L’autobus vibra leggermente a ogni curva, e i sedili rivestiti in tessuto grigio mostrano i segni del tempo. Fuori dai finestrini, la città si sveglia lentamente: le montagne innevate si ergono maestose sullo sfondo, e i raggi del sole invernale illuminano le case con i tetti spioventi.
Lorenzo è seduto vicino al finestrino, con un’espressione assorta. Bavaria, seduta accanto a lui, tamburella impazientemente con le dita sul bracciolo del sedile. Indossa un cappotto color pastello e tiene stretto tra le mani una guida turistica che ha insistito per portare.
“Papà, quanto manca per l’Arco? Lo vedremo subito appena scendiamo, vero? Sarà grandissimo, come nelle foto?”
Lorenzo alza lo sguardo dal finestrino e guarda sua figlia con un sorriso stanco ma affettuoso.
“Sì, piccola. L’autobus ci lascia proprio lì vicino. E sì, l’Arco è grande… anche se magari non tanto quanto te lo immagini.”
Bavaria arriccia il naso, fingendo di essere delusa. “Beh, per i Romani era abbastanza grande da chiamarlo monumento, no? Allora per loro doveva essere importante! Anche Aosta era importante, vero?”
Lorenzo annuisce, un po’ sorpreso dall’entusiasmo della figlia. “Era una città strategica per i Romani. Un punto di controllo tra l’Italia e le Gallie. Hanno costruito tutto per farla durare secoli. E direi che ci sono riusciti, no?”
Bavaria sorride, soddisfatta, e torna a sfogliare la guida turistica. Lorenzo si perde di nuovo nei suoi pensieri, osservando le montagne che scorrono fuori dal finestrino.
Non può fare a meno di confrontare l’entusiasmo di Bavaria con i ricordi di sé stesso alla sua età. A 11 anni, lui non vedeva l’ora di andarsene da quella città. Considerava Aosta un posto troppo piccolo, troppo stretto, troppo… noioso. A 19 anni, appena diplomato, aveva lasciato tutto prendendo il primo treno per Milano, senza mai guardarsi indietro, convinto che sarebbe stato il centro della sua nuova vita.
Ora, mentre osserva la figlia che si appassiona alla storia antica di Aosta, sente una strana nostalgia. Negli ultimi quattro anni, da quando era tornato in Valle con lei e con Camila, anche lui aveva iniziato a guardare Aosta con occhi diversi. Bavaria gli aveva insegnato a notare i dettagli, ad apprezzare ciò che prima gli sembrava banale.
Un lieve sussulto dell’autobus lo riporta al presente. L’autista annuncia la fermata: “Arco d’Augusto. Fermata Arco d’Augusto.”
“Eccoci, papà! Dai, sbrighiamoci, voglio vederlo!” !” esclama, i suoi riccioli castani che danzano mentre si sporge per guardarlo.
Lorenzo sorride, scuote la testa e si alza con calma. Con un gesto esperto, prende lo zainetto di Bavaria e lo sistema sulla sua schiena. “Tranquilla, l’Arco non scappa mica.”
Scendono dall’autobus e si trovano proprio davanti all’Arco d’Augusto, che si staglia di fronte a loro, imponente e silenzioso, come un guardiano di pietra che osserva il passare del tempo. Bavaria rimane senza parole per un attimo, ammirandone le dimensioni e le antiche pietre illuminate dal sole poi, sottovoce, esclama: “È bellissimo…”, stringendosi nel cappotto, gli occhi spalancati di curiosità e ammirazione.
Lorenzo le sorride debolmente. Ricorda di averlo visto mille volte da ragazzo, ma allora gli sembrava soltanto una reliquia inutile, un simbolo di una città che sentiva stretta, soffocante.
“Sì, è uno dei monumenti più antichi di Aosta,” risponde, cercando di condividere il suo entusiasmo. La bambina però nota qualcosa. “Papà, sei connesso o no?” chiede, inclinando la testa.
