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Cento e una notte

La cornice c’è, e cioè l’attesa di veder se il mio piccolo naviglio, chissà davvero, arriverà al suo porto finale il Duecento”, e per ora ha attraccato in 44 porti, e così’ per ingannar l’attesa e dare un poco di remi al vento in poppa che piano piano lo sospinge, eccomi trasformata a beneficio di […]

La cornice c’è, e cioè l’attesa di veder se il mio piccolo naviglio, chissà davvero, arriverà al suo porto finale il Duecento”, e per ora ha attraccato in 44 porti, e così’ per ingannar l’attesa e dare un poco di remi al vento in poppa che piano piano lo sospinge, eccomi trasformata a beneficio di quanti lo vorranno in piccola Sherazade e posterò qui, negli aggiornamenti, una volta a settimana (o più se lo vorrete) certe piccole storie che spargono zucchero sul giorno e fanno incominciar le mattine con un sorriso. Va bene, va bene, bando alle ciance e andiamo a incominciare.
La prima storia tragicomica si intitola: Una scimmietta al Colosseo
Mio suocero, cresciuto a pane, simpatia e nordest (tra Bergamo e Padova) si ritrovò a vivere, bambino, a Roma, dalle parti di Via in Selci, e andava alle elementari alla Vittorino da Feltre che svetta, piemontese, austera a mo’ di corazziere sul terrapieno di bianco marmo che par guadare dall’alto in basso via degli Annibaldi e sfidare il cielo e il Colosseo. Viveva a Roma, dicevo, insieme alla famiglia, quasi tutta al femminile…
Di quei giorni romani mio suocero, l’Aldo, conservava un affetto nebbioso, che si perdeva nel mito della lontananza che fa della storia leggenda. Era, la Roma sua, come uscita dalla grotta di Aladino, apparecchiata nel mistero dell’apriti sesamo. Per esempio, in casa sua, dovunque fosse ché non l’ho mai capito fino in fondo, oltre alle tante sorelle, saltellava, mi diceva, per le ampie stanze e i corridoi una scimmietta che, un brutto giorno, morì e fu sepolta in qualche giardino romano da loro in corteo solenne. Io, quella scimmietta, di cui lui parlava tornando bambino, la vedevo, giuro, viva e vera e vestita di rosa, non so dir perché, in cima a un armadio come su una torre. Ma vera, non so.
La ritrovai, la scimmietta dell’Aldo, qualche tempo fa, quando andai a visitare il Museo casa di Mario Praz e la guida, una signora di una certa eleganza siciliana, indicando fuori da una finestra, aperta su un canto dove Praz, ci disse, era solito consumare i pasti, disse: “Quella è la Torre della Scimmia” e ci raccontò un certo episodio che legava di nuovo Roma a una scimmietta. Fu allora che anche quella dell’Aldo tornò viva, d’argento, nel ricordo, e da lassù, secondo me, lassù dove siam tutti uguali e verità e leggenda si tengono per mano, l’Aldo sorrideva…

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