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La ragazza che fece un salto alla fiera e scomparve (i vostri finali!)

La ragazza che fece un salto alla fiera e scomparve

CONTEST LETTERARIO

Una grande passione, scrivere. E leggere, naturalmente. Due inclinazioni che si possono coltivare in un mucchio di posti: dal bar di una stazione di provincia, all’intimità della propria scrivania. Ma la fiera dell’editoria indipendente a Milano… beh, quello è un posto un po’ più indicato degli altri.
Così Lei decise di spendere la domenica mattina districandosi tra stand, pile di libri, confusione incalzante. C’era una sorta di disordine ordinato: copertine come macchie di colore facevano da tappezzeria al lungo corridoio dell’ex Ansaldo, dove era ospitata la fiera.
Lei prese il coraggio a due mani e si avvicinò allo stand di un editore. Aveva paura che non sarebbe stata neppure ascoltata, o peggio, che sarebbe stata ascoltata distrattamente. Come molti altri, anche Lei aveva il suo sogno, il suo manoscritto chiuso nel cassetto. Lo aveva fatto leggere solo agli amici. Un lavoro lungo tre anni. E invece l’editore le rivolse subito un sorriso. Qualche convenevole, una stretta di mano… i due si misero a chiacchierare. Del suo libro, certo: una storia di conflitti attuali, trasposti in un presente parallelo e in un futuro alternativo, tra armi avveniristiche e scontri di civiltà. Una trama che all’editore ricordò Ballard, Vonnegut e persino La svastica sul sole di Philip Dick. Mentalmente l’editore lo etichettò come distopia, e come “ha del potenziale”. Senza dubbio lo aveva colpito e interessato. Touché. Eppure l’editore ebbe la vivida sensazione, sotto le luci al neon della fiera, che quello di Lei non fosse solo un romanzo. La conversazione divenne fitta, poi fu interrotta per quella che doveva essere una breve pausa. L’editore rispose alla domanda di una collega, o forse passò una comitiva di bambini vocianti. Quando si rigirò, Lei era scomparsa.

Come continua la storia? Quella di Lei, quella dell’editore, quella del suo libro…

Ci sono arrivati moltissimi finali per questa storia: ecco i migliori!

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[krown_accordion_section title=”La versione di Sandro”]

L’editore si guardò attorno, ma della ragazza nessuna traccia. Si grattò la testa e una serie di dubbi affollarono la sua mente. Aveva forse commesso l’errore di comportarsi in maniera poco gentile? Oppure la ragazza era più timida di quanto appariva? Oppure semplicemente aveva visto qualcosa che aveva attirato la sua attenzione e nella fretta aveva dimenticato il libro?

Sicuramente sarebbe tornata a riprenderlo e nell’attesa l’uomo decise di prendersi una piccola pausa per sfogliare quel libro. Si recò presso uno dei bar della fiera, ordinò un cappuccino con cacao e si sedette a uno dei pochi tavolini liberi. Accanto a lui, due giovani stavano studiando la mappa della fiera, discutendo quali stand dovevano ancora visitare. L’editore nonostante la gente attorno, trovò la concentrazione per immergersi nella lettura. Non fu difficile, dato che la storia aveva un che di magnetico. I temi sui conflitti erano terribilmente attuali e vedevano una ragazza impegnata in un’eterna fuga dopo che era venuta a conoscenza di verità scomode. Aveva trascritto in un libro le sue scoperte per essere sicura che non andassero perdute, ma andavano affidate a delle mani sicure, vista la posta in gioco tremendamente alta. La sua fuga l’aveva portata niente meno che alla Fiera dell’Editoria Indipendente di Milano. Chi la stava inseguendo, avrebbe avuto difficoltà a trovarla in mezzo a tutta quella folla e con un po’ di fortuna avrebbe lasciato il libro con le sue scoperte a qualcuno di fidato.

L’editore a leggere quelle ultime righe, strabuzzò gli occhi per la sorpresa. La ragazza doveva aver sicuramente pianificato a lungo la partecipazione a quell’evento. L’uomo avrebbe voluto complimentarsi subito per l’idea brillante. Se voleva stupirlo, c’era sicuramente riuscita. Prese un segnalibro da una tasca della giacca per non perdere il segno e cercò la data di pubblicazione del libro e chi lo aveva stampato. Non trovò alcuna traccia e si stupì nel constatare che il libro non sembrava fresco di stampa. Il suo demone da lettore incallito ebbe il sopravvento e l’uomo continuò a leggere la storia.

