A ventinove anni Rino Rivetti ha già vissuto almeno quattro vite. Tutte – confida – con lo stesso nemico da combattere: la noia. La prima, fino alla maturità conseguita presso il liceo linguistico Manzoni di Caserta, come normale studente. La seconda, da attore, perché a calcare le scene è stato portato quasi naturalmente dal fatto che il suo compleanno cade a febbraio, nel periodo di Carnevale, e, quindi, di anno in anno, di festa in festa, mascherandosi sempre da qualcun altro, ci ha preso gusto. La terza vita, invece, è cominciata a 23 anni, e lo ha portato a essere un novizio francescano in un convento vicino Ascoli Piceno, nelle Marche. La quarta, infine, è quella di scrittore in erba. Uno scrittore di genere fantasy, per la precisione. Perché se Rino ha vissuto materialmente quattro vite, nella sua immaginazione chissà a che numero è arrivato.
«Combatto la noia da sempre»
«Effettivamente non saprei dirlo. Ma, fin da piccolo, se mio padre Giovanni lo ha fatto con le bici, la sua grande passione, io ho viaggiato molto con la mente. E la scrittura è proprio il principale antidoto che ho trovato a ciò che nella vita mi ha fatto sempre più paura: annoiarmi». Fatto sta che, dopo aver fatto leggere il suo manoscritto a varie case editrici, finalmente, Rino ne ha trovata una – Bookabook – pronta a scommettere sul suo lavoro. A patto, però, che, in cento giorni, su Internet, ci siano almeno duecento prenotazioni di quello che dovrebbe essere solo il primo libro, «Signori delle parole», di una saga intitolata «Thebèth». Per qualche mese, con la sfida di questa sorta di crowdfunding in atto, la noia sarà solo un brutto ricordo: «Da bambino anche i giocattoli mi annoiavano a morte: anche se non mi è mai mancato nulla, ho sempre preferito rifugiarmi nella mia fantasia per stare bene. E pensare che mia sorella Rosy è il contrario di me: è sempre stata molto rigorosa e pragmatica, tant’è che oggi è una poliziotta. Ma chi, come lei, mi conosce, considera naturale il mio approdo al fantasy. Oltre al fatto che quello che adesso posso promettere ai miei lettori è proprio questo: che avranno un mondo senza noia con cosmogonie ricche, leggi magiche intricate e personaggi vividi, ognuno dei quali, in realtà, rappresenta una parte di me».
«I frati hanno pianto».
Inutile ricercare su un vocabolario il significato della parola «Thebèth»: in realtà, significa «prudenza». Ma in una lingua che ha inventato Rino: l’alabèith. In ogni caso: dopo la prima settimana, sono già oltre 130 le persone che ne hanno prenotato una copia. Ma come è nata questa corsa verso la pubblicazione? “Durante la mia esperienza in convento – risponde Rino – Ho cominciato a scrivere “Signori delle parole” quando ero nel pieno del mio cammino verso la Professione solenne, come si definisce il percorso religioso che doveva culminare prendendo i voti e diventando un frate. Sono stato invogliato a far pubblicare il mio libro da coloro i quali per quattro anni e nove mesi sono stati i miei confratelli. Sono stati loro i miei primi lettori. Eravamo in diciassette in convento, tutti abbastanza giovani. E quando sono arrivati all’ultima pagina del mio romanzo si sono emozionati tutti, qualcuno fino alle lacrime».
In convento si occupava dell’orto.
Per Rino, che in convento si occupava di giardinaggio, di coltivare un orto (la botanica è un’altra sua grande passione), di allevare gli animali da stalla in dote ai frati e di produrre un formaggio, quello è stato uno dei momenti più belli. Anche se è stato il momento che lo ha spinto a interrompere il cammino religioso e a scegliere di seguire un’altra vocazione: quella artistica. Così, ha lasciato il monastero ascolano e da due anni si è trasferito a Napoli. «Dalla placida quotidianità del convento, sono passato alla frenesia di un quartiere come Forcella dove, tra un lavoretto e l’altro, ho ripreso anche la mia attività di attore. Un’arte che ho avuto modo di studiare prima a Caserta nell’ ‘Officina teatro’ di Michele Pagano e Maria Macri e poi qui a Napoli presso la “Scuola elementare del teatro” di Davide Iodice. L’impatto, lo confesso, si è fatto sentire. Ma, ora, per vivere bene, ciò che sogno è di diventare uno scrittore: dai miei confratelli ho imparato a coltivare la gioia che merita la vita, sempre: altro che noia! E questa lezione l’ho imparata soprattutto con l’esempio della creatività che loro continuano a mettere nella fede, ma che io, invece, ora voglio condividere attraverso la scrittura».