Con l’ultimo briciolo di energia risalirono il pendio che portava al vecchio centro cittadino. Un vasto tavolato si stendeva davanti ai loro occhi, inoltrandosi a fondo valle.
All’orizzonte, un intrico di edifici straziati da un’apocalisse, appena rischiarato da un brillio verdastro che mai videro così intenso. Si scorgevano appena alcune macchie rosse, seppellite da scorie, sulle quali nulla era ricresciuto. La maggior parte delle macerie inghiottita dal terreno sconvolto.
Qualche gambo floscio di grano ondeggiava appena al vento, affusolato ed emaciato. Nell’aria odore di morte e cemento.
A Leo vennero gli occhi lucidi. Come abbiamo potuto uccidere il mondo?
Jerome scosse la testa. È meglio andare.
Parroco non riusciva nemmeno a rispondergli dalla fatica, si limitò a guardare l’ora che segnava l’orologio, e ad annuire.
Dietro, il terzo parlò battendo i denti. Non troveremo altri sopravvissuti? Gente che ha perso ogni traccia di umanità…
O di cristianità? Jerome, potremmo imbatterci in mutanti inumani? Ho sentito dire…
Basta. Parroco, Leo, dobbiamo andare. Seguitemi.
Cascando dal sonno, Jerome zoppicò verso quel nucleo che di urbano non aveva più nulla, anche se una volta densamente abitato. Migliaia di sogni sepolti dentro quella necropoli, da pelle d’oca il solo pensiero. Superate decine di vetture smembrate, Rivale si diresse verso quel che sembrava l’orrenda bocca di quel luogo, un cratere che era stato un verde parco, per cercare anche solo un buco nel terreno, in cui lasciarsi cadere. Bofonchiò alle sue spalle che voleva solo mangiare le ultime razioni di carne affumicata e poi, dormire fino alla morte.
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