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A Sabbione con Giulio Mozzi

Mi colpirono l’immaginario strabordante, la crudeltà dello sguardo, la vis comica, il talento di scrittura – che si esprimeva assai meglio laddove si dava libertà, come appunto nei racconti, che non dove si dava degli obblighi, come appunto nella cornice.

A Sabbione con Giulio Mozzi

In vista dell’incontro di venerdì 20 ottobre alle ore 18:00 presso lo Spazio Melampo (via Carlo Tenca 7, Milano) Tomaso Greco, co-fondatore di bookabook, intervista Giulio Mozzi, consulente di Marsilio e tra i più convinti sostenitori della campagna di crowdfunding per Più segreti degli angeli sono i suicidi di Gian Marco Griffi.

Perché proprio Giulio Mozzi? Perché è legato a doppio filo con il libro, ma prima di farci raccontare da lui i retroscena del suo rapporto con l’opera, lasciamo che siano le parole dell’autore – prese in prestito da qui, ci perdoneranno – a raccontarci come Mozzi sia stato il Virgilio (la Beatrice pareva brutto) del libro nei tortuosi gironi dell’editoria.

<<Ho iniziato a scrivere di Sabbione dodici anni fa. Alla pubblicazione ci è arrivato attraverso l’invio a ventiquattro case editrici, che non hanno mai risposto. Ogni volta che una casa editrice “rispondeva” con un silenzio, pensavo “non va bene”, e riscrivevo, cambiavo, modificavo. Poi rimandavo a un’altra casa editrice che puntualmente non rispondeva, e via daccapo.  I silenzi editoriali hanno prodotto un risultato: ho iniziato a pensare che il valore della mia scrittura fosse pari a zero. Il primo (e l’unico) membro della Repubblica delle Lettere a rispondermi è stato Giulio Mozzi. A un certo punto mi ero messo a inviare il libro selvaggiamente; una sera Giulio mi telefonò e mi disse: lotterò affinché il tuo libro sia pubblicato. Neppure lui ce l’ha fatta, nonostante all’epoca della prima telefonata lavorasse per Einaudi e successivamente per Marsilio (con la quale collabora, o lavora, non so, tuttora). Mi dice che non è mai riuscito a farlo leggere all’editor di una casa editrice. Non ho idea del perché nessuno, all’interno delle case editrici, abbia mai voluto leggere il mio libro, ma ormai non ha più importanza. Per tre anni ho abbandonato tutto, non ho scritto una riga e non ci ho più pensato, fino al giorno in cui ho letto da qualche parte di Bookabook e del crowdfunding. Mi sono detto ma sì, proviamoci, per buttare via tutto tanto vale fare un ultimo tentativo>>.

Ma veniamo all’intervista vera e propria.

Sei stato uno dei primi (o forse il primo in assoluto) a comprendere il potenziale letterario di Più segreti degli angeli sono i suicidi di Gian Marco Griffi. Dovessi scegliere un elemento del manoscritto che ti ha colpito di più, che cosa sceglieresti?

Non fui il primo. Gian Marco mi mandò il suo librone – che aveva un aspetto piuttosto differente dalla versione dopo tanti anni pubblicata – io ne lessi una trentina di pagine e lo misi da parte. Più tardi, in una discussione in calce a un articolo nel mio bollettino vibrisse, ci fu una discussione tra Gian Marco, me e un provocatore che si firmava, se non ricordo male, «Massimiliano». Massimiliano si fece spedire il librone da Gian Marco e nel séguito della discussione scrisse, più o meno, e in termini più cortesi di questi sintetici, che se non avevo capito che quella roba lì valeva ero davvero un cretino. Poiché so che posso sbagliarmi; poiché Massimiliano era un provocatore ma non aveva l’aria – da come discuteva – di essere stupido, tutt’altro; poiché nella discussione anche Gian Marco mi aveva dato l’impressione di essere tutt’altro che stupido: ripresi in mano il librone. E mi resi conto che, al di là della “cornice” che racchiudeva i racconti, e che mi era sembrata così brutta, dentro c’erano dei racconti molto, molto belli.

Mi colpirono – ma dico delle ovvietà – l’immaginario strabordante, la crudeltà dello sguardo, la vis comica, il talento di scrittura – che si esprimeva assai meglio laddove si dava libertà, come appunto nei racconti, che non dove si dava degli obblighi, come appunto nella cornice.

