Capitolo 2
Ti piace davvero essere sola?
No, ma mi piace chi sono diventata
stando sempre da sola.
Ariel
Non ho minimamente dormito questa notte. Ma tra un’ora, circa, incomincia la scuola e io mi devo far trovare preparata.
Mi alzo, ma non completamente: non voglio lasciare la sicurezza dell’estate, la tranquillità della mia vita solo con me, non voglio gettarmi nella fossa dei leoni.
Scendo le scale e a ogni gradino che faccio lascio indietro un pezzo di me.
Non mi fermo a salutare nessuno e mi dirigo immediatamente in bagno.
Mi piazzo davanti allo specchio e osservo il mio riflesso su quella superficie argentata.
Sono spettinata, i miei riccioli castani, se vogliamo definirli così, sparano in tutte le direzioni. Non mi prendo nemmeno la briga di sistemarli, non ne varrebbe la pena, oggi piove quindi in men che non si dica tornerebbero come sono adesso.
Do un’occhiata alle occhiaie: non si vedono troppo, non le noterà nessuno che non le voglia davvero notare, ovvero tutta la scuola.
La pelle è un po’ pallida, ma è solo l’effetto della luce.
Mi sciacquo la faccia e mi dirigo in soggiorno dove mi aspetta la colazione. Una tazza di tè ustionante e cinque o sei biscotti.
Consumo la mia porzione in religioso silenzio, il che non è minimamente strano per me.
Una volta finito mi vesto. Ho scelto di vestirmi in modo particolare oggi, come se non mi vestissi in modo differente letteralmente ogni giorno che Dio manda in terra.
Oggi sfoggio un pantavestito a righe bianche e nere con le spalline di corda. Naturalmente al di sotto indosso una t-shirt nera perché non voglio né ammalarmi, né prendere una nota il primo giorno.
Scattano le sette e sedici, è ora di avviarci verso l’inferno.
Saluto mia madre ed esco di casa.
Non fraintendete le mie parole, io adoro la scuola, è ciò che mi tiene in vita. Ma odio il fatto che devo andare a scuola con gente che non mi calcola. Io mi sforzo di essere più socievole ma nessuno sembra interessarsi a me.
Non so come definire il modo in cui mi sento: non sono né sola, con me c’è sempre la mia migliore amica, ma nemmeno la ragazza circondata da amici. Naturalmente meglio pochi buoni, che tanti falsi. Però…
Rinchiusa nei miei pensieri nemmeno mi accorgo di essere arrivata alla fermata e che Nikola è già lì ad aspettare.
Indossa sempre i pantaloncini rossi dell’Adidas, una maglietta a maniche corte e lo zaino è spudoratamente abbandonato in un punto non ben definito alla mia destra.
È cresciuto. Si sarà alzato di almeno una quindicina di centimetri, dal momento che l’ultima volta che l’ho visto era poco più alto di me.
Noto anche che ha fatto crescere i capelli, che ora gli ricadono sulla fronte formando un ciuffo riccio non ben definito.
Lo saluto con un cenno del capo e lui ricambia.
«Come sono andate le vacanze? Stesso posto di sempre?»
«Sì, sempre Croazia. Quest’anno è stato più piacevole del solito: c’erano anche i miei cugini di Sofia. Ha presente la capitale della…»
«Aspetta non dirmelo. Sofia è la capitale della… Bulgaria! E non dirmi che è sbagliata, sono sicura al centodieci per cento.»
Lui sorride.
Io sorrido.
È piacevole ricominciare con le vecchie abitudini, tra cui c’è anche questa: il gioco delle capitali con Nik.
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