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Giada bianca

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Una presenza silenziosa percorre la vita di chi resta. Senza clamori, il protagonista cammina in un paesaggio immobile, sospeso fra ciò che è stato e ciò che vorrebbe essere e in cui la solitudine non è un castigo, ma una porta: apre lo sguardo verso l’interno, verso l’ombra che abbiamo evitato, verso la voce che ancora non sappiamo ascoltare.

In questo viaggio lento si rincorrono passaggi, rapporti evitati, desideri inespressi, attimi scivolati via. E fra due figure vicine ma separate si nasconde un anelito: farsi trovare. Nessun evento grandioso. Nessuna verità propria di chi trionfa. Solo il peso delle piccole ferite, il ricordo, il silenzio e la possibilità di raccogliere ciò che credevamo smarrito.

Alla fine si scopre che la ricerca non era all’esterno, ma dentro, e che la distanza più grande è quella che mettiamo tra noi e noi stessi.

Capitolo 1

Bussavano da qualche secondo ma Geremia, giocherellando con un ciondolo in mano, era assorto nei suoi pensieri e fece finta di nulla. Dentro la casa di accoglienza Casa Amélie non era facile trovare un momento per stare con se stessi ed essere il braccio destro del direttore non aiutava. Un anziano si perdeva nella struttura, un giovane profugo appena arrivato in Italia non capiva le più semplici istruzioni di lavoro o un ex alcolizzato raggiungeva la cantina e non riusciva a trattenersi. Quando il direttore Georg Stamp non era disponibile, tutti si rivolgevano a Geremia. Lo consideravano una persona buona, glielo dicevano tutti i giorni. Pensò che se lo avessero conosciuto veramente avrebbero cambiato idea in fretta. Bussarono ancora e questa volta si aggiunse anche una voce. Aveva bisogno ancora di qualche secondo. Quante azioni buone bisogna compiere per recuperare quelle cattive? Geremia se lo chiese ancora, l’ennesima da otto anni, da quando anche lui era stato accolto in quella casa. Seduto sulla sedia in legno dentro la sua stanza rifletteva, in quei secondi preziosi, quanto le persone a Casa Amélie stessero aiutando più lui che viceversa. Lo aiutavano a redimersi. Forse – lui non ne era sicuro – aiutare chi aveva veramente avuto sfortuna nella vita lo avrebbe salvato da qualsiasi cosa attendeva dopo la morte le persone come lui.

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Egoista, avaro, stupido. Da qualche tempo aveva cominciato a scrivere sul lato sinistro di un foglio ciò che reputava di aver sbagliato e a fianco un’azione buona di egual misura. Poi tirava una riga su tutte e due per pareggiare i conti. Sapeva che non funzionava così ma gli sembrava comunque di stare meglio. La colonna sinistra era molto più lunga. Quarantotto anni erano tanti da redimere. Poteva recuperare, pensò, ed era a Casa Amélie per questo. Bussarono ancora, con più forza. C’era dell’altro su cui riflettere. La pietra bianca che teneva in mano davanti ai suoi occhi lo ipnotizzava. Da otto mesi si era risvegliata dal coma Anna, sua moglie. Il peccato più grande di quella maledetta colonna. Non lo aveva scritto e lo conservava al sicuro nei suoi pensieri. Nessuno, tranne Georg, sapeva del loro legame. Neppure Anna, che non ricordava nulla della sua vita precedente. La porta della stanza infine si spalancò improvvisamente e anche l’ultimo istante di quella pace stava per svanire. Tanto gli bastò per recuperare un’immagine. Anna sull’asfalto, tra la vita e la morte, per colpa sua. Nessuno sapeva, e le cose, pensò, sarebbero dovute rimanere così.

Capitolo 2

Caterina, l’infermiera più anziana della struttura, fece capolino nella stanza fissando Geremia con uno sguardo preoccupato. L’ombretto non nascondeva la lunga giornata di lavoro.

«Ti eri addormentato? Dai, su, è tutto pronto!» disse dando fondo alle ultime energie residue.

