripreso i consueti ritmi biologici. Perciò non si era preoccupata quando le mestruazioni avevano ritardato quel mese.

Finalmente il corpo ricomincia a vivere!

Dopo qualche minuto, sente chiamarsi alle spalle. Matilde la sta raggiungendo con la consueta calma. Indossa degli occhiali da sole a goccia appoggiati sulla fronte e sorride. I lunghi capelli color rame le scendono come una cascata infuocata sullo smanicato imbottito color fucsia. Nonostante il freddo ha le braccia completamente scoperte. Un arabesco misterioso e sgargiante di tatuaggi le scende dalle spalle fino al polso. Le dita sono ornate di anelli massicci e una collana a tre giri stretti di bigiotteria le accentua il collo lungo e morbido. Solo le sottili rughe sul volto ne rivelano la mezza età; ma gli occhi scuri sono ancora accesi di quella freschezza tipica dei giovani. Tra le labbra color rosso ciliegia pende pigramente una sigaretta. Tiene il braccio alzato e appoggia l’indice dell’altra mano sul quadrante dell’orologio.

Allora ce l’avevi un orologio, dice Letizia cadendo volontariamente nella provocazione.

Cinque minuti ho detto e cinque minuti sono stati.

Non darti tante arie solo perché una volta tanto sei arrivata puntuale, la rimbecca con falsa serietà.

Ma senti questa, risponde Matilde buttando la sigaretta sul marciapiede e schiacciandola sotto la sua sneaker. Dovresti avere un po’ più di rispetto per chi è più anziano di te, ragazzina impertinente, e le soffia in faccia l’ultimo residuo di fumo rimastole in bocca.

Letizia avverte un senso di mancamento. Il fumo di sigaretta non le dà fastidio, ma, in quel momento, si sente come se qualcuno le avesse assestato un colpo nello stomaco. Spalanca gli occhi e porta istintivamente le mani alla pancia.

Matilde, vedendola sbiancare, le si avvicina prendendola per un braccio.

Ehi, baby. Tutto ok? Stavo scherzando…cosa ti prende?

Niente…niente, dice afferrandole la mano e stringendo forte.

Non mi sembra. Sei bianca come un fantasma…

Adesso mi riprendo, tranquilla. Devo aver avuto un calo di pressione.

Tu non hai mai cali di pressione. Che cazzo stai dicendo?

Mi lasci respirare?, dice stizzita togliendosi dalla sua presa e allontanandosi.

Inizia a inspirare lentamente dal naso. Un laccio invisibile le stringe la gola. La nausea sale feroce e la stordisce.

Un déjà vécu che ritorna dopo quella sera di febbraio.

Ma lei è più forte. Ricaccia indietro la sensazione, mantenendo il ritmo calmo del respiro. Un sudore freddo si infiltra nei ricci vaporosi; scende dalle tempie. Poi tutto scompare.

Ehi, piccola…, è ancora Matilde a sfiorarle il braccio. Vuoi sederti?

No, no…sto bene. È stato un attimo.

Sicura? Non ti ho mai vista così…sembrava un attacco di panico o che cazzo ne so. Mi hai fatto paura.

Sarò emozionata per oggi, Letizia cerca di deviare l’attenzione. Ormai ci siamo. Non mi sembra vero!

Matilde la squadra con sospetto. Sembra leggerle dentro. Forse scorge in lei qualcosa che non riesce a definire. Un cambiamento interiore, un passaggio di stato. Ma è solo una sensazione fugace.

Già…con tutti i soldi che c’ho messo, spera solo che le cose vadano bene!

Ti ho già detto che la mia quota te la restituirò con il tempo. Purtroppo mi toccherà fare il doppio turno in quel supermercato di merda, ma, prima o poi, me ne andrò.

Non sono preoccupata per quello, lo sai. I soldi non sono un problema.

E quindi?

Mi preoccupi tu. Non è passato molto tempo…

…e io non ho bisogno che me lo ricordi. Sono sempre io. Concentriamoci sul progetto. Mi fa bene distrarmi.

