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Siedi con me

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Consegna prevista Settembre 2025
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Siedi con me è un viaggio nei labirinti dell’animo umano, un romanzo che intreccia il giallo e l’introspezione. Rosario, uno psicologo segnato da un passato doloroso, viene coinvolto in un’indagine dai risvolti oscuri: aiutare Arianna, una ragazza sopravvissuta a un rapimento, a ritrovare la sorella scomparsa. Al suo fianco, l’ispettore Roberto, deciso e implacabile, guida una caccia serrata in una Salerno fremente di segreti e pericoli.
Tra intrecci di crimine, fragilità umane e l’ombra di un’organizzazione spietata, Rosario lotta contro i propri demoni e riscopre il valore della sua professione e del suo coraggio. Quando tutto sembra perduto, sarà il rischio di perdere ancora a rivelargli il significato più profondo di giustizia e redenzione.
Una storia toccante e avvincente, dove la determinazione e la speranza si intrecciano in un finale che lascia il segno.

Perché ho scritto questo libro?

Siedi con me nasce dal mio desiderio di esplorare il potere della resilienza umana e la forza dei legami in circostanze estreme. Attraverso personaggi complessi e fragili, ho voluto affrontare temi come il senso di colpa, il riscatto personale ed il valore dell’empatia, facendo immergere il lettore in una trama che unisca tensione ed introspezione psicologica. Scrivere questo romanzo è stato un lungo viaggio durato quasi dieci anni per comprendere come il dolore possa trasformarsi in speranza.

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Le prime luci dell’alba tingevano il cielo sopra Salerno con un tenue arancione, iniziando a distendere il loro velo luminoso su uno dei quartieri più vivaci e affollati del centro storico.

Le strade, ancora avvolte in una calma sospesa tra la tranquillità della notte e il lento risveglio della domenica mattina, si preparavano a una nuova giornata.

I vicoli, che poche ore prima erano stati il fulcro pulsante della movida del sabato sera, giacevano ora silenziosi e deserti.

L’eco della musica e delle risate si era dissolto nel buio, lasciando spazio a un’atmosfera di quiete e riflessione.

Qua e là, i segni della notte trascorsa erano ancora visibili: qualche bicchiere rotto, mozziconi di sigarette abbandonati sul selciato, e cartacce che il vento, gentile e fresco, trasportava come spettri di una festa ormai conclusa.

Una leggera brezza marina, che iniziava a dissipare l’umidità della notte, portava con sé l’odore salmastro del mare, un profumo che si mescolava ai resti del giorno precedente.

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La città, avvolta in un manto di quiete e attesa, sembrava prepararsi a un nuovo risveglio, mentre il sole cominciava a fare capolino all’orizzonte, promettendo un altro giorno di vita e di storie.

Per le strade deserte, i camioncini degli operatori ecologici – guai a chiamarli netturbini, termine che avrebbero considerato offensivo – si muovevano con passo silenzioso e metodico. Le loro ruote stridevano leggermente sull’asfalto ancora umido della notte, mentre i veicoli si avvicendavano senza fretta nel compito di restituire ordine al caos della sera precedente.

Nessuno poteva udire i loro commenti sommessi, talvolta accompagnati da imprecazioni soffocate, come una sorta di rituale silenzioso che accompagnava la raccolta delle “schifezze” abbandonate.

Nel silenzio urbano, interrotto solo dal fruscio dei sacchi della spazzatura e dal rumore dei carrelli, la città sembrava respirare un’aria di tregua.

Gli abitanti, stanchi e assonnati, riposavano ancora dietro le persiane chiuse, ignari del lavoro invisibile che restituiva pulizia e ordine al loro ambiente.

La luce tenue dell’alba, che iniziava a filtrare tra le tapparelle delle finestre, prometteva un nuovo giorno, mentre i rumori sommessi degli operatori ecologici si mescolavano al fruscio del vento che accarezzava le strade.

