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Ieri pomeriggio, che era domenica, uscita dalla Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Battista di Budoni, dove il canto finale “Mama e su nie” innamora me e tutti, che infatti restano anche quando il sacerdote, tolti i paramenti, rientra in chiesa, in borghese, a far due parole con chi sa lui, eccomi insieme a […]

Ieri pomeriggio, che era domenica, uscita dalla Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Battista di Budoni, dove il canto finale “Mama e su nie” innamora me e tutti, che infatti restano anche quando il sacerdote, tolti i paramenti, rientra in chiesa, in borghese, a far due parole con chi sa lui, eccomi insieme a mio marito a mangiar la pizza nel ristorantino che guarda in faccia farmacia, macelleria e pasticceria budonesi e dove le focacce han nomi curiosi: Agrustos, Nuditta, San Gavino. Ess, i nomi, sono tutti luoghi dei dintorni. Nuditta, mi chiama, guando guido sul rettifilo all’incgresso del paese, leggo Nuditta e penso a Giuditta che era il bambolotto di Livia. Bella non era, con pochi capelli, ma era di Livia e mia madre lo salvò dalla spazzatura il giorno in cui una mano ignota l’aveva ficcata in un cestino e addio. Dormì per un tempo, Giuditta, con le mie bambole e poi un giorno fu restituita alla sua proprietaria che ancora la conserva. Credo. Nuditta, Giuditta, bambole del cuore.
Nel pomeriggio, in spiaggia incontro uno degli Emme, ma lo riconosco sì e no tutto pieno di barba come è ed è con il suo figliolino nascosto il viso da una maschera di Dcathlon. E lui, avvicinandosi, cauto, guardandomi negli occhi, nonostante i miei occhiali da sole, dice: “Beatricce?”. “Benedetta”, rispondo e così, per magia, ritorniamo vive “labeaelabetta, due in una, stessi capelli e schiene abbronzate, due Giuditte per una.

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