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Viaggio attraverso uno Stargate

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Consegna prevista Giugno 2026
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Non tutti tornano dallo Stargate.
Sam ha varcato il portale.
Ma ciò che è tornato… non è più soltanto lui.
Ombre dietro ogni riflesso.
Occhi che pulsano di luce innaturale.
Un battito che non smette mai di chiamarlo.
Ogni passo lo avvicina a un destino in cui non sarà più un uomo, ma il varco attraverso cui loro entreranno.
E quando inizieranno a passare, non ci sarà più un “qui” o un “lì”.
Ci sarà solo ciò che aspetta dall’altra parte.
Il varco è aperto. Sempre.

Perché ho scritto questo libro?

“Viaggio attraverso uno Stargate” nasce da un’idea che arde da sempre nella mente di esploratori, scienziati e sognatori: cosa troveremmo se potessimo varcare la soglia verso altri mondi?
Non si tratta soltanto di astronavi, pianeti lontani o civiltà aliene. Questo è un viaggio oltre i confini della comprensione, un salto nell’ignoto in cui ogni passo può cambiare per sempre il destino di chi lo compie.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Sam non dormì quella notte.

Restò seduta sul letto, fissando le mani come se potessero rivelargli la verità su dove si trovava.

Ogni tanto alzava lo sguardo verso la finestra: il panorama era quello di sempre, eppure… no.

Le stelle sembravano disposte in modo diverso, e l’aria aveva un odore più dolce, quasi metallico.

Al mattino uscì.

La strada era familiare, i vicini la salutavano come sempre, ma i loro sorrisi avevano qualcosa di fisso, come maschere troppo ben fatte.

Camminando verso il bar dell’angolo, Sam notò il primo dettaglio sbagliato: l’insegna, che ricordava verde e bianca, ora era di un rosso cupo.

Dentro, il bancone era nello stesso posto… ma dietro di esso non c’era Frank.

C’era un uomo identico a lui, ma con gli occhi di un colore quasi nero, e una voce leggermente più bassa.

— Caffè? — chiese, pronunciando la parola con un accento che Sam non aveva mai sentito.

Seduto al tavolo, Sam osservò i passanti.

Tutti camminavano con un ritmo perfetto, come se seguissero una musica che lei non poteva sentire.

Nessuno inciampava, nessuno si fermava a caso, nessuno controllava il telefono senza motivo.

Era una coreografia.

E lei era l’unica fuori tempo.

Poi vide il giornale sul bancone.

La data era giusta, il titolo parlava di un evento sportivo… ma sotto, in caratteri piccoli, c’era una frase che gli fece gelare il sangue:

“Trasmissione prevista per le 03:17. Prepararsi.”

Sam ricordò l’ora esatta in cui aveva attraversato lo Stargate.

Sam passò il resto della giornata in uno stato di attesa nervosa.

Tornò a casa, chiuse tutte le finestre e si sdraiò sul divano con la radio accesa, sperando di captare qualcosa.

Nulla.

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Solo musica leggera, notiziari, e il solito brusio di fondo.

Quando l’orologio segnò le 03:16, il brusio cessò di colpo.

Non c’era silenzio, però.

Era come se la radio fosse accesa su una frequenza vuota… ma lei sentiva comunque qualcosa, non con le orecchie, ma con lo stomaco.

Un battito lento.

Tre secondi… colpo.

Tre secondi… colpo.

Alle 03:17 arrivò il suono.

Non era una voce umana.

Era un coro basso, profondo, come decine di voci che pronunciano la stessa parola in lingue diverse, tutte sovrapposte.

Eppure, Sam capì il significato:

“UNO DI NOI È FUORI.”

Le luci della stanza cominciarono a pulsare con lo stesso ritmo del battito.

Dalla finestra, vide che in tutta la città succedeva lo stesso: lampioni, insegne, persino i fari delle auto accese, tutti lampeggiavano all’unisono.