Ad un tratto delle urla sembrano staccare il silenzio della mattina: “aiuto, Lasciami stare, cosa vuoi da me?”  intima una giovane voce femminile.

“Non toccare mia sorella!” Continua con insistenza mista a paura.

Una voce maschile roca, profonda e dall’accento campano risponde perentoria: “Zitta ragazzina e non fare storie, sali in auto”.

Improvvisamente, una mano ruvida le afferrò il braccio, tirandola con forza.

Arianna urlò, cercando di divincolarsi. Il rapitore, un uomo giovane e robusto con una cicatrice sulla guancia destra, la stringeva con una presa d’acciaio. “Dove pensi di andare?” ringhiò, tirandola verso di sé.

Arianna, con un ultimo sforzo di determinazione, girò il corpo e gli sferrò un calcio al ginocchio. L’uomo grugnì di dolore, ma non allentò la presa. “Piccola stronza,” sibilò, cercando di bloccarle anche l’altro braccio.

Nonostante la paura, Arianna sapeva che non poteva arrendersi. Usando la sua agilità, si contorse e riuscì a colpire l’uomo con il gomito allo stomaco.

Il rapitore barcollò indietro, lasciando per un attimo la presa. Era l’occasione che Arianna aspettava.

Senza perdere un secondo, si girò e tentò di scappare, ma il rapitore afferrò i suoi capelli, tirandola violentemente indietro.

La ragazza gridò di dolore, il suono acuto e straziante che emerse dalle sue labbra fu una miscela di paura e determinazione. Ma quel grido, lungi dall’essere una semplice espressione di sofferenza, divenne il catalizzatore della sua reazione immediata. In un lampo, con una forza disperata, affondò le unghie nella mano del rapitore che la stringeva con una presa gelida e minacciosa. La pressione e il dolore erano tali che il rapitore non poté fare a meno di strizzare gli occhi e ritirare la mano, lasciandola libera.

La ragazza approfittò dell’opportunità offerta dal movimento improvviso e doloroso del suo attacco. Con un balzo rapido e deciso, riuscì a liberarsi dalla sua presa e a barcollare all’indietro, il cuore che le batteva furiosamente nel petto. Il suo respiro affannato riempiva l’aria, ma la sua mente era lucida come mai prima.

L’istinto di sopravvivenza le infondeva una nuova energia. Anche se guidata da un impulso improvviso, la sua azione le aveva aperto uno spazio di libertà fondamentale.

La rabbia divampava negli occhi del rapitore. “Me la pagherai per questo,” minacciò, avanzando verso di lei. Arianna, sentendo l’adrenalina pompare nelle vene, afferrò un sasso dal terreno e lo lanciò contro l’uomo. Il colpo lo centrò sulla fronte, facendolo vacillare.

Dopo alcuni istanti concitati la ragazza, con il volto tumefatto, riesce a liberarsi a forza di morsi e calci dalla presa del malvivente, il quale preso dalla rabbia inveisce verso di lei ancora più ferocemente.

Libera nei movimenti ma terrorizzata, dopo aver visto la sorella rapita e rinchiusa nel portabagagli di un Range Rover nero, Arianna cominciò a correre con tutta la forza che aveva, quasi allo spasimo.

Il suo assalitore era alle calcagna, imperterrito nonostante i colpi di pistola esplosi dalla sua Beretta, che fortunatamente andavano a vuoto.

Arianna sentiva il cuore martellarle nelle tempie, ogni battito un’eco assordante che rimbombava nelle sue orecchie come un tamburo impazzito.

I suoi passi risuonavano nell’aria fresca del mattino, che era pungente e tagliente come un coltello. Non poteva permettersi di rallentare nemmeno per un attimo. Era riuscita a fuggire per un soffio dalle mani del rapitore, ma sapeva che non sarebbe stata al sicuro finché non avesse trovato un rifugio sicuro.

I pochi passanti che cominciavano a popolano la strada la osservavano con curiosità e preoccupazione, ma nessuno si fermava ad aiutarla.

