Secondo tutti questo è il finale della storia. Tutto finisce così. Niente lieto fine.
Niente “e vissero per sempre felici e contenti”.
Niente sorrisi o lacrime di gioia.
Non è davvero possibile riscrivere la storia come si vuole e trovare il proprio finale alternativo?
Non sapevo che avremmo avuto un nuovo compagno di classe e la cosa non mi gasa come dovrebbe.
Passano cinque minuti buoni prima che il nuovo ragazzo si faccia vivo: non posso dare torto alla bidella, è un bel ragazzo, ma troppo bello perché possa essere vero. Incrocio i suoi occhi per una frazione di secondo e mi lascio sfuggire una smorfia: ha gli occhi di ghiaccio e, spesso, nei libri il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si innamora della protagonista della storia e fondamentalmente è un bullo possessivo.
Roteo gli occhi e torno a concentrarmi sulle mie scarpe, che improvvisamente, però, hanno perso d’interesse.
Quei dannatissimi occhi da angelo sono praticamente diventati il mio chiodo fisso, ed io so già che questo ragazzo sarà un grosso problema per me, durante l’anno.
Un giorno mi si avvicinò un bambino.
Mi chiese se stavo piangendo, io gli
risposi che mi era entrata una cosa
nell’occhio.
Mi chiese di cosa si trattava.
Gli dissi che era un ricordo.
Ariel
Abbiamo appena raggiunto l’Aula Magna quando contare non serve più a nulla. Ruoto di centottanta gradi il mio corpo per poterlo fissare negli occhi: sono glaciali come prima, ma ora mi posso soffermare a guardarli, sono profondi ma al contempo superficiali. Sono un incrocio: come se qualcuno avesse provato a dargli un po’ di dolcezza ma lui la tiene nascosta sotto una spessa lastra di ghiaccio. Che dire poi dei capelli: non sono più ordinati e pettinati come prima, no, ora gli ricadono sulla fronte in un ciuffo biondo cenere non ben definito. Faccio poi scorrere lo sguardo sui suoi abiti, è incredibile come indossando abiti da principino possa sembrare comunque maranza: i gemelli sono aperti e la manica destra e arrotolata fino a metà avambraccio. Tali sono i primi due bottoni della camicia, aperti, e questo mi permette di intravedere il virile petto.
≪Hai problemi? Hai bisogno di qualcosa?≫. In questo momento tutte le mie certezze, eccetto due, vacillano. Sono sia sicura di essere diventata bordeaux, sia che sia colpa del termosifone accanto a me che tengono acceso anche a settembre.
≪Sì. Ho provato ad essere gentile e a non gridarti in faccia perchè sei un nuo…≫
≪Salta al sodo≫ mi dice lui. ≪É da tutto il tempo che devi dirmi queste cose, me ne sono accorto, quindi spicciati, hai già aspettato abbastanza≫. Come lo ha capito? Ma anche: come osa!?
≪Non me ne frega nulla di te≫ esordisco così.
≪Finalmente! Vai avanti, ora inizia a dire qualcosa di interessante…≫. Questo ragazzo mi da sui nervi, lo riterrò un traguardo personale se riuscirò a non spezzargli in due l’osso del collo entro fine anno. Non che io sappia come si fa, ma questi sono dettagli.
≪Non mi importa se tu non mi vuoi intorno, io ho promesso alla Preside che ti avrei inserito nel gruppo classe, che ti avrei guidato nella scuola e, le sue parole sotto intendevano anche, tenerti d’occhio e riferirle come va il tuo processo di inserimento nel gruppo≫. È soddisfacente spiattellare in faccia a qualcuno tutto ciò che si pensa di lui. Ma ho dimenticato un dettaglio fondamentale:
≪Ah, e per chiarezza, nemmeno tu sei il mio tipo≫. Wow! Non mi ero mai sentita così potente.
≪Sicura?≫ sussurra lui fissandomi con uno sguardo che farebbe sciogliere tutte le ragazze di questo mondo. Purtroppo, con me inclusa.