Geremia fece un cenno con la testa, abbozzò un sorriso di ringraziamento e, con lo sguardo, seguì la donna uscire. Tutti i ventuno ottobre erano stati importanti, secondo Geremia, ma quello del 1997 era proprio speciale. Georg compiva settant’anni, di cui quasi quaranta passati in quella struttura dispersa tra le Alpi trentine e aveva organizzato una grande festa nella sala da pranzo. Per giorni Geremia aveva visto gli ospiti della casa adoperarsi nell’organizzazione con un entusiasmo contagioso. Non c’era da stupirsi, pensò, perché il direttore era amato come un padre. Si alzò dalla sedia e con due passi raggiunse l’armadio della stanza. Un letto, una scrivania e un armadio. Tutte le stanze di Casa Amélie erano uguali. Non c’erano persone privilegiate nella struttura, nemmeno il direttore. Cominciò a rovistare tra i suoi vestiti scegliendo il solito vestito grigio da cerimonia. Valeva la pena vestirsi in maniera adeguata, magari rispolverando il vecchio orologio da tasca che teneva custodito meticolosamente nel cassetto della scrivania. Il legno scricchiolò quando Geremia aprì il cassetto facendo alzare la polvere accumulata. L’orologio era appoggiato in un vano rialzato, coperto dai fogli con le due colonne, il bene e il male, che si sfidavano. Guardò l’ora, sette e trenta, infilò il suo orologio nel taschino della giacca insieme alla pietra che teneva in mano e si incamminò fuori dalla stanza. Fissò le porte che davano sul corridoio dell’ala sud al primo piano della struttura, cercando di immaginarsi chi poteva essere rimasto fino a quell’ora. Tese l’orecchio per captare anche i più piccoli movimenti ma non sentì nulla. Il volto del direttore si materializzò nella sua testa ammonendolo di essere più scrupoloso. Georg contava su di lui. Cominciò a bussare a ogni porta aspettando qualche secondo e, quando arrivò di fronte alla stanza numero cinque, bloccò la sua mano e rimase a osservarla qualche secondo. Anna viveva lì dentro e non voleva disturbarla, si disse. Aveva provato tante volte a parlarle, ad andare oltre un semplice “buongiorno”, ma la sua lingua si bloccava, annodata dai ricordi. Dopo il suo risveglio nell’ospedale della città di Trento, Anna aveva cominciato un lungo percorso di riabilitazione fisica che l’aveva portata di nuovo a camminare, anche se con fatica. Rivederla in piedi nelle ultime settimane, camminare per raggiungere le cucine o per spazzare le scale della struttura, sembrava un miracolo. Ogni ospite doveva contribuire al mantenimento della struttura, anche Anna. Casa Amélie esisteva solo grazie ai soldi dati dal comune e alla vendita dei prodotti del proprio orto, insieme ad altri lavoretti fatti a mano dagli ospiti. Non c’erano soldi per ditte di pulizia o cuochi e tutti facevano affidamento su Geremia che gestiva la divisione dei lavori. Chiedeva a Caterina le condizioni di ogni ospite e in base alla risposta pensava a un lavoro.

Anche quella sera gli era mancato il coraggio di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Scese le scale raggiungendo il piano terra e tendendo l’orecchio sentì la musica giungere dalla sala da pranzo. Posta al centro dell’edificio costruito a ferro di cavallo, la sala da pranzo era perfetta per una festa. L’allegria si sarebbe sprigionata a sud e a nord, dove poteva essere rimasto nella propria stanza qualche ospite malato. In quella parte centrale della casa, su tutti e tre i piani, grandi finestroni facevano entrare la luce tutto il giorno seguendo il sole da est a ovest. Sentì il profumo di bosco solleticargli il naso e notò che uno dei finestroni era rimasto aperto. Era uno dei vantaggi di aver costruito la struttura sulla collina est che dominava la città. Il bosco di abeti e pini abbracciavano Casa Amélie immergendola nella natura.

2025-03-27

Aggiornamento

È successo. Grazie! Raggiungere 200 copie pre-ordinare è un traguardo che sognavo ma che temevo di non raggiungere. Il vostro sostegno è stato e continua ad essere straordinario! Il mio impegno sarà quello di lavorare al massimo insieme a Bookabook per regalarvi un'esperienza di lettura immersiva e piacevole. Continuate con il passaparola! Un abbraccio.
2025-01-22

Aggiornamento

A 48h dall'inizio della campagna abbiamo già superato il 50% dell'obiettivo previsto! Il vostro supporto così forte è incredibile! Ora, il vostro passaparola con i vostri contatti che pensate possano essere interessati, sarà fondamentale per raggiungere l'obiettivo di 200 pre-ordini! Già vi ringrazio. Continuate a seguirmi anche sui social per rimanere aggiornati! Un abbraccio

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Ho letto l’anteprima del libro …mi incuriosisce molto…non vedo l’ora di leggere la continuazione..quando mi arriva il libro…grazie

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Simone Detassis
Nato a Trento nel 1992, dopo il diploma al liceo scientifico si laurea in Biotecnologie, nel 2016. Durante il percorso di dottorato studia e lavora in diversi Paesi europei e in Brasile, esperienze che gli permettono di ampliare i propri orizzonti e di trarre ispirazione per la creazione delle sue storie. Sportivo e appassionato di pallavolo, nutre un profondo interesse per il cinema e la lettura, passioni che influenzano la sua scrittura e il suo immaginario narrativo.
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