La donna dopo un lungo girovagare tra gli stand e discussioni con editori non sempre cordiali, aveva finalmente trovato una persona di cui sentiva di potersi fidare. Avrebbe voluto rivelargli qualcosa in più, ma voltandosi riconobbe uno dei suoi inseguitori e fu costretta a scappare, lasciando l’unica copia del libro nelle mani di un editore conosciuto solo pochi minuti prima, ma di cui sentiva di potersi fidare. Camminò a passo spedito tra gli stand nel tentativo di sfuggire e approfittando della folla, riuscì a nascondersi in un angolo. Vide i suoi inseguitori mentre continuavano a cercarla, ma lì sarebbe stata al sicuro. Chiuse un attimo gli occhi e riprese fiato. La stanchezza per quell’interminabile fuga si stava facendo sentire e ormai sentiva di essere al limite.

L’editore fu costretto a interrompere la lettura, quando sentì delle urla. Una ragazza era stata appena uccisa.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Laura”]

Lei ora camminava veloce alla ricerca di una boccata d’aria.

L’odore della carta e il vociare della gente erano diventati improvvisamente soffocanti, quasi come nemici.

Lei sapeva esattamente cosa stava succedendo, arrivava sempre in quel modo, come una morsa tra testa e cuore, una sorta di disconnessione con il mondo reale e un bisogno urgente di respirare.

Cercò un’uscita di sicurezza tra gli stand e trovandola ci si infilò dritta, quasi correndo.

Aria, luce naturale, respiri aritmici prima, poi lentamente più calmi.

Accanto a Lei c’era una donna seduta a terra, gambe incrociate, un libro tra le mani e un sorriso quasi ebete stampato sulla sua faccia rivolta verso il sole.

Mentre Lei cercava di riprendere fiato la donna sfogliava avidamente il libro che aveva tra le mani, lo chiudeva e lo riapriva, quasi lo accarezzava.

La donna seduta a terra notò Lei appoggiata ad un muro e le chiese se andava tutto bene.

No, non andava tutto bene.

Lei era sul precipizio di una crisi di panico, Lei era rossa in viso e…

La donna si sollevò da terra e andò incontro a Lei che continuava a tacere nel tentativo di recuperare il ritmo del suo cuore.

Le due donne si ritrovarono accanto e senza parlare avvertirono tutta la tensione di quell’incontro certo non occasionale.

La donna avvicinandosi a Lei le porse il suo libro, quasi glielo mise tra le mani.

Lei prese quel libro e ne osservò fugacemente la copertina che era nei toni dell’azzurro e blu.

Istintivamente Lei portò quel libro dalle mani verso il suo viso e si ritrovò a compiere un gesto famigliare, che aveva fatto molte altre volte.

Lei stava annusando un libro, il libro di quella signora che ora sorrideva e la osservava rapita.

Che odore ha un libro?

Lei lo sapeva molto bene.

I libri hanno l’odore del tempo in cui li hai letti, come i libri delle favole che profumano di borotalco e unguento alla canfora, quello che tua madre ti spalmava sul torace quando avevi la febbre da bambina.

I libri sanno di giovinezza quando le favole si facevano saghe avventurose nelle adolescenze di molti ragazzi.

I libri sanno d’amore quando il romanzo della tua vita diventa terreno fertile su cui piantare parole d’amore.

I libri sanno di saggezza quando l’amore lascia il posto alle parole dei manuali per sopravvivere alla vita stessa.

Lei lo sapeva molto bene ma sapeva anche che i libri talvolta profumano di delusioni, di rifiuti, di illusioni.

La donna chiese a Lei che profumo aveva quel libro.

Lei respirò profondamente e chiudendo gli occhi rispose: “il profumo di un sogno”.

La donna sorrise e invitò Lei a rientrare dentro la fiera per farle conoscere la strada di quel sogno.

La confusione ora era un piacevole mormorio di voci allegre, la gente non faceva più paura e neppure i sogni nel cassetto.

Le due donne si avviarono verso uno stand che Lei aveva appena visitato.

Quello stand, quello.

Quell’editore, proprio Lui.

Come in un cerchio magico che si chiudeva per abbracciare un sogno.

Il sogno di Lei e del suo libro.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Maurizio”]

La ragazza mentre parlava con lui ripensava continuamente a quei quattro vecchi che aveva visto in quel bar del Giambellino, sotto casa sua, andando verso la metro.