Ruoto nuovamente sui tacchi per impedirgli di vedere il rossore delle mie guance e proseguo lungo la mia strada. Faccio a malapena in tempo a raggiungere una colonna in fondo che il signor Turner mi raggiunge con un invidiabile tempismo e mi sbatte contro il pilastro di cemento.
In modo assolutamente galante, mi afferra i polsi con una sola mano e li porta sopra la mia testa. La cartellina cade a terra con un tonfo. Fortunatamente siamo in Aula Magna sennò non so cosa penserebbe una qualunque persona, studente o docente, se ci vedesse.
≪No, non sei il mio tipo≫ sussurra al mio orecchio. ≪Ma io e te siamo legati. La Preside ti ha fatto stringere un patto con lei, lo hai appena detto tu con altre parole, quindi siamo legati da un filo invisibile≫. A ogni sua parola mi irrigidisco sempre di più, non mi piace essere sottomessa agli altri.
≪Ah, siamo connessi? Perchè, sai, io non vedo alcun filo rosso che ci congiunge quindi non siamo legati.≫. Sono nervosa, inizio sempre a parlare a vanvera quando sono in ansia, o semplicemente nervosa, o tutte e due….Arghhhh!
≪Connessi da un filo rosso? Sei proprio strana, Ariel≫. Non sopporto più il suo sussurrare al mio orecchio, molte lo troverebbero attraente, io lo trovo solo fastidiosissimo.
≪Senti, Faccia d’Angelo con le Corna, mollami prima che io ti denunci per molestie, e sì, a me non manca il coraggio. Quindi hai esattamente trenta secondi per lasciarmi, chiaro?≫ sottolineo le ultime parole con più intensità per fargli capire che sono serissima.
≪Ah, sei una di quelle che combattono? Ricorda solo che potrai anche vincere una battaglia, ma non ha vinto, e non vincerai, la guerra≫.
Mi stringe le braccia e affonda le unghie nel mio avambraccio sinistro, come per marchiarmi, come per farmi capire che ho vinto una battaglia, ma che la guerra la vincerà lui.
In quel momento da dietro la porta sbuca un viso conosciuto e odiato il cui sguardo subito si dirige sulle mie braccia strette dalle sue mani e sulla faccia del mio molestatore troppo vicino al mio volto. Per fortuna ho dei buoni riflessi e mi scanso dal pilastro, raccolgo la cartellina e mi piazzo davanti al naso di Attila:
≪Tu non hai visto nulla. Ma tanto non è nemmeno successo nulla. Ora, signor Edrai, sei pregato di rientrare in classe e di tenerti per te ciò che hai visto. Sono stata abbastanza chiara?≫. Il mio tono è minaccioso ma non credo sia abbastanza, però…Però sembra intimorito, sta addirittura arretrando.
≪Tutto…Chiaro…Tutto…Chiaro…Ariel…Ivan≫. Marca ogni parola con profondo respiro, come se avesse fame d’aria. Si gira è schizza su per le scale: tempo cinque secondi e sparisce dal mio campo visivo.
≪Abbiamo finito≫ dico a colui che ho scoperto che si chiama Ivan, perchè sì, la Preside si è dimenticata di fare le presentazioni. ≪In tutti i sensi che vuoi vederci dentro. Ora io ti lascio i tuoi dati e le tue schede, poi noi torniamo ad essere sconosciuti. Io no pesto i piedi a te e tu non li pesti a me≫. Sembra voler ribattere, ma io sono più veloce: ≪Non aspetto una tua conferma le cose stanno così e basta≫.
≪Sì, Ariel, credici quanto vuoi. Sappi solo che illudersi non fa bene alla salute, smetti di sperare e smettila di credere che le cose miglioreranno, le cose non migliorano mai, si può solo peggiorare≫.
Mi sta facendo impazzire, è in grado di trovare tutti i punti dolenti di una persona con un solo sguardo e sa quale tasti premere per ferirla o risvegliare in lei dolori addormentati.
≪Tu non sai nulla di me. Tu non mi conosci. Tu non sai cosa mi fa bene≫. Boccheggio in questa fase finale, ho bisogno d’aria, questa stanza inizia a farsi stretta.
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