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Come rifiutare Dante. Intervista a Riccardo Bozzi

foto libri relegati charles dickens

Intervista a Riccardo Bozzi, che ha da poco pubblicato Caro autore. Come rifiutare un capolavoro (Bompiani)

Premessa dell’autore: gli editori non sono il diavolo

Sono le dieci del mattino, a Milano pioviggina ma fa caldo. Mi sono appena svegliato e mi risuonano ancora nella testa gli ultimi due rifiuti editoriali ricevuti: è proprio la mattina adatta per intervistare Riccardo Bozzi, autore per Bompiani di un libro intelligente, pieno di sarcasmo e stile, non privo di qualche stoccata caustica al mondo dell’editoria. Prendo il telefono e digito il suo numero, prima però avvio il programma per registrare la telefonata. Tendo a dimenticare. Qui vi riporto una sbobinatura quasi integrale della nostra conversazione. Ovviamente Riccardo è stato avvisato della registrazione, infatti non ha detto quasi nessuna parolaccia.

Inizierei col chiederti se con questo libro ti schieri maggiormente dalla parte dei lettori – nessuno ci capisce – o degli editori – certe cose sono realmente impubblicabili?

Partiamo dall’assunto che gli editori non sono il diavolo e parte del loro lavoro consiste nel vendere i libri. Altrettanto importante è trovare libri che valgono, ma i libri che valgono e i libri che vendono non sempre coincidono. Un caso eclatante è quello di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del suo Gattopardo: rifiutato ben due volte da Vittorini per una questione di gusti, il libro poi ha venduto tanto. Ti dico anche una cosa, questo mio libro è nato…

Ecco, appunto, come ti è venuta quest’idea?

Stavo discutendo con un editore americano per la pubblicazione di un altro libro. La sua volontà era quella di effettuare sostanziali cambiamenti. Allora io scrissi una mail – che non partì mai perché il mio agente Debbie Bibo, che è anche mia moglie, fece da argine – che recitava più o meno così: “Scusate, non pensate che io sia pazzo, non vorrei paragonarmi a Melville, ma è come se per Moby Dick gli avessero detto: perché non mettere un bel delfino al posto della balena? È molto più empatico…

Questione di merchandising, il pupazzo di un delfino si vende meglio…

Esattamente. È proprio da questa lettera, presente all’interno di Caro autore, che nasce tutto.
E una volta finito il libro mi è stato segnalato che, tra i tanti rifiuti ricevuti da Melville per Moby Dick, uno di questi recitava proprio così: “Per prima cosa, bisogna proprio utilizzare una balena?”. Allora ho capito che il punto di vista era quello giusto. All’inizio pensavo di togliere la lettera, perché troppo simile a quella reale, ma poi mi sono detto la lascio perché ci ho preso, davvero.

Longanesi diceva Non si ha idea delle idee degli uomini senza idee. A volte le risposte che si potrebbe ricevere inviando un romanzo a un editore sono assurde. Cosa ne pensi tu, di queste tue non troppo fantastiche lettere di rifiuto?

Io non lavoro molto con gli inediti. Quindi specificherei che, non leggendo del materiale non pubblicato, mi baso molto su quello che invece viene pubblicato. Sottolineando che leggo anche moltissima letteratura di consumo e che sono amante dei libri di genere, oggi credo che molta della produzione editoriale non sia di qualità. Ecco, se gli editori dovessero fare esclusivamente valutazioni editoriali, non mi spiegherei la presenza di certi titoli.

Ci sono, però, degli aspetti che un editore – dovendo rapportarsi a un bilancio trimestrale – deve tenere in considerazione. Qui, in queste pieghe, si intrufola il tuo libro.

Sì, perché credo che ci siano, e ci siano sempre state, delle motivazioni che condizionano gli editori. Si tratta di un’impresa, si deve anche guardare ai bilanci. Il primo elemento onnipresente è il marketing: riusciremo a piazzare questo libro? Dove lo piazziamo? Per chi è questo libro? Prendi Kafka: oggi dove lo si piazzerebbe, per chi è?

Ricerche di mercato, fasce di pubblico…

Per non parlare del politicamente corretto che oggi dilaga: quindi mi salta in mente Shakespeare, che dopo il Mercante di Venezia e le accuse di antisemitismo scrive Otello e ci piazza un nero.

Temi che oggi farebbero storcere il naso a qualsiasi editore e farebbero chiedere all’autore: ma è davvero necessario?

Esattamente: l’errore in questo caso consiste nel sottovalutare il lettore. Si finisce per rivivere l’esperienza di Arbasino: pensare che queste cose la casalinga di Voghera non le capirà e poi ricevere la lettera dalla stessa casalinga che invece ha capito tutto. Tutto queste cose le ho inserite nel libro.