Su vibrisse – il tuo blog – Franco Foschi descrive così il libro: «fuori tempo – tira decisamente dalla parte opposta del tempo moderno che va all’indietro – e per questo sarà eterno». Niente male per uno scrittore esordiente…

Dei giudizi di Franco Foschi è responsabile Franco Foschi; io tendo a evitare le profezie. Certo: se l’opera di Gian Marco diventasse immortale, sarei – anche dall’aldilà – assai contento per lui.

La struttura del libro è molto particolare, al punto che i capitoli non vanno necessariamente letti in ordine… Da scrittore, ma soprattutto da maestro di scrittura creativa, come giudichi questa scelta stilistica?

Direi scelta «strutturale», piuttosto che «stilistica». E non è una novità. Al di là del fatto che comunque Più segreti degli angeli sono i suicidi non è esattamente un “romanzo”, di romanzi che non vanno necessariamente letti – anche alla prima lettura – nell’ordine delle pagine ce n’è una quantità: dal Tristano di Nanni Balestrini al Gioco del mondo di Julio Cortázar (e se il primo è un bel romanzo, il secondo è considerato un capolavoro), da In balia di una sorte avversa di Bryan Stanley Johnson (romanzo in scatola: ogni capitolo è un fascicolo a parte, tranne il primo e l’ultimo si può mischiarli a piacere) a Composizione n. 1 di Marc Saporta (fogli slegati, da mischiarsi come un mazzo di carte da gioco), per tacer de Il padrone assoluto di Gianni Toti, le cui pagine sono numerate a rovescio (gli ultimi tre titoli sono in ordine decrescente, secondo me, di valore e d’interesse), eccetera. Le narrazioni sono per natura combinatorie (lo stesso si può dire degli immaginarii).

Da insegnante di scrittura e di narrazione posso dire che quasi sempre il mio lavoro non consiste nel convincere gli allievi ad adottare strutture narrative standard (che, in linea di massima, mi annoiano), ma smuoverli da un’idea standard di struttura narrativa.

Più segreti degli angeli sono i suicidi è stato pubblicato grazie a centinaia di lettori, che lo hanno sostenuto attraverso una campagna di crowdfunding. È un sistema che, al di là di bookabook, riscuote sempre più successo a livello globale. Basti pensare ad Unbound, collegata al colosso Penguin Random House, e alle Favole della buona notte per bambine ribelli. Quali sono a tuoi avviso i vantaggi (e gli svantaggi) del crowdfunding in editoria?

Che due ragazze giovani ma già esperte dei meccanismi della comunicazione e dell’editoria (e, va aggiunto, sgobbone da far paura) come Elena Favilli e Francesca Cavallo (ricordo che già nel 2011 si erano inventate Timbuktu Magazine, la prima rivista per bambini studiata per l’iPad), decidano di lanciare una sottoscrizione per una loro idea, e raccolgano 305 mila dollari («the most crowdfunded book of all times», Wikipedia) è cosa che mi fa solo piacere: perché il libro a me pare bello (questa è la premessa necessaria), perché dopo tanti anni di lavoro sempre innovativo (e non si contano i premi che hanno vinto, quelle due, in coppia o singolarmente) finalmente avranno la possibilità di pensare davvero in grande.

(Conobbi Elena tanti anni fa: partecipò a un mio laboratorio di scrittura, in Toscana. Mi resi conto che era davvero intelligente e determinata, ma non mi resi conto della sua potenzialità inventiva. Me ne accorsi, e lì ci voleva poco, solo quando partì Timbuktu Magazine. Il che significa che non sono poi quel gran talent scout che si dice – vedi anche la cilecca iniziale con Griffi –; oppure che già tanti anni fa ero troppo vecchio per immaginare certe cose).

Ma il caso delle Favole della buona notte per bambine ribelli è troppo fuori scala per fare testo.

La mia idea di editoria su sottoscrizione è questa: che può essere una buona idea per un singolo, o un piccolo gruppo, o un editore, che voglia mettersi alla prova e/o che sospetti esservi nel Mondo Aperto persone più sensibili a certe cose di quante ve ne siano all’interno della Repubblica delle Lettere e della Cittadella dell’Editoria.

Credo però che un editore che scelga come propria vocazione l’editoria su sottoscrizione dovrebbe essere protagonista della sottoscrizione stessa, ovvero non essere semplicemente un’agenzia che gestisce gli aspetti tecnici della sottoscrizione e lascia all’autore il compito di trovare i sottoscrittori («di andare in giro con il cappello in mano», come mi pare scrisse – ma vado a memoria, e posso sbagliarmi – Gian Marco nel momento in cui annunciò in un social network la sottoscrizione).

