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Un amico Stefano Pioli, accanito lettore ha scritto: Libro terribilmente nutriente, fluido e facilmente assimilabile, ed io l’ho appena finito di sorseggiare, centellinandolo, come si fa con un vin brulè, che dà l’idea del romanzo: una bevanda saporita, fumante, aromatica, speziata. Oltre alla cannella e ai chiodi di garofano, l’autore vi ha aggiunto una scorza […]

Un amico Stefano Pioli, accanito lettore ha scritto:
Libro terribilmente nutriente, fluido e facilmente assimilabile, ed io l’ho appena finito di sorseggiare, centellinandolo, come si fa con un vin brulè, che dà l’idea del romanzo: una bevanda saporita, fumante, aromatica, speziata. Oltre alla cannella e ai chiodi di garofano, l’autore vi ha aggiunto una scorza di limone, per rendere acre quel sapore che poteva sembrare un po’ mielato, ma soprattutto per alleviare la maleodoranza degli eventi narrati. La grazia e la dolcezza sono gli ingredienti del romanzo, ma anche una grave tossicità che emana da ogni pagina, come dalla terra violentata di Ferroponte. La scorza d’agrume rappresenta il tentativo di rendere fruibile un racconto veritiero di eventi tragici e imperdonabili.

La verità? “L’uomo chiama verità ciò che qualcuno ha deciso di chiamare così. Le verità sono illusioni. Tienitelo bene in mente!” – così garantisce alzando la voce ad hoc don Salvatore, l’astuto Boss cittadino. Questa è la sua Verità, di quelle che non ammettono repliche.
E purtroppo isso tene ragione! Solo una Fede può garantirla, st’ambigua ancella del Potere… la Fede del Boss, per esempio, che ha un unico pregio: si sa da dove viene e si può contrastarla o assecondarla… ognuno scelga per sé.
La terza possibilità, che è quella più frequente, è fare finta di niente. Che significa farsi i fatti propri.
Aniello Milo ha scelto di raccontarli, i fatti altrui. Questa è la sua Verità. E non ha bisogno di falsità, di accordi sottesi, di avvocati delle cause ingiuste. A lui bastano i ricordi e quella che si chiama mitopoiesi, che è la capacità di interpretare la vita mitizzandone alcuni aspetti e alcune figure che l’hanno rappresentata. Questa è la Finzione di cui parlava Borges. È la Scrittura. Punto.
Un passo significativo del libro: “Le parole sono creature viventi, sono capaci di farci immedesimare nelle emozioni che suscitano e di farci rivivere. Al pari dell’acqua che prima d’emergere e farsi fonte non rivela per quali vie sotterranee…” E le lacrime, scrive il Poeta, anch’esse sono parole, che meglio esprimono le emozioni e comunicano “l’indicibile”.
Nel romanzo si parla di commistione fra l’uomo di malaffare e il politico: una volta era il camorrista a chiedere, ora è l’uomo pubblico a offrirsi, per avere in cambio quello che lo sostiene: il consenso che gli consegna il Potere! È uno scambio illecito, che legittima ogni abuso. Siamo in un paese, e non bisognerebbe mai cessare di pensarlo, in cui tutti i Poteri alla fine si accordano fra di loro. Quello che succede nel paese di Ferroponte non è che la pellicola in negativo di quello che si chiama Stato, e la sua democraticamente istituzionalizzata, e sapientemente truccata, fotografia.
“…la politica non è solo un’arte ma è una sfida mortale quotidiana, la cui posta in gioco è il potere.”
Ferroponte è anche l’immagine immonda di un paese che utilizza la bellezza per nascondere la monnezza, perché Qualcuno che Può ci lucri, a dispetto della salute e della felicità della gente.
Sembra che non ci sia una via di mezza fra l’onestà assoluta e la mendacità. Come, forse, non ce n’è fra l’atto sessuale mirato a ingravidare e la prostituzione. Non può esserci una semplice e consapevole libido? No, questa è roba da signori! Da gente che può! Da padroni!
Un’arma utilizzata da chi ha la coscienza sporca è quella che insudicia l’altrui: la calunnia, la più perversa delle arti. Che pure lo diventa, arte, quando ri-crea la realtà. Ma è un’arte sozza, che merita soltanto disprezzo.
In questo mondo incivile, la saggezza può venire anche dalla parte più colpevole, quella del Boss, che tutto inquina. In un paese siffatto, solo chi ha il Potere pare avere il diritto di pensare, di giudicare, di usare la ratio, di scegliere.
Purtroppo il disastro pare inevitabile: “Una società totalmente libera, forse, non è mai esistita a memoria d’uomo, anzi, c’è la certezza contraria: che la società non possa esistere senza costrizione.”
Dobbiamo tuttavia abituarci a una vita, solo apparentemente, tranquilla, ogni tanto disturbata da un rumore improvviso, da uno sparo che, finché non tocca a me, è uno dei tanti eventi preventivabili, accettabili, direi quasi naturali. Questa è la nostra amata società e c’è chi osa ancora chiamarla civiltà.
“Tutti sono d’accordo sulla lotta alla mafia ma pochi alla guerra contro la mafia.” – a volte pare che si colpisca il malaffare con la perizia dell’addetto alla potatura di un albero, che deve tagliare i rami ormai secchi, per agevolare la floridezza dei frutti del Potere.
Il romanzo corale di Aniello Milo termina con un’immagine fatalistica. Il vento stormisce senza più presupporre una Storia dell’Uomo, priva sia di un ieri che di un domani.
La morale che se ne trae mi rimanda alla memoria di un grande romanzo, “Il Gattopardo”. Solo il Potere sa come scrivere la Storia. Di fatto è lui l’Eterno, il Maledetto Scrittore.

Stefano Pioli.

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