Lorenzo ride piano, grattandosi la nuca. “Sì, sì, sono connesso “. Ma subito dopo si rende conto del proprio tono evasivo e cerca di concentrarsi. È difficile, però, perché i ricordi di Milano emergono con forza. Gli tornano in mente gli anni trascorsi come impiegato nella stampa estera, un lavoro che gli aveva permesso di viaggiare e scoprire l’Europa. Tra tutti i luoghi, le Alpi bavaresi gli erano rimaste nel cuore: quelle montagne gli ricordavano qualcosa di antico, di eterno, e le aveva amate al punto da chiamare Bavaria sua figlia.
Non solo. Ripensa alla Onlus che aveva fondato insieme ai suoi amici più cari, un progetto nato dalla voglia di fare la differenza per chi aveva meno. Quelle riunioni serali, piene di entusiasmo e idee, avevano rappresentato un punto fermo nella sua vita milanese. Era un’esperienza che lo aveva definito tanto quanto il suo lavoro o la sua famiglia.
Lorenzo sospira, tornando al presente. “Vieni, cominciamo la nostra passeggiata romana.”.
Si avvicinano all’Arco, e Bavaria inizia a saltellare attorno a lui, facendo domande. “Papà, perché è stato costruito? È vero che i Romani hanno costruito Aosta?” Lorenzo la guarda, affascinato dall’entusiasmo della bambina. “Sì, i Romani hanno costruito Augusta Praetoria,” dice, usando il nome antico della città. “Lo hanno fatto per celebrare una vittoria, per ricordare a tutti quanto fossero potenti.”
“E noi veniamo dai Romani?” chiede Bavaria con occhi curiosi. Lorenzo si ferma per un attimo. “In parte sì. La Valle d’Aosta è sempre stata un crocevia, un luogo dove culture diverse si sono incontrate e mescolate. I Romani, i Salassi… siamo un po’ di tutto.”
Bavaria riflette per un attimo, poi sorride. “Allora siamo speciali!” dice, con la semplicità disarmante di una bambina. Lorenzo la guarda e si sente scaldare il cuore. Forse ha ragione, pensa. Forse c’è qualcosa di unico in questa valle, qualcosa che lui stesso sta iniziando a scoprire.
Bavaria, nel frattempo ha preceduto suo padre: è già arrivata alle Porte Pretoriane, la seconda tappa indicata sulla guida turistica “Papà, ma cosa sono esattamente le Porte Pretoriane?” chiede all’improvviso, senza alzare lo sguardo dal libretto. Lorenzo sorride, nuovamente sorpreso dall’entusiasmo della figlia.
“Erano l’ingresso principale della città romana. Un sistema di porte che serviva a controllare chi entrava e usciva da Augusta Praetoria,” risponde, ma le sue parole si dissolvono mentre la mente lo riporta, ancora una volta, a Milano. Si rivede nella piccola aula allestita dalla sua onlus in periferia, intento a insegnare l’italiano a un gruppo di stranieri. Fu proprio lì che incontrò Maria, una giovane donna dominicana con un sorriso caloroso e occhi che sembravano vedere oltre le apparenze. Lei era venuta in Italia con la speranza di un futuro migliore, portando con sé solo i ricordi e una valigia di speranze.
Maria era diventata una sua allieva, ma presto tra loro nacque qualcosa di più profondo. La passione per il volontariato, la voglia di aiutare il prossimo e una visione condivisa di un mondo migliore li unirono. Non passò molto tempo prima che si sposassero e che nascesse Bavaria, la loro piccola. Lorenzo amava così tanto le Alpi bavaresi e Monaco di Baviera da essere diventato un tifoso del Bayern Monaco, e considerò – scherzosamente – quasi un segno divino di buon auspicio il fatto che il Bayern avesse centrato il suo primo, storico Triplete proprio pochi mesi prima della nascita di sua figlia.
“Papà? Mi stai ascoltando?” Bavaria richiama la sua attenzione, e Lorenzo torna al presente, sentendosi un po’ in colpa per essersi perso nei ricordi.
“Sì, scusa. Ti dicevo che le Porte Pretoriane sono uno degli esempi meglio conservati di architettura militare romana. Vedrai, ti piaceranno.”
Bavaria sorride soddisfatta, ma non si ferma. “E il Teatro Romano? Che cos’è?”
“Un luogo dedicato agli spettacoli,” risponde Lorenzo. “I Romani erano grandi amanti del teatro, e Augusta Praetoria non faceva eccezione. Costruirono quel teatro per accogliere centinaia di persone.”