Era troppo presto per chiedersi cosa stesse accadendo e troppo tardi per intervenire. Le sue grida disperate erano soffocate dal rumore del traffico e dai rumori della città che si risvegliava, e le facce indifferenti dei passanti non facevano altro che amplificare il senso di isolamento e paura di Arianna.

Ogni angolo che girava, ogni vicolo che attraversava, sembrava nascondere una nuova minaccia. La città che una volta conosceva così bene ora le appariva estranea e minacciosa. In quella corsa folle, la sua mente era un turbinio di pensieri: dove trovare aiuto, come sfuggire all’inseguitore, e cosa fare per salvare sua sorella.

La sua unica speranza era che qualcuno, da qualche parte, potesse ascoltarla e offrirle una via di scampo.

Il fiato corto e le gambe doloranti non arrestavano la determinazione di Arianna. La paura per la sorella Gaia, rimasta nelle mani dei rapitori, le dava la forza di continuare a correre.

Quando raggiunse il centro storico, la ragazza si tuffò in uno dei vicoli stretti e labirintici, nella speranza di seminare il suo inseguitore.

Si trovava all’inizio di via Porta di Mare e si diresse rapidamente verso via dei Canali, sfruttando la complessità del reticolo urbano come un vantaggio strategico.

I vicoli, angusti e sinuosi, sembravano avvolgerla in un abbraccio protettivo, e il suono dei suoi passi rimbombava contro le pareti di pietra, amplificato dalla pressione dell’adrenalina. Ogni curva e angolo del labirinto urbano rappresentava una possibile via di fuga o una trappola nascosta, e la ragazza cercava di mantenere la calma, mentre il suo cuore batteva all’impazzata, guidandola attraverso il tortuoso percorso.

I muri di pietra antica sembravano stringersi su di lei, ma offrivano anche una certa protezione, celando il pericolo visibile.

Le luci giallastre dei lampioni si facevano sempre più deboli man mano che si addentrava nei vicoli, rendendo l’oscurità ancora più opprimente.

Arianna sentiva il cuore battere all’impazzata, ogni passo una corsa contro il tempo e la paura.

Le urla soffocate di Gaia risuonavano ancora nelle sue orecchie, un tormento che avrebbe voluto dimenticare ma che la spingeva a non fermarsi.

Ogni strido e ogni gemito di disperazione sembravano guidarla, un doloroso promemoria della sua missione.

Il pensiero di Gaia, prigioniera e in pericolo, alimentava la sua corsa frenetica, mentre la città intorno a lei si trasformava in un labirinto oscuro e minaccioso.

Arianna sapeva che non poteva permettersi alcun errore. Ogni angolo, ogni curva poteva nascondere sia un rifugio che una trappola.

La sua mente era in uno stato di allerta costante, cercando di calcolare il percorso migliore per sfuggire all’inseguitore e trovare un modo per avvertire le autorità o ricevere aiuto. In quel momento, la città storica di Salerno, con la sua bellezza intramontabile, si trasformava in un campo di battaglia invisibile, dove ogni passo poteva significare la salvezza o la cattura.

Con la coda dell’occhio, all’altezza di Vicolo Adelberga, Arianna scorse un piccolo corridoio buio e, nello stesso istante, notò un camioncino della nettezza urbana che stava passando proprio in quel momento.

Era solo un attimo, ma la ragazza prese una decisione impulsiva. Senza esitare, si lanciò nel corridoio, rischiando di essere investita dal camioncino.

Il cuore le batteva forte mentre si gettava nel vicolo, il fiato sospeso e il corpo teso per l’adrenalina. Con una corsa disperata, riuscì a nascondersi dietro una pila di sacchi di rifiuti, cercando di restare il più silenziosa possibile.

La sua respirazione era affannosa, il petto sollevato e abbassato in modo irregolare mentre cercava di recuperare il respiro, il corpo tremante dalla paura e dall’esaurimento.

La presenza del camioncino, che sfrecciava a pochi passi da lei, le offrì un prezioso, seppur breve, momento di copertura.