E per un istante, ogni persona in strada si fermò… e alzò la testa verso di lei.

Sam fece un passo indietro.

Non poteva saperlo, ma tutti i loro occhi avevano cambiato colore nello stesso momento: un azzurro innaturale, brillante.

Poi, altre parole, più vicine, quasi sussurrate alle sue spalle:

“TORNA NEL PASSAGGIO.”

Sam si voltò di scatto.

La stanza era vuota, ma l’aria sembrava più densa, come se qualcuno stesse respirando troppo vicino.

Il battito non era più nella radio — era dentro di lei.

Dal corridoio arrivò un suono regolare: passi, tutti alla stessa distanza l’uno dall’altro, troppo perfetti per essere casuali.

Quando la prima figura comparve sulla soglia, Sam capì che non avrebbe potuto correre: era uno dei suoi vicini, il volto immobile, gli occhi di quel blu innaturale che aveva visto poco prima.

Dietro di lei, altri due.

Poi altri ancora.

Non parlavano.

Si muovevano come un’onda silenziosa che la costrinsero a indietreggiare verso la porta sul retro.

Ogni volta che pensava di poter deviare, un’altra figura appariva per chiudergli la strada, finché si ritrovò in strada, avvolta nel freddo della notte.

Camminarono — o meglio, la guidarono — verso la periferia.

Non servivano catene né armi: era come se il battito nel petto fosse una corda invisibile che tirava nella direzione giusta.

E con ogni passo, Sam riconosceva dettagli familiari: curve della strada, alberi, un vecchio cartello…

Fino a quando lo vide: lo spiazzo vuoto dove, nel suo mondo, era lo Stargate.

Solo che qui non era spento.

Un cerchio perfetto di luce azzurra si ergeva dal terreno, alto il doppio di un uomo, pulsando lentamente.

Ogni pulsazione faceva vibrare l’aria e il terreno, come il respiro di un animale enorme.

La folla si fermò a pochi metri.

Una voce, da qualche parte tra loro — o forse da tutte — disse soltanto:

“ENTRA.”

Sam sapeva che non aveva scelta.

Il battito nel petto era diventato un ordine, e con ogni pulsazione le gambe si muovevano da sole.

Si avvicinò al cerchio di luce: non emanava calore, eppure la pelle bruciava come se stesse attraversando aria troppo sottile.

A ogni passo, il mondo dietro di lei sembrava dissolversi, come se la città e la folla fossero solo un ricordo che stava già sbiadendo.

Fece l’ultimo passo.

La luce la avvolse, e per un istante non c’era né suolo né cielo: solo un vuoto liquido, in cui il tempo si contorceva.

Poi, improvvisamente, cadde in ginocchio su un pavimento liscio e nero, freddo come pietra.

Si trovava in un corridoio infinito, senza porte né finestre, illuminato da strisce di luce azzurra che pulsavano al ritmo del suo cuore.

In fondo al corridoio, una figura la aspettava.

Non era umana… ma ne portava la forma.

Alta, esile, con il volto privo di tratti se non due occhi di un nero assoluto.

Quando si mosse verso di lei, non camminò: scivolò, come se il pavimento stesso la spingesse.

— Non sei la prima — disse, e la voce riecheggiò da ogni direzione. — Ma potresti essere l’ultima.

Dietro di lei, lo Stargate si chiuse con un suono secco, come una porta che non si riaprirà più.

La figura si fermò a pochi passi da lei.

Non si chinò, non allungò le mani: bastò il contatto visivo perché Sam sentisse la testa riempirsi di immagini.

Non erano ricordi suoi… eppure li vedeva come se li avesse vissuti.

Primo: un uomo in divisa militare, gettato a terra in questo stesso corridoio, gli occhi spalancati, il respiro affannoso. Intorno a lui, decine di ombre immobili, tutte a guardarlo.