Mentre parla, un altro ricordo si fa strada. Maria non era arrivata da sola in Italia. Con lei c’era anche Camila, la figlia avuta da una precedente relazione. All’epoca, Camila aveva dieci anni e una timidezza che metteva quasi in soggezione. Lorenzo ricordava ancora il primo giorno in cui la bambina era entrata nella loro casa. Bavaria, che allora aveva solo tre anni, l’aveva accolta con un entusiasmo disarmante, abbracciandola come se la conoscesse da sempre. Quel gesto fu il primo passo verso un legame profondo tra loro. Camila, per raggiungere sua madre in Italia, aveva dovuto lasciarsi alle spalle la nonna che l’aveva cresciuta. Lorenzo, che inizialmente temeva di non essere all’altezza del ruolo di patrigno, si era ritrovato a costruire un legame speciale con quella bambina sveglia e determinata, imparando ad amarla come se fosse sua figlia. Si era dedicato a lei con la stessa cura che riservava a Bavaria, aiutandola nei compiti, accompagnandola alle attività extrascolastiche e ascoltando le sue confidenze da adolescente. Quando la crisi economica aveva colpito, il loro piccolo mondo era stato messo alla prova. Lorenzo aveva dovuto affrontare la dura realtà: vendere la casa e tornare ad Aosta, accettando l’ospitalità di sua sorella Veronica. Maria, invece, aveva deciso di restare a Milano, ma le figlie avevano scelto di seguirlo. Era stata una separazione dolorosa, ma Lorenzo sapeva che era l’unica scelta possibile per ricominciare.
“Papà, manca molto al Criptoportico? Papà? Papà?”
“Manca ancora un attimo: adesso siamo in Piazza Chanoux.” risponde con un sorriso, “ Se tagliamo per la piazza dietro al municipio, la Piazza San Francesco, costeggiando le scuole medie frequentate da chi abita in centro, ci immettiamo in Via Monsignore de Sales.” Bavaria ridacchia, scuotendo la testa. “Hai proprio la testa fra le nuvole, papà. Cosa facciamo una volta arrivati in questa via Monsignor del sale?”
“Dunque, da lì, bisogna raggiungere la Cattedrale di Aosta…” Comincia a spiegare, ma la mente lo tradisce di nuovo. Si perde nei ricordi di Milano, delle lezioni di italiano alla onlus, delle risate e delle discussioni con Maria.
Bavaria, però, non è tipo da lasciarsi distrarre. “E poi? Dove dobbiamo andare?”
“Da nessun’altra parte: l’ingresso del Criptoportico è a fianco della chiesa” risponde lui, automatico. Stavolta i ricordi che riaffiorano sono dolci. Camila che aiuta Bavaria a scrivere i primi temi in italiano, le passeggiate del sabato pomeriggio al parco Sempione, i loro tentativi di preparare insieme piatti dominicani che spesso finivano in disastri culinari.
“Papà, ci siamo quasi! Lì c’è il Criptoportico!” Bavaria lo scuote dal torpore dei ricordi, indicando la scalinata d’ingresso al monumento che ora si staglia chiaramente davanti a loro.
Lorenzo sorride, guardandola con affetto. In quegli occhi pieni di entusiasmo vede una luce che gli ricorda il motivo per cui, nonostante tutto, ha trovato una nuova ragione per amare la sua terra natale.
CAPITOLO 2 – LA NASCITA DI UN EROE
Lorenzo e Bavaria trascorrono l’intera giornata tra le meraviglie di Aosta. Dopo aver visitato ogni angolo dell’antica Augusta Praetoria, tornano finalmente a casa, stanchi ma soddisfatti. Bavaria chiacchiera senza sosta, raccontando con entusiasmo ogni dettaglio di ciò che ha visto, mentre Lorenzo sorride affettuosamente, felice di vederla così entusiasta della loro città.
Dopo cena, Lorenzo si rilassa sul divano, sfogliando distrattamente le notizie sul telefono, quando sente un rumore di passi frenetici provenire dal piano di sopra, seguito da un’esclamazione preoccupata.