Ma un libro sui rifiuti non mi dire che non è stato rifiutato?

Certamente, uno l’ho addirittura segnato. Te lo leggo. È di una editor statunitense, dice: “l’ho letto tutto d’un fiato, ho riso così tanto. Lo trovo brillante ma per quanto io lo adori mi chiedo se possa funzionare come libro. I pezzi sono meravigliosi ma temiamo che siano le classiche cose che la gente si invia viralmente piuttosto che sganciare 15 dollari. Spero di sbagliarmi perché sono una tua grande fan.”

Un po’ come le ragazze: mi sei simpatico, mi fai ridere, ma ti vedo solo come un amico.

Il miglior rifiuto letterario mai ricevuto però è quello che arrivò a Gertrude Stein dall’editore Fifield: “Sono uno, uno solo, soltanto uno. Un solo essere, uno in ogni istante. Non due, non tre, solo uno. Solo una vita da vivere, solo sessanta minuti in un’ora. Solo un paio di occhi. Solo un cervello. Essendo solo un singolo essere con un solo paio di occhi e una sola vita da vivere, non posso leggere il tuo manoscritto tre o quattro volte. Neanche una volta. Difficilmente se ne venderà una copia qui. Difficilmente una. Soltanto una.”

Ecco, almeno questo è un rifiuto da un editor che ha letto qualcosa di tuo al punto da copiarti lo stile narrativo.

Un capolavoro. Citazione obbligatoria.

Prima abbiamo parlato di vendibilità, però non sempre è prevedibile il successo di un romanzo. Esiste una componente di fortuna che è inspiegabile. Un testo che per te ha raggiunto un successo diciamo immeritato e un altro che invece ha toppato, nonostante avesse tutti gli elementi?

Non seguo tantissimo la letteratura attuale perché ho tante di quelle lacune pregresse… sto recuperando i classici e leggo anche molti autori minori, magari ingiustamente minori. Romanzi che in un mondo ideale dovrebbero fare i numeri dei best seller e invece tra questi trovi l’ultimo di Volo. Un libro con caratteri enormi, liste da compilare, spazi vuoti e ti chiedi: perché? Un editore ti dirà che sì, considerando la presenza di una fascia di pubblico che lo acquista e lo legge, era necessario. Perché considerando da quanto tempo è in classifica e quanto vende, ecco, diciamo chapeau a chi ha pubblicato Volo perché si è garantito il bilancio.

Il solito bilancio trimestrale.

Sì, ma con questo io mi sento di dire anche una cosa agli scrittori emergenti: non innamoratevi della vostra cacca. Un occhio esterno è sempre utile per individuare delle lacune tecniche, strutturali, qualche pecca stilistica, delle banalità che a voi sembrano originalissime.

Il famoso lettore ideale per cui ognuno dovrebbe scrivere e dal quale dovrebbe farsi giudicare costantemente.

Sì, riuscire a essere editor di se stessi, senza banalizzarsi ma riconoscendo i propri limiti e le proprie mancanze… essere spietati.

Domanda personale a bruciapelo: romanzo preferito?

Difficile questa. Direi Il processo di Kafka: uno scrittore che scatena vertigini che ti tira su. Ma anche Uomini e topi di Steinbeck e Il giovane Holden, ho imparato a leggere su quel libro. Non le lettere, ma il libro: capire che dietro le parole ci sono altre cose. Un altro senso oltre la storia. Il libro che mi ha fatto innamorare della letteratura poi è Finzioni di Borges. Vedi, è difficile citarne uno solo?

Borges. Kafka. Mi viene in mente Pessoa, cosa ne pensi?

Una vertigine che ti tira giù. Pessoa non lo puoi leggere se sei triste. Istigazione al suicidio.

Ma come ci sono anche scrittori che non puoi leggere mentre scrivi. Io per esempio non posso leggere Vonnegut perché è uno scrittore fantastico, che mi entra sotto la pelle, e allora mi viene da scrivere come lui, solo che poi i risultati…

Quindi certi autori non andrebbero letti durante la scrittura. Ogni autore ha le sue fobie/follie durante il periodo della scrittura, quali sono le tue?

Mah, direi nessuna fobia. Non leggo Vonnegut e scrivo di notte perché lavoro durante il giorno e poi credo, o forse mi illudo, che dal silenzio mi vengano più idee. Ah, la penna nera. Sì, ecco, una fissa. La penna nera.

Quindi scrivi a mano, sei vecchia scuola.

Sì, è una scocciatura ma ha anche un vantaggio. La lentezza ti spinge a rallentare il pensiero, valutare meglio quello che stai per scrivere, scegliere le parole. Poi rileggendoti e ricopiandoti ti accorgi di tante sciocchezze che hai scritto.