Secondo: una donna anziana, che attraversava lo Stargate con passo deciso… e non riemergeva mai. La sua figura si dissolveva in un mare di luce azzurra.

Terzo: un gruppo di persone che Sam non riconosceva, intrappolate in celle trasparenti, ognuna con un battito sincronizzato che si rifletteva nelle luci delle pareti.

«Loro…» sussurrò Sam, incapace di formulare una domanda.

— Non sono “loro”. Sono “noi” — disse la figura. — Ogni viaggiatore diventa parte della struttura. Ogni cuore, un nodo. Ogni memoria, un passaggio.

Le luci del corridoio si intensificarono, e il pavimento sotto Sam vibrò, come un respiro trattenuto.

— Tu sei diversa. — La voce si fece più bassa. — Sei tornata indietro. Due volte.

Sam capì allora che la frase della “trasmissione” non era un avvertimento, ma una constatazione:

“Uno di noi è fuori.”

— E adesso? — chiese, la gola secca.

La figura inclinò la testa, e per un istante sembrò sorridere.

— Adesso decidi se restare… o se portare lo Stargate con te.

Sam restò in silenzio.

La scelta non era una domanda: era una lama puntata al petto.

Sapeva che se fosse rimasta, sarebbe stata assorbita, un nodo in quell’infinita rete vivente.

Se fosse tornata… lo Stargate l’avrebbe seguita.

— Voglio tornare — disse, la voce appena udibile.

La figura annuì lentamente.

Le luci del corridoio cambiarono colore, passando dall’azzurro al bianco accecante.

Il pavimento si inclinò sotto i suoi piedi, e Sam fu trascinata all’indietro, come se un’onda invisibile la stesse spingendo.

Quando riaprì gli occhi, era di nuovo nello spiazzo del suo mondo.

O almeno, così sembrava.

Il cerchio di luce alle sue spalle si era chiuso… ma non era scomparso: piccole scaglie di bagliore azzurro restavano sospese nell’aria, come polvere luminosa.

E si muovevano.

La seguivano.

Nei giorni successivi, Sam si accorse che ogni volta che si avvicinava a una superficie riflettente — una vetrina, una pozzanghera, persino un cucchiaio — il bagliore aumentava.

E a volte, per un istante, nel riflesso vedeva il corridoio nero e le figure alte, immobili, come in attesa.

Capì che lo Stargate non era più un luogo.

Era un’ombra che si portava dietro.

E che, quando avrebbe deciso, avrebbe potuto aprirlo… ovunque.

Era notte fonda.

Sam sedeva sul pavimento del soggiorno, le luci spente, solo la luna a filtrare dalle tende socchiuse.

Davanti a sé, una bacinella piena d’acqua.

Non gli serviva davvero — lo sapeva — ma l’acqua era un riflesso naturale, e i riflessi erano la chiave.

Inspirò profondamente, chiuse gli occhi e lasciò che il battito nel petto trovasse il ritmo.

Tre secondi… colpo.

Tre secondi… colpo.

Colpo acuto.

Quando riaprì gli occhi, l’acqua nella bacinella era immobile come vetro.

Poi, lentamente, al centro apparve una macchia di luce azzurra che si allargò, fino a toccare i bordi del recipiente.

Il bagliore uscì dall’acqua, sospeso nell’aria come fumo luminoso, e si distese fino a formare un piccolo arco, alto poco più di un metro.

Sam lo fissò, indecisa.

Prima che potesse muoversi, qualcosa spinse dall’altra parte.

Una mano.

Non era umana. Troppo lunga, con dita sottili e articolazioni dove non avrebbero dovuto esserci.

La pelle — se era pelle — aveva lo stesso colore del bagliore, e al tatto sembrava liquida e solida allo stesso tempo.

La mano tastò l’aria, trovò il pavimento, e fece forza.

Un volto seguì: privo di bocca, con due occhi neri lucidi, perfettamente fermi.