Chissà quale dei quattro era quello che chiamavano Drago?

Le risuonava in testa continuamente la vecchia canzone di Gaber…

Ascoltava l’editore, notava che quello la stava guardando con occhio interessato, voleva capire se il suo interesse fosse focalizzato sulle sue parole o sulle sue tette, ma non riusciva a sua volta a concentrarsi; pensava al Drago…

Quando quello si distrasse non ce la fece più, si alzò e si allontanò in fretta, si diresse velocemente verso la metropolitana, quaranta minuti dopo era di fronte al bar del Giambellino, esitò un istante prima di entrare.

Tre dei quattro vecchi sollevarono lo sguardo nella sua direzione, il Drago non distolse gli occhi dalle carte da tressette che scrutava concentratissimo.

Rimase con lo sguardo fisso su di loro un momento di troppo, corse velocissimo l’attimo in cui il Drago la vide.

“Anna! Finalmente sei tornata…”

Lei rimase muta, le parve di conoscerlo da sempre.

“Ragazzi, mi dispiace, devo interrompere, ci vediamo domani.”

Si alzò, coprì con passo fluente quei pochi metri di distanza che lo separano dalla ragazza, la abbracciò, pagò il conto ed uscirono insieme.

La ragazza era come in trance, completamente assoggettata alla volontà del Drago.

Mentre in silenzio si dirigevano verso l’ingresso di una casa di ringhiera la ragazza stava rivivendo la sua vita.

Gino camminava deciso, nonostante i settanta passati era un bell’uomo alto ed atletico, la ragazza faticava quasi a tenere il suo passo, poi parlò:

“Anna, quella sera la Lambretta la rubai per correre da te. Quella sera quando la madama mise in moto, attaccò la sirena e mi rincorse capii che non ti avrei più rivista, mi strinsero contro le murate dei navigli!”

La ragazza ascoltava rapita.

“A San Vittur a ciapaa i bott, dormì de can, pien de malann!…

Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì, quaranta nott, sbattuu de su, sbattuu de giò: mi sont de quei che parlen no!”

Lei si rese conto di essere uscita dalla realtà quando in strada le passò accanto un biker su un sidecar Harley, nel carrozzino c’era un caprone con una lunga barba.

“Ciao Bronson!” urlò Gino

“Ciao Drago!” rispose il caprone con voce stentorea.

La ragazza alzò gli occhi e vide il cartello di POSSIBILANDIA, aprì il pacchetto di Tuc, bastò sgranocchiarne un paio, quel senso di debolezza che l’aveva invasa svanì, insieme a Cerutti Gino detto il Drago e al caprone Bronson.

La fame a volte fa brutti scherzi…

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[krown_accordion_section title=”La versione di Fabrizio”]