“Papà! Il mio documento! Non lo trovo!” grida Bavaria, la voce carica di ansia.
“Calmati, calma,” le risponde Lorenzo, alzandosi e salendo le scale. “Sei sicura di averlo portato a casa?”
“Papà, l’avevo nella tasca del giubbotto, ne sono sicura… ma ora non c’è più!”
“Che succede?” interviene Camila, affacciandosi dalla sua stanza. “Cos’è tutta questa confusione?”
“Bavaria ha perso il documento d’identità,” spiega Lorenzo, guardando la figlia minore con aria interrogativa.
“Non l’ho perso, l’ho dimenticato!” esclama Bavaria, come se correggere il verbo cambiasse qualcosa.
“Dove, esattamente, l’hai dimenticato?” insiste Camila, alzando un sopracciglio.
“Al Criptoportico,” ammette Bavaria a bassa voce.
“Al Criptoportico?” ripete incredula Camila. “E che ci facevi col documento al Criptoportico? Non è un ufficio pubblico, è un monumento! Come si fa a dimenticare una cosa così importante lì?”
“Stavamo giocando a un gioco,” interviene Lorenzo con un tono difensivo, anticipando la risposta di Bavaria.
“Un gioco? Con la carta d’identità?” chiede Camila, scettica.
“Volevo scattare una foto creativa!” spiega Bavaria, gesticolando con energia. “Ho messo il documento vicino alla colonna con l’iscrizione latina, quella che mi piaceva tanto. Papà ha detto che sarebbe stata una foto divertente, tipo… la mia identità accanto all’identità di Augusta Praetoria.”
“Un capolavoro di metafore,” commenta Camila sarcastica.
“Non sapevo che l’avrebbe lasciato lì!” si giustifica Lorenzo, passandosi una mano tra i capelli. “Bavaria…” – cercando di mantenere la calma – “Lo sai che il Criptoportico è chiuso a quest’ora, vero?”
“Ma papà, devo assolutamente recuperarlo! Senza documento non posso andare in gita ad Annecy domattina! Partiamo alle otto!” insiste Bavaria, la voce tremante.
Lorenzo sospira profondamente, rendendosi conto di non avere scelta. “Va bene. Vado a prenderlo. Ma tu resti qui,” decide con fermezza.
Mentre infila il giubbotto e si prepara a uscire, incrocia Veronica che sta rientrando in casa. Porta un borsone pieno di libri e un’aria di stanchezza, ma i suoi occhi attenti notano subito il comportamento del fratello.
“Che succede? Dove stai andando a quest’ora?” chiede lei, fermandosi nell’ingresso.
“Bavaria ha lasciato il documento al Criptoportico, e senza non può andare in gita domani,” spiega Lorenzo, cercando di chiudere la conversazione in fretta.
Veronica alza un sopracciglio. “Al Criptoportico? Lorenzo, ma è chiuso. E guarda il cielo: sta per venire giù il diluvio.”
“Lo so, ma non ho alternative,” risponde Lorenzo, determinato. “La gita è importante per lei.”
Veronica lo osserva per un momento, poi scuote la testa con un sorriso ironico. “Tu e le tue idee. Cerca almeno di non farti arrestare. E prendi l’ombrello!”
Lorenzo si avvia di corsa a piedi verso il centro, mentre i primi lampi illuminano il cielo sopra Aosta. L’aria è densa di umidità, e il vento annuncia il temporale imminente. Ma niente di tutto questo lo farà tornare indietro: deve recuperare quel documento, qualunque cosa accada.
In meno di un quarto d’ora, Lorenzo giunge in Piazza Giovanni XXIII, con il Criptoportico sommerso nell’oscurità della notte. Solo la luce tremolante dei lampioni illumina l’antico monumento, avvolgendolo in un’aura quasi spettrale. Le prime gocce di pioggia iniziano a cadere, ma Lorenzo non se ne cura. Indossa il cappuccio del giubbotto e si avvicina al cancello che chiude l’accesso.
“Perfetto,” mormora tra sé. “Ovviamente è chiuso, come previsto.”
Si guarda intorno, assicurandosi di non essere osservato, poi estrae il telefono, rimuginando: “Non ci posso credere che sto facendo questo”, passandosi una mano sul viso.