Sam non si mosse. Non poteva.

La creatura uscì completamente, eretta, alta quanto lei.

Non disse una parola.

Si voltò verso il riflesso della finestra… e sorrise.

Non a Sam.

A qualcosa dietro di lei.

Sam si voltò di scatto.

La stanza dietro di lei era vuota… ma non proprio.

C’era una distorsione nell’aria, come il calore che sale dall’asfalto in estate, solo più fredda, più densa.

E da quella distorsione, lentamente, emerse una sagoma.

Era lei.

O meglio, qualcosa con le sue sembianze.

Stessa altezza, stessi vestiti, stesso volto — ma gli occhi… erano completamente azzurri, pulsanti al ritmo dello Stargate.

La creatura appena uscita dall’arco si inchinò leggermente verso il doppio di Sam, come se riconoscesse un superiore.

Il doppio sorrise — un sorriso teso, innaturale — e si voltò verso Sam originale.

— Ti abbiamo seguito da quando hai attraversato — disse, con la sua stessa voce, ma priva di emozione. — Non eri mai tornata sola.

Le parole gli gelarono il sangue.

Ricordò le ombre nei riflessi, il senso costante di essere osservata.

Non era paranoia: era presenza.

Il doppio fece un passo avanti, e Sam fece un passo indietro… verso l’arco.

Il bagliore azzurro avvolse le sue spalle, caldo e pulsante.

— È ora che tu decida — disse la creatura senza bocca, parlando nella sua mente. — Quale di voi due resta, e quale attraversa.

Il battito nel petto di Sam accelerò, ma non era solo il suo.

Lo sentiva anche nel doppio, come due tamburi che suonano lo stesso ritmo da lati opposti di un muro sottile.

La creatura senza bocca si mosse di lato, lasciando l’arco completamente libero.

Il bagliore azzurro si fece più intenso, pulsando come se attendesse… un’offerta.

— Solo uno di voi appartiene a questo lato — disse la voce nella sua testa. — L’altro deve tornare.

Sam fissò il suo doppio.

Era identico, ma privo di tutte le piccole imperfezioni che lo rendevano “umano”: nessuna cicatrice sulla mano, nessun lieve tremore nella palpebra quando era stanca, nessuna esitazione nello sguardo.

Perfetto. Troppo perfetto.

Capì allora che, se il doppio fosse rimasto, avrebbe potuto vivere la sua vita senza che nessuno si accorgesse della differenza.

E che lei, l’originale, sarebbe stata dimenticata nel momento stesso in cui avesse attraversato di nuovo.

Fece un passo verso l’arco.

Il doppio non mosse un muscolo, ma il sorriso si allargò.

E fu proprio quel sorriso a farlo fermare.

Inspirò profondamente, poi scattò in avanti… non verso l’arco, ma verso il doppio.

Lo afferrò per le spalle e, con tutta la forza che aveva, lo spinse nel bagliore.

Un urlo — o qualcosa di simile — riempì la stanza, non dalla bocca del doppio, ma dall’intero arco, come se la struttura stessa protestasse.

Poi la luce si richiuse di colpo, lasciando Sam sola, ansimante, nel silenzio.

Per un istante credette di aver vinto.

Poi vide, riflesso nella finestra, i suoi stessi occhi diventare di un azzurro innaturale.

Sam rimase immobile davanti al riflesso.

L’azzurro negli occhi pulsava debolmente, come un residuo di luce intrappolata sotto la pelle.

Provò a distogliere lo sguardo, ma non ci riuscì: era come se il riflesso fosse più solido di lei, più reale.

Un suono basso, profondo, iniziò a vibrare nell’aria.

Non proveniva dall’esterno, ma dal suo cranio.

Un battito.

Tre secondi… colpo.

Tre secondi… colpo.

Colpo acuto.

Si portò le mani alle orecchie, ma il ritmo non diminuì.