Come vuoi, e infila le mani nelle tasche dello smanicato. Comunque quel coglionazzo del mediatore è in ritardo.

Dopo quasi mezz’ora, l’uomo arriva tutto trafelato davanti al negozio. È basso e tarchiato. Il volto completamente rubizzo e coperto di sudore. A pochi passi dalle donne smette di correre e inizia a camminare con il respiro affannato; si muove come un pinguino con un uovo sotto al culo. Allunga la mano cicciotta verso Matilde; nel mignolo l’unghia è più lunga di qualche centimetro.

Signorina Cesarini, signorina Raffelli…, il colletto della camicia azzurra ha dei leggeri aloni. Perdonate il mio ritardo.

Dov’era finito? Stavo per mettere radici, per la miseria!, dice Matilde con un tono scocciato.

L’omino è spiazzato dalla brutalità dell’affermazione.

Ecco, io…avevo un appuntamento che, sì, insomma, si è prolungato. Poi ho dovuto lasciare l’auto al collega…e ho corso, non mi ha visto?, ho corso per arrivare in tempo, ma più veloce di così…

Poteva chiamare, lo rimbecca abbassando le sopracciglia.

Sì…è vero…ma vede io…, balbetta l’uomo cercando di riprendere fiato.

Tranquillo, signor vendocasa: stavo scherzando, dice Matilde guardando Letizia con intesa.

Ah…, ride l’uomo cercando di sembrare disinvolto.

Sui tre cala un silenzio imbarazzato. In lontananza le auto non cessano di lottare per la supremazia della strada.

Allora…vogliamo entrare?, propone Letizia interrompendo lo stallo in cui si trovano.

Grande idea, dice Matilde. Coraggio, mio caro Manuzzi, ci faccia strada.

Mentre ispezionano il locale ancora vuoto, Matilde mostra a Letizia dove vorrebbe posizionare i tavoli, quante prese per le lampade da appoggio bisognerebbe aggiungere, come catalogare e ordinare i materiali nello sgabuzzino una volta arrivati. Attraverso le sue parole gli oggetti appaiono nello spazio e il loro progetto prende vita. L’entusiasmo della donna è capace di portare all’esistenza concreta ciò che lei già vede nella sua mente.

Il mediatore fatica a starle dietro, preso com’è a sciorinare metrature e vincoli contrattuali. Per il momento non avrebbero comprato il locale; troppo rischioso. Occorre un periodo di prova. Va bene l’arte, ma è necessario anche uno spirito imprenditoriale. Certo, continua Manuzzi, l’affitto sul lungo periodo sarebbe costato di più; forse, secondo il suo punto di vista, conviene accendere un mutuo e comprare.

Matilde lo ignora e trascina l’amica in ogni angolo, scaldandosi d’eccitazione a ogni particolare che la sua mente aggiunge. A un certo punto intima all’uomo di chiudere la bocca; avrebbero parlato dopo dei particolari tecnici. Ora devono vedere se il posto è in grado di dare forma al loro lavoro. Manuzzi, con al bocca imbronciata, si mette in un angolo a fare delle chiamate ad altri clienti. Le spia con al coda dell’occhio attendendo il momento giusto per intervenire.

Mentre le due donne sono chinate in un angolo per analizzare lo stato dell’intonaco mangiato dall’umidità, Letizia percepisce ancora una fitta all’altezza dell’ovaio.

Si alza lentamente.

Non ascolta più Matilde che continua a parlare.

Porta ancora la mano al ventre. Ha paura.

Pensa che non è normale questo ritardo.

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Matteo Pasqualone
Matteo Pasqualone nasce a Cesena (1987). Scrittore e teologo, da anni il suo studio si concentra sul rapporto fecondo tra la letteratura e la teologia. In modo particolare, gli autori letti e studiati di più sono Flannery O’Connor, Louise Glück, Cormac McCharty, John Steinbeck e John Ronald Reuel Tolkien. Ha pubblicato articoli su riviste teologiche e tre sillogi poetiche. "Tessere" è il suo primo romanzo.
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