Grazie a qualche conoscenza accumulata durante i suoi anni da ragioniere programmatore e ai trucchi imparati lavorando con vari sistemi informatici, si connette al sistema di controllo degli ingressi. Ricorda di aver letto tempo fa che il Criptoportico era stato dotato di serrature elettroniche per facilitare la gestione degli accessi durante gli orari di visita.
“Speriamo che abbiano lasciato qualcosa di elementare,” pensa, digitando rapidamente. Dopo alcuni tentativi e una ricerca nei registri pubblici del Comune, trova il modello del sistema utilizzato. Un sorriso soddisfatto gli attraversa il volto quando riesce a decifrare il protocollo di sblocco. Con un clic, la serratura emette un lieve “beep” e il cancello si apre lentamente.
“Sono dentro,” mormora tra sé, infilandosi nel Criptoportico.
Dentro, il Criptoportico è silenzioso, ma qualcosa sembra diverso rispetto a poche ore prima. Una strana tensione aleggia nell’aria. Lorenzo illumina con la torcia del telefono le colonne, cercando il punto dove crede che Bavaria possa aver lasciato la carta d’identità.
Cammina con cautela, avanzando verso l’area più profonda. “Strano,” pensa, osservando le pareti. “Non c’era nulla di simile prima.”
Un bagliore bluastro attira la sua attenzione. Si avvicina lentamente e resta a bocca aperta: al centro di una nicchia che poche ore prima era vuota, ora si trova un altare antico, incastonato nella pietra. Le iscrizioni latine sulle sue superfici sembrano pulsare debolmente.
“Che diavolo…?” sussurra.
Accanto all’altare, Lorenzo nota qualcosa di familiare: la carta d’identità di Bavaria. È posata sopra una piccola sporgenza come un’offerta.
“Ecco dov’era,” dice, allungando una mano.
Non appena le sue dita sfiorano il documento, un’esplosione di luce blu si sprigiona dall’altare. Un vento improvviso si alza, costringendo Lorenzo a coprirsi il volto.
Dal centro dell’altare si materializza un’ombra densa, che prende la forma di un’antica figura romana, avvolta in un mantello nero e dotata di un’aura inquietante. I suoi occhi brillano di un rosso incandescente.
“Chi… chi sei?” balbetta Lorenzo, paralizzato dalla paura.
“Sono Ombra Praetoria, un tempo ero conosciuto come Praetor Tenebrarum,” risponde la figura con una voce cupa e riverberante. “Il custode delle tenebre di Augusta Praetoria. E tu… non dovevi essere qui.”
Prima che Lorenzo possa reagire, l’ombra si scaglia contro di lui, avvolgendolo in un turbine di oscurità. Ma proprio quando sembra che tutto sia perduto, un bagliore dorato esplode dal pavimento, creando un cerchio di luce attorno a Lorenzo.
All’interno del cerchio appare una fibbia d’oro, ornata di pietre preziose e con l’aquila romana incisa al centro. La luce sembra viva, respingendo Ombra Praetoria, che si ritrae con un grido stridente.
“Prendi l’aquila,” sussurra una voce eterea. “Proteggi questa terra.”
Spinto da un istinto che non comprende, Lorenzo afferra la fibbia. Un’ondata di energia lo attraversa, riempiendolo di forza e di antiche memorie. Ombra Praetoria, sconfitta temporaneamente dalla luce, scompare con un grido agghiacciante, promettendo vendetta.
Lorenzo vacilla, stordito dalla potenza che ha appena sperimentato. Poi tutto si spegne.
Si risveglia qualche minuto dopo, sdraiato sul pavimento del Criptoportico, il corpo bagnato dal sudore e la testa che pulsa.
“Che diavolo è successo?” sussurra, sedendosi. Si guarda intorno, ma l’altare è sparito, come se non fosse mai esistito. L’unico segno tangibile di ciò che è accaduto è la fibbia d’oro che stringe ancora tra le mani.
Si alza lentamente, con la sensazione che tutto possa essere stato solo un sogno, ma il peso della fibbia e la stanchezza nel suo corpo gli dicono che ciò che ha vissuto è reale. Esce dal Criptoportico sotto il cielo ancora carico di pioggia, dando un’occhiata alla carta d’identità di sua figlia, che ha raccolto poco prima: “Bavaria, a forza di assecondarti, un giorno o l’altro ci lascerò le penne”, pensa rivolgendo gli occhi al cielo.
