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In occasione del traguardo delle cento copie vendute, continuo a raccontarvi di persone che hanno ispirato alcuni dei personaggi de Il tempo dei rimedi. Piero era il figlio di Comunardo. Forse era il 2004, ero un volontario di Emergency. All’epoca Maya Marchioni lavorava per Emergency, nella sede di Roma. Un giorno mi ha chiamato per […]

In occasione del traguardo delle cento copie vendute, continuo a raccontarvi di persone che hanno ispirato alcuni dei personaggi de Il tempo dei rimedi. Piero era il figlio di Comunardo. Forse era il 2004, ero un volontario di Emergency. All’epoca Maya Marchioni lavorava per Emergency, nella sede di Roma. Un giorno mi ha chiamato per raccontarmi di un uomo dei Castelli Romani, disabile a causa di una rara malattia, l’atassia cerebellare, molto legato ad Emergency, mi lasció il suo numero chiedendomi di andarlo a conoscere. Andai a casa sua un pomeriggio, qualche giorno dopo. Conobbi il figlio di Comunardo, era poco più giovane dei miei genitori ma, consapevolmente, se li portava piuttosto bene. La sua malattia era tremenda, progressiva, limitava i movimenti, riduceva la vista. Piero invece era forte, entusiasta della vita, curioso, generoso, mai domo. Negli anni la nostra amicizia diventò un legame davvero speciale, passavo spesso a trovarlo, mi raccontava del suo passato e del suo presente, dei suoi ideali, la nostra relazione non aveva veli, le nostre parole mai filtrate. È stato un amico meraviglioso nei giorni tristi ed in quelli felici. Sempre in grado di regalare un sorriso. Ogni tanto, nonostante le sue condizioni fisiche peggiorassero di anno in anno, riuscivamo a scappare, addirittura a fare dei viaggi insieme, andammo ad Aversa a trovare un suo amico, nelle campagne pisane da una sua cugina. Indossava sempre gli occhiali da sole, mi diceva che gli servivano per sfruttare meglio quel poco di vista che gli rimaneva, la luce gli dava fastidio, in realtà penso che, a ragione, si sentisse un figo e che gli occhiali da sole accentuassero il suo irresistibile fascino. Parlava della sua malattia sorridendo, con un’accettazione che faceva quasi spavento, raramente era rabbioso per la sua condizione, in fondo sapeva benissimo che arrabbiarsi non sarebbe servito a nulla se non a star peggio, meglio poter vivere, felici, quel che si ha. Una cosa invece lo faceva arrabbiare, non sopportava le barriere, architettoniche e non solo. Piero era un grandissimo ascoltatore di radio e comunicava con le redazioni dei vari programmi tramite telefono. Con l’avvento degli SMS e delle email molte trasmissioni hanno smesso di utilizzare le segreterie telefoniche e questa cosa non gli andava giù. Era sempre alla ricerca di qualcuno che lo accompagnasse sotto la sede di radio2 a protestare. Una volta andammo insieme, con tanto di cartelloni con slogan vari. Aveva uno spiccatissimo umorismo, di quei tipi che la battuta non la capisci subito ma quando la cogli ne apprezzi la genialità e la genuinità. Era anche un grandissimo conoscitore di detti e proverbi, direi che il più rappresentativo era “più semo e più belli paremo”. Quando decisi di sposarmi non ebbi molti dubbi, era stato testimone, forse più di tutti, del mio amore per Agnese. Piero era emozionato come un bambino mentre firmava il certificato di nozze. La malattia andò avanti. Quando morì io vivevo già a Londra, la fortuna ha voluto che sia successo in una delle rare settimane che passavo in Italia, sono riuscito ad andare al suo funerale per l’ultimo saluto ad un vero, grande amico. Piero mi ha insegnato che la sofferenza non é una giustificazione per l’egoismo, credo sia un concetto grande, rivoluzionario. Il tempo dei rimedi esiste anche grazie a lui.

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