Eppure, non successe nulla.
Gli attimi passarono, finché i due animali non fuggirono via, sotto lo sguardo immobile del cacciatore sopra di loro.
Di ritorno dalla ragazza, l’uomo ripose fionda e sassi nelle tasche e la aiutò con la raccolta dei frutti del bosco.
«Che è successo?»
«Niente, donna.»
«Mah… non ho visto bene, ma… avevi trovato qualcosa?»
L’uomo non le rispose subito, le cinse i fianchi come per voler calmarsi. «Lo sai cosa fa una lepre, se si sente minacciata?» «No.»
«Una lepre sa solo fuggire, anche se un suo cucciolo è in pericolo. Un daino, un cervo, un cinghiale e anche un lupo no, non scappano. Se un loro cucciolo è minacciato, fanno di tutto pur di salvarlo.»
La donna non parlò per qualche passo.
«Però, le lepri sono difficili da catturare, gli altri animali meno.» «Vero, ma è solo questione di tempo. Non appena ci saremo organizzati in gruppo e qualcuno sarà riuscito ad avere un arco, le lepri spariranno in fretta.»
La ragazza si accarezzò una treccia che le era uscita dal cappuccio fangoso: i capelli avevano perso da tempo il loro colorito castano naturale, per annerirsi di sporcizia e fuliggine. Sempre camminando, posò la testa sulla spalla di lui, alla ricerca di un mutuo conforto.
L’uomo avrebbe voluto portare in dono al nuovo venuto biondo una testa e un cuore di daino, se cucciolo meglio ancora. Essere ricevuto con grandi onori, ma non quel giorno.
Al bivio per il forte, l’uomo esitò un istante, e lei fermò appena il suo incedere per guardarlo, per poi lasciarsi condurre verso il torrente, spinta da lui con decisione per un fianco.
«Non pensiamoci. Abbiamo sempre un bel mucchio di frutta» disse. «E puoi star certa che quest’oggi pescherò un bel pesce da portare in trofeo.»
La ragazza annuì con un tiepido sorriso.
I loro scarponi logori sull’erba a creare solchi e impronte. Discesero un pendio appena sopra un laghetto artificiale evitando piccoli crateri anneriti, che si erano creati dopo tremendi incendi.
Tutt’intorno a loro coltri di fuliggine spessa, pronte a sollevarsi a ogni minimo accenno di vento mentre l’orizzonte albeggiava.
***
Nello spiazzo tra i resti di un’antica fortezza erano radunati da poco dodici sopravvissuti. Decine di armi e trofei sparsi sulla ghiaia, tra buche che erano cicatrici di vecchi bombardamenti di un tempo dimenticato. Oggetti sparpagliati ad arte per testimoniare ai dieci sopravvissuti il prestigio del Capo. E, in mezzo a loro, un falò, con legna raccolta lì intorno e plastiche di recupero, a ravvivarlo si erano gettati scheletri di animali e non.
Il momento sembrò raggiungere il picco di solennità quando colei che chiamavano Sorella si avvicinò lenta, con movenze da felino, verso l’uomo alto e robusto che pretendeva di comandare su tutti loro. L’uomo che si faceva riconoscere come Capo reggeva la mano destra sul manico di un coltello, con lo sguardo catturato dai fumi neri del rituale e dai bagliori del fuoco crepitante.
Il giovane uomo e la compagna dagli scarponi logori assistevano in estatico silenzio con accanto a loro uno strano trio. Un vecchio e due curiosi animali mugolarono, rapiti dal momento solenne. Alle loro spalle, in silenzio, quattro o cinque ragazze e ragazzi.
Avevano preferito sedersi più discostati dal focolare, acceso alle prime luci di quel tramonto sanguinante. Tra loro un bastardino con il muso a terra.
La Sorella ormai si trovava davanti al Capo, che porgeva il grosso teschio di un cervo, fratturato e tenuto insieme da un fil di ferro.
«Oggi, mentre il Sole muore e il Fuoco rivive, sei incoronato. Siamo giunti alla nostra N, tutti noi con l’unico scopo di sopravvivere a tutto.» Gli pose il teschio sulla testa fermandolo con il fil di ferro. «Tu sei sopra tutti il Protettore, su te il Fuoco della Notte, tu la nostra Guida.» Un ululato di scherno tra loro scese dal rudere di una casupola in granito mezzo annerita.
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