A volte il controllo diventa una prigione, e il corpo un terreno di battaglia.
Laura ha sedici e un dolore che non riesce a nominare. Una voce dentro di lei le sussurra ogni giorno che non è abbastanza, che deve resistere, che deve stringere i denti. Ma sotto quella voce si nasconde una fame diversa: fame d’amore, di ascolto, di libertà. Un incontro inaspettato con Carlotta, una ragazza luminosa e fragile, cambierà tutto. Tra pagine di diario, sogni spezzati e verità taciute, Laura intraprende un viaggio doloroso ma necessario verso la guarigione. Questo è un romanzo sui Disturbi alimentari, ma soprattutto sull’amicizia, sulle parole non dette e su quelle che salvano. Un grido dolce e struggente per dire che si può chiedere aiuto, che nessuno merita di perdersi nel silenzio.
Un libro che lascia il segno, una voce che racconta ciò che spesso resta invisibile.
Perché ho scritto questo libro?
Ho scritto questo libro per dare voce a chi lotta in silenzio, per raccontare il mondo invisibile dei disturbi alimentari. Un mondo fatto di paure, vergogna, speranze, piccoli passi e desideri di rinascita. Ho trasformato il dolore in parole, per chi si sente solo, non riesce a spiegare cosa prova, pensa di non potercela fare. Perché da un DCA si può uscire, con il giusto supporto, con amore. Questo libro è la mia mano tesa, il mio modo di sensibilizzare, ma soprattutto di rinascere.
ANTEPRIMA NON EDITATA
“Prendo un caffè, grazie”.
E la voce che uscì dalle mie labbra fu flebile, misurata. Una resa più che una scelta. Le ragazze non dissero nulla. Ed io sorrisi, convincendomi che andasse tutto bene. Fu quello il momento in cui, la battaglia silenziosa dentro di me, aveva appena fatto un’altra vittima. Mi sentivo fuori luogo. Mi sentivo sbagliata. Perché ordinavo sempre qualcosa di diverso dalle mie amiche e non riuscivo più a godermi la leggerezza di un aperitivo con loro. Sentivo i loro occhi su di me, sguardi giudicanti, perché ero sempre quella diversa, quella che prende sempre solo caffè amaro.
“Questa sono, un pesce fuor d’acqua!”, pensavo.
Io mi guardo sempre attorno, irrequieta. Guardo i piatti che i camerieri portano ai tavoli vicini al mio, ne ammiro sempre il contenuto, perché vorrei… vorrei avere la forza di ordinare anch’io quei cibi come fosse la cosa più normale. Vorrei poterlo fare senza sentirmi inadeguata, senza pensieri, senza le paranoie. Quel giorno fu l’aperitivo ma ieri è stata la cena in pizzeria, domani sarà il pranzo dalla zia. Ogni occasione in cui ad unire delle persone è il cibo per me è un incubo. Arrivarono gli aperitivi con le tartine e gli spritz. Mangiai tutto con gli occhi. Una voce, come un rituale, dentro di me si fece strada: “vorrei toccare quelle focaccine, ma ne sento solo l’odore con l’acquolina in bocca. Guardo le arachidi salate che un tempo adoravo. Ma riesco a vederci sopra solo 365, che è il numero di calorie che contengono per 100 g. Vorrei masticare quelle friselline con il pomodoro ma l’olio sul fondo del piatto mi mette ansia perché mi sento quel numero addosso. Vorrei godere della freschezza di un semplice cocktail in questo pomeriggio tanto afoso. Ma quelle bollicine mi fanno sentire la pancia gonfia solo a guardarle. Arriva il mio caffè. Il mio stupido caffè che non ha senso come non ho senso io a questo tavolo. Lo bevo d’un sorso, con occhi chiusi, con l’amaro che mi lascia sia al palato sia nella mia anima”. Sapete, io non vorrei, non vorrei davvero sapere quante calorie contiene ogni cazzo di cibo che mi passa davanti. Vorrei non sapere cosa sia la sigla “DCA”. Vorrei non avere la paura di guardarmi allo specchio. Vorrei essere ignorante e non saper leggere le stupide tabelle nutrizionali. Vorrei non sapere cosa sia l’indice di massa corporea. Vorrei non conoscere nemmeno l’esistenza di Ana. Vorrei non sapere quanto peso. Vorrei la fine di questo tunnel. Vorrei non sapere a cosa servono i lassativi. Vorrei non sapere quante calorie si consumano in un’ora di camminata o in mezz’ora di corsa. Vorrei non sapere quanti passi al giorno devo fare o quanti minuti devo passare ad allenare gli addominali. Vorrei dedicarmi allo sport perché amo il mio corpo, e invece ne sono dipendente perché lo odio questo corpo. Vorrei non confrontarmi con le altre, con i loro fisici sempre più perfetti del mio. Vorrei volare. Vorrei ordinare qualcosa che mi piace solo perché mi piace e mi fa star bene. Vorrei non avere l’ossessione delle mie misure. Vorrei non conoscere la circonferenza della mia vita o delle mie braccia o dei miei odiosi polpacci. Vorrei non essere mai nata e vorrei essere nata perfetta, bella, amabile. Vorrei un cornetto alla Nutella o forse, semplicemente, vorrei l’abbraccio di mio padre. Vorrei entrare in quel negozio nel corso, accanto alla piazza, quello che le mie amiche amano nel periodo dei saldi. Vorrei indossare quel vestito rosso che ho visto lì prima in vetrina venendo in stazione. Vorrei sorridere mentre mi guardo nello spogliatoio. Vorrei non pensare alla taglia del mio corpo. Vorrei comprare ogni cosa che mi piace, ogni maglietta che mi piace, ogni gonna che mi piace. Vorrei non essere così complicata. Vorrei non indossare queste magliette così larghe perché vorrei non nascondere il mio corpo. Ma lo nascondo invece. Perché vorrei essere in pace. Vorrei volare, vorrei la mia libertà. Vorrei guardare oltre al mio aspetto e vedere che c’è il mondo oltre le mie paure. Ma non lo vedo il mondo, perché l’immagine che ho di me è troppo grande davanti ai miei occhi, così ingombrante davanti allo specchio. Vorrei la mia vita tra le mani. E la vorrei adesso. Ma adesso ho solo il peso dei numeri addosso, con la voglia di quell’abbraccio, di quello sguardo, di quella carezza. Vorrei Laura, perché si è persa e non so più dove sia. Vorrei non pensare sempre di dover continuare a perdere peso per star bene, ma vorrei averlo io il peso nella mia vita. Vorrei mangiare per nutrire il corpo e la mia anima ma vorrei anche lasciarmi morire lentamente perché vorrei la forza che non ho. Vorrei sentirmi capace di muovermi nel mondo con la leggerezza di una farfalla ma in questo mondo vorrei non esserci. Vorrei azzerare l’importanza del fatto che le mie cosce si tocchino e spostare quell’attenzione agli obiettivi della mia vita ma non vedo nulla oltre allo scendere dei numeri. Vorrei non essere mia entrata in questa gabbia. Vorrei sentirmi stanca di tutto questo. Vorrei perdere il controllo. Vorrei riempire i miei vuoti dipingendo, ballando, scrivendo. Invece li riempio mangiando e mi svuoto con violenza e con odio. Vorrei la piccola Laura. Ancora. E ancora una volta vorrei l’amore perché ho fame. Mi guardo attorno, vedo tutto ma io non ci sono più.
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