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«Sono certo che mi giudicherai un vecchio malinconico e borbottone. Forse col passare degli anni anche tu sperimenterai quanto è duro avere a che fare col tempo che non c’è più. È come avere avuto in mano una pietra bellissima, la più bella che hai mai visto e un giorno scoprire che qualcuno te l’ha […]

«Sono certo che mi giudicherai un vecchio malinconico e borbottone. Forse col passare degli anni anche tu sperimenterai quanto è duro avere a che fare col tempo che non c’è più. È come avere avuto in mano una pietra bellissima, la più bella che hai mai visto e un giorno scoprire che qualcuno te l’ha fatta ingoiare. È lì che ti gira nella pancia, la senti, è con te, ma non potrai più vederla».


È Giorgio a parlare così. In una delle prime occasioni in cui è insieme con Paolo.


Credo che Giorgio rappresenti la mia parte ombrosa, quella che osserva la vita con una patina di disillusione sugli occhi.


Giorgio è un personaggio che non si è mai allontanato dalla sua casa colonica. Ma non è un pavido, tutt’altro. È determinato e sa il fatto suo, ma paradossalmente è più fragile degli altri. È come se non avesse mai voluto abbandonare il contatto col dolore del suo vissuto pensando di sanare così le sue ferite, senza accorgersi invece di perpetuarle.


Quanto siamo bravi noi, uomini e donne, a non darci il permesso di curare sul serio le nostre ferite preferendo invece infilarci il coltello perché non smettano di sanguinare.


È liberatorio scrivere di un personaggio che incarna un pezzo della tua parte più oscura. Ti consente di vederlo dall’esterno e di riconoscere che ha bisogno di essere amato e non è così pericoloso come sembra da dentro.

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