Una leggera brezza marina, che iniziava a dissipare l’umidità della notte, portava con sé l’odore salmastro del mare, un profumo che si mescolava ai resti del giorno precedente.
La città, avvolta in un manto di quiete e attesa, sembrava prepararsi a un nuovo risveglio, mentre il sole cominciava a fare capolino all’orizzonte, promettendo un altro giorno di vita e di storie.
Per le strade deserte, i camioncini degli operatori ecologici – guai a chiamarli netturbini, termine che avrebbero considerato offensivo – si muovevano con passo silenzioso e metodico. Le loro ruote stridevano leggermente sull’asfalto ancora umido della notte, mentre i veicoli si avvicendavano senza fretta nel compito di restituire ordine al caos della sera precedente.
Nessuno poteva udire i loro commenti sommessi, talvolta accompagnati da imprecazioni soffocate, come una sorta di rituale silenzioso che accompagnava la raccolta delle “schifezze” abbandonate.
Nel silenzio urbano, interrotto solo dal fruscio dei sacchi della spazzatura e dal rumore dei carrelli, la città sembrava respirare un’aria di tregua.
Gli abitanti, stanchi e assonnati, riposavano ancora dietro le persiane chiuse, ignari del lavoro invisibile che restituiva pulizia e ordine al loro ambiente.
La luce tenue dell’alba, che iniziava a filtrare tra le tapparelle delle finestre, prometteva un nuovo giorno, mentre i rumori sommessi degli operatori ecologici si mescolavano al fruscio del vento che accarezzava le strade.
A un tratto delle urla sembrano staccare il silenzio della mattina: «Aiuto, lasciami stare, cosa vuoi da me?» intima una giovane voce femminile. «Non toccare mia sorella!» continua con insistenza mista a paura.
Una voce maschile roca, profonda e dall’accento campano risponde perentoria: «Zitta, ragazzina, e non fare storie, sali in auto».
Improvvisamente, una mano ruvida le afferrò il braccio, tirandola con forza.
Arianna urlò, cercando di divincolarsi. Il rapitore, un uomo giovane con una cicatrice sulla guancia destra, la stringeva con una presa d’acciaio. «Dove pensi di andare?» ringhiò, tirandola verso di sé.
Arianna, con un ultimo sforzo di determinazione, girò il corpo e gli sferrò un calcio al ginocchio. L’uomo grugnì di dolore, ma non allentò la presa. «Piccola stronza» sibilò, cercando di bloccarle anche l’altro braccio.
Nonostante la paura, Arianna sapeva che non poteva arrendersi. Usando la sua agilità, si contorse e riuscì a colpire l’uomo con il gomito allo stomaco.
Il rapitore barcollò indietro, lasciando per un attimo la presa. Era l’occasione che Arianna aspettava.
Senza perdere un secondo, si girò e tentò di scappare, ma il rapitore afferrò i suoi capelli, tirandola violentemente indietro.
La ragazza gridò di dolore, il suono acuto e straziante che emerse dalle sue labbra fu una miscela di paura e determinazione. Ma quel grido, lungi dall’essere una semplice espressione di sofferenza, divenne il catalizzatore della sua reazione immediata. In un lampo, con una forza disperata, affondò le unghie nella mano del rapitore che la stringeva con una presa gelida e minacciosa. La pressione e il dolore erano tali che il rapitore non poté fare a meno di strizzare gli occhi e ritirare la mano, lasciandola libera.
La ragazza approfittò dell’opportunità offerta dal movimento improvviso e doloroso del suo attacco. Con un balzo rapido e deciso, riuscì a liberarsi dalla sua presa e a barcollare all’indietro, il cuore che le batteva furiosamente nel petto. Il suo respiro affannato riempiva l’aria, ma la sua mente era lucida come mai prima.
L’istinto di sopravvivenza le infondeva una nuova energia. Anche se guidata da un impulso improvviso, la sua azione le aveva aperto uno spazio di libertà fondamentale.
La rabbia divampava negli occhi del rapitore. «Me la pagherai per questo» minacciò, avanzando verso di lei. Arianna, sentendo l’adrenalina pompare nelle vene, afferrò un sasso dal terreno e lo lanciò contro l’uomo. Il colpo lo centrò sulla fronte, facendolo vacillare.
Dopo alcuni istanti concitati, la ragazza, con il volto tumefatto, riuscì a liberarsi a forza di morsi e calci dalla presa del malvivente, il quale preso dalla rabbia inveisce verso di lei ancora più ferocemente.
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