Il temporale è ancora intenso, ma lui quasi non lo nota, perso nei suoi pensieri, con la fibbia d’oro stretta nel pugno. Più si allontana dal Criptoportico, più si chiede se ciò che ha vissuto fosse reale o una proiezione della sua mente, stanca e stressata.
Arrivato a pochi passi da casa, osserva la fibbia alla luce tenue del lampione vicino. L’oggetto è pesante, lucido e intatto, nonostante sembri antico di millenni. L’aquila romana incisa al centro sembra quasi osservare Lorenzo.
“Che cos’è questa cosa?” mormora.
Un impulso lo porta a infilare la fibbia nella tasca del giubbotto, come se sentisse che, per ora, non è il momento di analizzarla più a fondo. Apre il portone del condominio e si dirige verso l’ascensore.
Quando Lorenzo entra nell’appartamento, tutto è silenzioso. Veronica deve essersi ritirata nella sua stanza, e Bavaria e Camila dormono profondamente. Lorenzo si toglie il giubbotto bagnato, appoggia la fibbia su un mobile vicino all’ingresso e si dirige verso la cucina per prepararsi un caffè.
Seduto al tavolo, con la tazza fumante tra le mani, ripercorre mentalmente ogni dettaglio di quella notte. La figura oscura, la voce misteriosa, l’esplosione di luce e la comparsa della fibbia. Ogni ricordo è vivido, troppo vivido per essere un sogno.
In quel momento, il suo telefono vibra sul tavolo. È un messaggio di Camila:
“Grazie per essere andato a cercare il documento di Bavaria. Ti voglio bene, papà.”
Un sorriso affiora sulle sue labbra. Lorenzo risponde brevemente, poi si appoggia allo schienale della sedia, chiudendo gli occhi per qualche istante.
La mattina dopo, Lorenzo viene svegliato dal profumo del caffè e dalla voce di Bavaria che chiacchiera animatamente con Camila. Il giorno della partenza per la gita è arrivato, e la casa è in fermento.
“Papà, ti ho detto grazie per ieri sera?” chiede Bavaria, correndogli incontro con lo zaino già sulle spalle.
“Sì, ma puoi sempre ripeterlo,” scherza lui, accarezzandole i capelli.
“Grazie, grazie, grazie!” esclama lei, piantandogli un bacio rumoroso sulla guancia.
Lorenzo sorride, ma il ricordo di ciò che è accaduto al Criptoportico è ancora vivido nella sua mente.
Mentre accompagna Bavaria al punto di ritrovo per la gita, il pensiero della fibbia lo tormenta. Deciso a saperne di più, pianifica di studiarla in maniera più approfondita la notte seguente.
Quella sera, dopo aver cenato con Camila e Veronica, Lorenzo si chiude nel suo studio. La fibbia è posata sulla scrivania, il bagliore dell’aquila d’oro sembra ancora più intenso sotto la luce della lampada.
Apre il laptop e inizia a cercare informazioni sull’epoca romana di Augusta Praetoria. Legge di miti, leggende e di figure leggendarie come i praetores, custodi della città. Scopre che, secondo alcuni racconti, esisteva un’antica reliquia, chiamata Fulgor Aquilae, che conferiva al portatore una forza sovrumana e la capacità di difendere la valle da ogni minaccia.
“L’aquila fulgente,” mormora Lorenzo, guardando la fibbia. “È davvero possibile?”
Un’ombra di dubbio attraversa la sua mente. Nonostante tutto, sa che non può ignorare ciò che è accaduto. Non se vuole proteggere ciò che ama, non se vuole rispondere a quel senso di responsabilità che, lentamente, si sta insinuando dentro di lui.
Quella notte, Lorenzo non dorme. Inizia a comprendere che il destino lo ha scelto per qualcosa di più grande di lui. Ma ciò che non sa è che Ombra Praetoria non è stata distrutta, ma solo scacciata.
Da qualche parte, nelle profondità della Valle, l’ombra attende, pronta a tornare.
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