Arianna si immobilizzò, trattenendo il respiro e sperando che il suo assalitore, distratto dal brusio del camion e dalla sua corsa affrettata, avesse temporaneamente perso il contatto visivo. Il rombo del motore e il fragore delle ruote che macinavano l’asfalto sembravano creare un velo di protezione, offrendole una chance fugace ma fondamentale per guadagnare tempo e disperdersi in mezzo ai vicoletti della città.

Ogni rumore, ogni vibrazione sembrava amplificata, e Arianna si sforzava di restare calma, consapevole che il suo rifugio improvvisato era solo temporaneo.

Il tempo sembrava dilatarsi mentre il camioncino si allontanava, lasciandola in un silenzio opprimente.

Arianna sapeva che non poteva rimanere lì a lungo; ogni istante che passava era una possibilità in meno per trovare una via di fuga sicura. Con un ultimo sguardo furtivo per accertarsi che il pericolo fosse lontano, si preparò a uscire dal suo nascondiglio e a continuare la sua corsa, sempre più decisa a mettere al sicuro sé stessa e sua sorella.

L’assalitore resosi conto di averla persa, prende il cellulare dalla tasca del giubbino, compone un numero e avvisa gli altri due compari, nel frattempo rimasti all’interno del SUV nero, di tornare indietro e rientrare alla base, in fondo hanno   in pugno l’altra ragazza e per ora i soldi di un possibile riscatto sono quasi assicurati.

In lontananza, il SUV nero si avvicinava rapidamente, fermandosi bruscamente accanto all’energumeno. L’uomo, con una velocità disordinata, salì a bordo del veicolo, che sgommò a tutta velocità verso est, dirigendosi verso la periferia della città al confine con Pontecagnano Faiano.

Sulla strada, il malvivente, con un atteggiamento distratto e nervoso, riprese il cellulare e compose un numero. Il telefono squillava senza risposta per qualche secondo, mentre l’uomo attendeva impaziente che dall’altro capo della linea rispondessero. “Pronto, Boss, qui Pantera Nera. Abbiamo una delle due ragazze con noi,” annunciò, cercando di mantenere un tono sicuro.

“E l’altra?” la voce roca dall’altra parte del telefono, con un pesante accento dialettale salernitano, esplose in un tono carico di irritazione. “Che fine ha fatto, emeriti cretini?”

“Capo, purtroppo ci è scappata da sotto le mani,” rispose l’energumeno, cercando di mascherare l’ansia, “ma non può fare nulla. Non è un problema.”

La risposta provocò un’esplosione di rabbia dalla voce al telefono. “Io le volevo entrambe!

Vi dovrei fare fuori solo per questo, dannati imbecilli e buoni a nulla. Ma mi servite ancora.”

Il capo proseguì, infuriato. “Come diavolo è possibile che quattro bestioni grandi e grossi come voi siano stati fregati da una ragazzetta? Non ci sono scuse! Tornate subito al casale e cercate di rimediare all’errore madornale che avete commesso!” Senza attendere una risposta, il capo interruppe bruscamente la telefonata, lasciando l’energumeno con il telefono in mano.

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Davide Finizio
Davide Finizio, nato a Salerno il 4 aprile 1985, è laureato in Archeologia e lavora nel settore dell’Archeologia preventiva, collaborando con diverse ditte in molti cantieri d'emergenza campani e in altre regioni italiane. Da sempre appassionato di scrittura e lettura, è stato influenzato da autori come Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, dai quali ha tratto ispirazione per sviluppare il suo stile narrativo, che unisce il fascino dell’indagine poliziesca all’introspezione psicologica dei personaggi. Siedi con me, il suo romanzo d’esordio, racconta una storia intensa e coinvolgente che esplora temi come la redenzione, il senso di colpa e il rapporto tra giustizia e umanità. Attraverso la scrittura, Davide mira a dar voce a storie complesse e a offrire una prospettiva originale nel panorama della narrativa italiana contemporanea.
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