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La bussola del Dubbio Nell’àmbito di quella bizzarra materia scolastica denominata “italiano” (che ho avuto la ventura d’insegnare) si affronta a un certo punto lo studio delle cosiddette “tipologie testuali”: il testo espositivo, il testo regolativo, quello narrativo, quello poetico e via dicendo. Alla fine si arriva a parlare della tipologia più ostica: il testo […]

La bussola del Dubbio

Nell’àmbito di quella bizzarra materia scolastica denominata “italiano” (che ho avuto la ventura d’insegnare) si affronta a un certo punto lo studio delle cosiddette “tipologie testuali”: il testo espositivo, il testo regolativo, quello narrativo, quello poetico e via dicendo. Alla fine si arriva a parlare della tipologia più ostica: il testo argomentativo. E qui cominciano i guai. I ragazzi, infatti, sono generalmente poco inclini ad apprezzare quel particolare genere di discorsi (le argomentazioni), abituati come sono a pensare in fretta, a riflettere poco, a saltabeccare da uno scritto breve all’altro, “cliccando” spasmodicamente su questa o quella icona. Il fatto è che per argomentare non basta avere più o meno un’opinione: bisogna che l’opinione sia una tesi sostenuta da opportuni argomenti o prove, bisogna sapere confutare l’antitesi… Insomma, sono grattacapi.
Comunque, per rendere più digeribile l’argomento agli studenti, faccio un passo indietro e retrocedo dal discorso argomentativo al ragionamento argomentativo, cercando di convincerli che in realtà la nostra intera esistenza quotidiana è costellata di questo genere di ragionamenti. Sì, perché l’altro tipo di ragionamenti, i ragionamenti-ragionamenti, quelli con la erre maiuscola, cioè i ragionamenti dimostrativi, sono rari: s’incontrano solamente nelle scienze esatte, nella geometria, nella matematica, nella fisica e simili. In questi àmbiti si parte da premesse certe, chiare, solide e indiscutibili, e poi si procede secondo un preciso sviluppo logico (o anche sviluppi logici alternativi) per arrivare alla fine nel bel mezzo di conclusioni parimenti certe, inoppugnabili, definitive.
Nella vita di tutti i giorni, invece, e cioè nella maggior parte dei nostri casi piccoli e grandi, le cose non vanno in questo modo: le premesse da cui partiamo, nei nostri ragionamenti, sono per lo più incerte: magari sono probabili e verosimili, ma non proprio sicure. Un esempio? Eccolo. Esco di casa e mi accingo ad attraversare la strada. Allora faccio (sia pure in maniera automatica e quasi istantanea) un ragionamento argomentativo: guardo a destra e a sinistra, valuto la distanza e la velocità di eventuali veicoli che sopraggiungono, considero l’ampiezza della carreggiata, verifico se ci sono pozzanghere da “guadare”, rifletto sulle mie attuali capacità di deambulazione e alla fine decido: sì, ce la posso fare: attraverso la strada. Ecco, ho condotto un micro-ragionamento argomentativo. E questo vale per qualunque decisione, piccola o grande, della mia vita o per qualunque interpretazione che io voglia dare di avvenimenti passati, di comportamenti dei miei simili e così via.
Sennonché, in questo mio operare logico c’è un limite, e riguarda l’incertezza delle premesse. Chi mi dice che l’autista del veicolo suddetto, contrariamente alle mie aspettative, non si lanci poi come un missile alla mia volta, perché ha deciso di colpo che ha fretta? Chi mi garantisce che lo stesso automobilista non si metta magari a leggere sul cellulare un “messaggino” che lo ha appena raggiunto e, senza avvedersene, si sposti nella corsia opposta alla sua, proprio mentre io sono ad un passo dal guadagnare l’altra “riva” della strada? Oppure, chi mi assicura che io non prenderò un’inopinata (appunto) storta, nel bel mezzo della mia traversata? Come faccio ad essere certo che le cose andranno proprio come avevo previsto, che l’auto non m’investa?
Non posso esserne certo perché è proprio dei ragionamenti argomentativi partire da premesse incerte: stime, valutazioni, opinioni, pareri autorevoli o, peggio, dicerie infondate, esperienze di altri, falsità che scambio per verità e via di questo passo. Ciò nonostante, se ho scelto per bene le mie valutazioni iniziali e il mio ragionamento è conseguente, non è probabile che mi accada qualcosa di brutto, che io venga investito dall’auto anzidetta. Però è possibile. Bisogna saperlo.
Per fortuna, nella faretra del nostro cervello abbiamo anche un’altra prodigiosa freccia, che risponde al nome di “intuizione”. L’intuizione è una straordinaria facoltà della mente che, a nostra insaputa, lavora e giunge “da sola” a determinate conclusioni: una mattina ci svegliamo (è capitato a tutti, qualche volta) e ci accorgiamo d’emblée d’aver compreso ciò che ci era a lungo sfuggito: di colpo sappiamo (e senza sapere il perché ed il percome) che le cose stanno in un certo modo. Ecco perché quel tale si è comportato in quella maniera! Finalmente l’ho capito, anche se non so come. Ecco qual è la decisione giusta che devo prendere! D’improvviso lo sento, ne sono certo, ma non so come mai. Abbiamo fatto un “ragionamento inconsapevole”. Il fatto è che del nostro cervello utilizziamo coscientemente una parte tanto piccola (così pare) che è, secondo la famosa metafora psicanalitica, solo la punta di un iceberg.
Purtroppo, però, c’è un inconveniente anche in questo “ragionamento inconsapevole”: la benedetta intuizione (di cui si vocifera siano dotate le donne in grado sommo) a volte fa cilecca, c’induce in conclusioni erronee: sentimenti, paure, invidie, desideri, fantasie, fobie e quant’altro s’intromettono nel nostro “pensiero automatico”, lo “inquinano”, ci fanno prendere fischi per fiaschi. Così ci capita di convincerci che quel tale individuo è una perfetta carogna o un cretino preciso, ne siamo convinti senza prove. Poi invece si dimostra che è una persona specchiata o un individuo molto intelligente. L’intuizione era “farlocca”.
Morale della favola? Nell’interpretare i fatti (e le persone) della vita, e nel compiere le nostre scelte, non possiamo avere certezze assolute. Possiamo solo aggirarci cautamente nell’universo delle probabilità e delle evenienze verosimili. Nella vita pratica, tuttavia, i nostri ragionamenti (consci o inconsci) non sono certo inutili, tutt’altro. Ma dobbiamo pur sempre prenderli con le molle, con prudente beneficio d’inventario. E bandire la sciocca arroganza che c’induce a dire: le cose sono andate sicuramente in questo modo, oppure: certamente accadrà quella tale cosa.

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