Anzi, cominciò a scandire pensieri che non erano suoi: immagini di porte ovunque — specchi, finestre, pozzanghere, superfici lucide — e di figure che si muovevano dietro quei veli sottili.

Pronte.

Capì allora che il doppio non era stato “espulso”.

Era stato assorbito.

E con lui, anche la connessione.

Ora, Sam non aveva più bisogno dello Stargate fisico: lo era.

Poteva aprire passaggi ovunque… e sentiva che qualcuno, dall’altra parte, aspettava soltanto che lei decidesse.

Il pensiero finale che la attraversò quella notte non era paura, ma una certezza gelida:

prima o poi, avrebbe aperto una di quelle porte.

Non per scappare.

Per far passare ciò che aspettava.

Tre mesi dopo, nessuno avrebbe riconosciuto Sam come “quella scomparsa per qualche giorno”.

Lavorava, sorrideva ai vicini, beveva il suo caffè al solito bar.

Ma ogni riflesso — una vetrina, il vetro di una tazza, persino gli occhi di un passante — gli restituiva una promessa silenziosa: quando vuoi.

Quel giorno, la piazza principale era piena per il mercato settimanale.

Bancarelle, bambini che correvano, anziani che contrattavano, un brusio continuo.

Sam camminava tra la folla con un’aria distratta, una borsa di tela appesa alla spalla.

Dentro, niente di speciale: un piccolo specchio rotondo, grande quanto un piatto.

Si fermò accanto alla fontana al centro della piazza.

L’acqua scintillava sotto il sole, e per un istante vide il riflesso di un corridoio nero che non era lì.

Appoggiò lo specchio sul bordo della vasca e si inginocchiò, come per controllare qualcosa.

Ma non guardava lo specchio. Guardava attraverso.

Tre secondi… colpo.

Tre secondi… colpo.

Colpo acuto.

La superficie si increspò, e una lama di luce azzurra tagliò l’aria.

Nessuno sembrò notare subito.

Poi, il primo bambino indicò lo specchio e rise… finché una mano, lunga e sottile, non uscì oltre il bordo.

La risata si spense.

La mano fu seguita da una spalla, poi da un volto senza bocca.

E dietro, altre sagome si muovevano, pronte a passare.

Sam si alzò, lo sguardo fisso sulla folla che ancora non capiva.

E sorrise.

La prima creatura mise piede nella piazza come se stesse semplicemente scendendo da un gradino.

Alta, slanciata, con movimenti fluidi, ruotò lentamente la testa a destra e a sinistra, osservando la folla.

Poi si voltò verso lo specchio e fece un cenno quasi impercettibile.

Altre tre la seguirono.

Ognuna diversa nelle proporzioni — alcune più sottili, altre massicce — ma tutte con lo stesso volto privo di bocca e gli occhi neri profondi, che assorbivano la luce.

Dietro, nel riflesso, il corridoio nero ribolliva di movimento.

All’inizio, la gente reagì come davanti a un’installazione artistica bizzarra: telefoni alzati, risatine nervose.

Ma quando la quinta figura uscì e si mosse troppo velocemente, attraversando la piazza in pochi secondi e comparendo alle spalle di un venditore di frutta, il panico si accese.

Urla, casse di legno rovesciate, il rumore sordo di corpi che si urtavano nella fuga.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Cristina Milella
Sono nata a Milano il 7 gennaio 1976, da sempre affascinata dai misteri dell'universo, ho coltivato una profonda passione per l'ufologia e per lo studio delle dimensioni parallele. Con la scrittura esploro i confini tra realtà e immaginazione, invitando il lettore a guardare oltre ciò che è visibile.
Ho scritto queste pagine immaginando un portale sospeso tra le stelle, un varco silenzioso che attende solo il coraggio di essere attraversato.
Leggendo, non sarai un semplice spettatore: diventerai il viaggiatore, il testimone di ciò che c’è al di là.
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