Il libro di Griffi ha raccolto la di gran lunga maggior parte della somma necessaria alla pubblicazione grazie all’impegno di Griffi stesso e di alcuni suoi amici ed estimatori. Quando le cose si invertiranno, ovvero quando sarà l’editore, e non l’autore, a raccogliere la maggior parte delle somme, potremmo parlare di vera editoria su sottoscrizione.

Caro Giulio, naturalmente dissento. 
Il crowdfunding, o come dici tu sottoscrizione, è uno strumento che ha dimostrato enormi potenzialità, all’estero e anche in Italia. In editoria come in molti altri settori. Ma, al contrario di quello che sostieni, richiede per sua natura che l’autore (o il musicista o l’architetto ecc…) si attivi in prima persona e coinvolga una prima cerchia ristretta di lettori. Coinvolgere in un progetto non significa solo vendere copie. Significa far sentire i sostenitori partecipi di quello specifico progetto, dei suoi elementi caratterizzanti. Ragione per la quale nessuno, tantomeno l’editore, può sostituirsi all’autore.
Obiettivo, dichiarato, è che questi primi lettori si trasformino in portavoce della proposta, creando un passaparola che, se la campagna funziona, mette insieme non tanto qualche centinaio di lettori tra loro slegati, ma una vera e propria comunità.
Così come è capitato, ad esempio, con Più segreti degli angeli sono i suicidi. Animatori della campagna sono stati alcuni suoi estimatori – tra cui tu – convinti della validità del progetto, che hanno deciso di consigliare ad altri lettori.
Lo scrittore che sceglie di provare bookabook, e che viene validato da una selezione qualitativa, è accompagnato passo passo. Riceve supporto continuo per quanto riguarda la comunicazione, la realizzazione di materiali grafici, il rapporto con i lettori.
Partendo dalla comunità costruita nella fase di preordini, bookabook, una volta pubblicato il libro, proprio in quanto editore continua a promuoverlo, attraverso canali tradizionali (ufficio stampa, rapporti con le librerie, distribuzione/promozione) e social, potendo contare sull’eccezionale volano costituito da una base solida di centinaia di persone che hanno scelto, sostenuto e consigliato l’opera.
Nella nostra visione, quindi, una campagna di crowdfunding funziona davvero quando non è tutto nelle mani dell’autore o dell’editore, ma quando sono i lettori stessi a promuovere il libro e a generare il passaparola, che è l’elemento su cui si perimetra il successo o l’insuccesso di una pubblicazione.

Più in generale, che cosa ne pensi dell’innovazione in un settore tradizionale come l’editoria? Quali ritieni essere i cambiamenti più necessari e utili all’intera filiera?

Alla prima domanda penso che ne penso, in generale, un gran bene. Alla seconda domanda rispondo che se mi date otto mesi di tempo e una borsa di studio posso impegnarmi a scrivere la risposta.

Dal tuo punto di vista quale dev’essere il ruolo del lettore nel processo di pubblicazione? È un ruolo destinato a rimanere lo stesso, con delle felici eccezioni, o è destinato a cambiare, come del resto è cambiato in altri settori (ad esempio quello musicale o cinematografico).

La distribuzione dei prodotti culturali e di intrattenimento attraverso la rete ha trasformato il consumatore in un fornitore per lo più inconsapevole di informazioni. In sostanza, è in atto un’indagine di mercato permanente più o meno su tutti i film, tutta la musica, tutti i libri. Ciò porta a favorire sempre più la produzione (e il posizionamento) di ciò che interessa a molti, e a sfavorire sempre più la produzione (e il posizionamento) di ciò che interessa a pochi. Ma non è detto che ciò che interessa a pochi sia importante solo per pochi. Quante sono le persone al mondo direttamente implicate nella progettazione e produzione di pacemaker? Assai poche. Ma il loro lavoro interessa milioni di persone che hanno un pacemaker in corpo. Pertanto tutto ciò che può servire alla loro formazione deve essere disponibile.

Similmente, il fatto che certi libri che per natura siano destinati a pochi lettori non significa che siano libri poco importanti.

Il lettore di libri ha il dovere di ricordarsi questo, sempre. Anche chi legge solo libri per passatempo deve sapere che quei buoni libri di passatempo che gli piacciono così tanto, e che rendono più piacevole la sua vita, non potrebbero esistere se non esistessero altri libri, magari meno immediatamente piacevoli, ma che contribuiscono a rinnovare nelle forme e nei contenuti la letteratura.

Una chiosa sul libro. Una volta girata l’ultima pagina: nostalgia per Sabbione o esperienza intensa da provare e non ripetere?

I buoni libri vanno riletti. Non subito.

 

Il team di bookabook
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