Altra domanda a bruciapelo: cosa ne pensi del Nobel a Bob Dylan?

Sono assolutamente e straordinariamente a favore. Secondo me è stata una delle voci letterarie, e sottolineo letterarie, più eccezionali del XX secolo. Io ho imparato l’inglese americano con le canzoni di Bob Dylan, un inglese straordinario, colloquiale e letterario, con un grande immaginario. Molto meglio un Nobel a Bob Dylan, che non ad alcuni scrittori noiosi che sono stati premiati magari per sottolineare delle svolte politiche… se vuoi ti faccio qualche nome.

Io non ti ho detto niente, dillo tu.

Herta Müller. Molto meglio un Nobel a Dylan.

La letteratura come qualcosa di più vasto della semplice narrativa o poesia. Intesa come tutto ciò che ha a che fare con le parole e l’immaginario.

Sì, un Nobel mancato è quello a Schulz, ideatore dei Peanuts. Ha dato una dignità al fumetto che prima di allora mancava.

Il fumetto e i libri: era abitudine, oggi un po’ meno, quella di considerarli lontanissimi: quasi che chi leggeva libri dovesse vergognarsi di acquistare fumetti. Un sottomondo, quello del fumetto, rilegato in fondo alle librerie, negli angoli bui.

Ecco, secondo me adesso siamo in una fase di transizione. Per motivi anche commerciali oggi stiamo vivendo un boom della graphic novel: viene pubblicato un po’ di tutto, cavalcando una moda che però forse passerà. Il mondo del fumetto meriterebbe comunque un posto più in alto.

Da abbonato a Linus, non posso che essere d’accordo. Bene, il consiglio agli esordienti l’hai già dato.

Spero di non aver demolito qualche speranza.

No, non credo. In fondo chi scrive deve essere consapevole del mondo in cui vive. E i rifiuti sono parte integrante, così come le dinamiche editoriali. Piuttosto, cosa ne pensi del crowdfunding e del self pubblishing o della ricerca attuale degli editor di nuovi talenti su piattaforme come Wattpad?

È un fenomeno in pieno sviluppo, può succedere di tutto. Siamo in una fase ancora di evoluzione: secondo me il tramite dell’editore esiste ancora, è molto forte, necessario per dare dignità a un lavoro. Come nella musica vale per la figura del produttore. È un mestiere fondamentale, quello dell’editor: pensate a Carver senza il suo editor… non avremmo avuto Carver.

Già, Carver in alcune lettere ha dimostrato grande gratitudine per il proprio collaboratore.

Leggete l’opera editata e poi quella originaria: vince la prima, senza dubbio. L’editor ha reso la scrittura di Carver quella che è oggi. Le case editrici esistono per un motivo, così come gli editor, nonostante il male che ne ho detto nel libro.

Forse quello che maggiormente manca adesso per gli editor sono i talent scout, dei canali dove andare a pescare con una maggiore affidabilità dei talenti. Nel mondo della musica ora esistono i talent show, più o meno affidabili ma che garantiscono un minimo di riscontro con il pubblico. Nella scrittura però il web, che ha sostituito le riviste letterarie dove gli esordienti di talento venivano pubblicati, non garantisce un filtro adeguato. È troppo democratico, tutti possono scrivere. Diventa impossibile o quasi, beccare quello bravo, che vende e che fa letteratura.

Le riviste oramai sono diventate di nicchia e il web è all’inizio del suo lavoro, tutto può ancora cambiare. Una fase di transizione.

Bene, direi che abbiamo finito.

Grazie mille, allora.

Grazie a te, anche perché, insomma, hai scritto un libro sui rifiuti… che accettassi quest’intervista non era poi così scontato!

Sarebbe stato un colpo d’artista: no, non voglio fare l’intervista perché Bookabook non mi piace!

Spengo il cellulare, guardo il foglio bianco e penso: magari avessero rifiutato i miei lavori con parole simili, avrei avuto un libro da scrivere. Voi, invece, andate in libreria e distinguetevi: non mandatevi le schede via WhatsApp, ma comprate il libro. Anzi, se volete, regalatelo. Ne vale la pena.

Francesco Spiedo
Francesco Spiedo, sangiorgese classe ’92, istruttore di Kung-Fu e laureato in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio. Ha pubblicato racconti sparsi e romanzi misti, ama la definizione scrittore emergente e guai a chiamarlo esordiente. Frequenta il corso annuale a Belleville – La scuola con la speranza di entrare nella vecchia e cara Repubblica delle Lettere. Nel frattempo scrive per la testata giornalistica online Libero Pensiero, occupandosi principalmente di ambiente, e collabora con Bookabook, senza apparenti meriti letterari.
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