Come ha detto di chiamarsi? Non l’ha detto, oppure me lo sono dimenticato… possibile che me ne sia dimenticato? Sono vecchio del mestiere, ma non così vecchio da… La storia che mi sono raccontato in terza persona, Lei e l’Editore, è già finita come tutte le mie illusioni? Di che cosa abbiamo parlato per non parlare d’amore? Non me lo ricordo più, ricordo solo il suo sguardo: “i tuoi occhi sono fari abbaglianti e io ci sono davanti”, così cantava Mal dei Primitives, mio primitivo coetaneo. Mi sento un relitto cartaceo galleggiante in un oceano di e-book. Lei mi ha raccontato il suo libro, ma ora tutte quelle parole immaginate si sono sciolte in poltiglia, mentre mentalmente tento di rileggerle con sguardo umettato di lacrime. “È pioggia o pianto, dimmi cos’è”. La fiera è finita, amici e nemici se ne vanno, che stupida giornata. Lei si è eclissata e, dileguandosi, s’è tirata dietro non solo la sua storia, ma anche la mia, disegnate tra i ghirigori della vita occultata nella trama di un tappeto persiano. Esco dalla ex Ansaldo e mi ritrovo ex editore… volevo dire ex seduttore. Sedotto e abbandonato, cammino a passo da pinguino in frac verso un locale sui Navigli dove possa affogare in un bel bicchierone di Mondadori sbagliato. Naturalmente, mi portano il solito Negroni. E poi un altro e un altro ancora, malamente tamponati dal cibo caricaturale propinato a ogni mesto happy hour. Finisco riverso più che appoggiato alla mia sedia con vista sui rifiuti nel canale. E sento voci e fiato alitarmi sulla nuca: è lei, Lei, è la sua voce! Non riesco a far perno sul collo per girarmi: tutto sommato, è meglio così. Lei sta parlando di me: sta parlando con un uomo, riconosco anche lui, Lui, lo riconosco dalla sua risata sciocca, è proprio Lui, il brillante editor di un cosiddetto colosso editoriale. Lei, l’aspirante, gli sta riferendo di aver applicato con me, “il vecchio indipendente”, la strategia con Lui concordata; ora, specifica l’editor, dopo avermi “intrigato e ingolosito” (si esprime proprio così!), si tratta di farsi desiderare e poi di riapparire a sorpresa e, preso all’amo, fiocinarmi e incastrarmi con non so che contratto capestro – sento il collo contratto già infilato nel cappio… Mi sembra il caso di tagliare la corda. Maldestro, alzandomi rovescio il tavolino. Lei si accorge di me e rimane un momento interdetta. Con tutta la dignità che mi resta, zampetto verso la Darsena. M’insegue una camerierina-giovane-e-carina: non ho pagato las bebidas de la hora felix. Mi guardano tutti, editor compreso. Dico a Mirandolina: — Di sicuro, ha anche lei un romanzo nel cassetto, vero? —. Nega. Pago: come mancia, scarabocchio su un tovagliolo un bel contratto. — Adesso ce l’ha; se non ha voglia di scriverlo, le procuro un ghost writer, signorina. Venga a trovarmi in casa editrice per i dettagli: le assicuro che l’anno prossimo concorrerà al Premio Strega—. Mi regala un sorriso liquoroso. Lei sta sussurrando qualcosa all’orecchio dell’editor. Bye bye a Lei.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Alessandra”]

Scomparsa perché in un attimo era come se la sua bolla magica custodita gelosamente nel cuore, stesse pian piano venendo a galla. Forse in quei brevi ma intensi scambi di pensiero con l’editore, qualcosa dentro di lei si era mosso più del dovuto. Il fatto è che in un lampo, il suo cervello si intasò di materiale da elaborare. La sua difesa migliore a quello stato emotivo, era la via di fuga. Così, preferì dileguarsi approfittando della rumorosa condizione in cui si trovava. Una reazione istintiva… immediata. Non era abituata a parlare di sé, di ciò che pensava, di quello che sentiva e il solo fatto che l’editore, avesse intuito qualcosa di più intimo, qualcosa che andava oltre il suo libro, le fece stringere il cuore in gola. Ovviamente, però, curiosa come era, si nascose in un angolino appartato dietro lo stand per riuscire a capire meglio il comportamento di lui. Lei, era solita cercare di comprendere l’atteggiamento quotidiano delle persone con cui voleva stringere un rapporto di fiducia, una sorta di piccolo test per la persona prescelta. Dai suoi occhi, pian piano che lo osservava chiacchierare con i passanti, prendeva forma un Lui dall’aria affabile, sensibile, amabilmente dolce. Aveva un modo così gentile e così raffinato di rapportarsi con gli altri e la sua bocca era spesso mossa da piccoli sorrisi, brevi ma di un colore sincero. Gli occhi erano attenti, curiosi, e mentre parlava, non perdeva mai di vista lo sguardo dell’altra persona. Per lei questo era un forte segno di sincerità. Decise allora di dialogare un attimo con il suo cervello e di ascoltare il cuore. Capì che quell’editore prima di tutto era una persona buona, profonda. Il suo istinto da cacciatrice di cuori, glielo aveva fatto notare fin da subito. La paura le era stata amica, voleva fargli riconoscere la persona giusta… la persona che da tempo stava cercando. Il suo mondo ora, pensava, poteva essere condiviso con qualcuno che lo avrebbe saputo accogliere. Si alzò dallo scalino su cui si era appoggiata, riprese ancora una volta il coraggio a due mani e si riavvicinò allo stand. L’editore la notò subito, ci fu uno sguardo tra i due… uno sguardo che profumava di penetrante intesa. Lei non disse nemmeno mezza parola, lui aveva già capito tutto. Delicatamente le prese il libro dalle mani, e glielo avvicinò al petto. Subito dopo avvicino la sua bocca all’orecchio e le sussurrò: “Ho capito… ho capito che quello che mi stavi presentando sotto forma di semplice libro, in realtà per te, è il racconto intimo della tua visione di vita. Il racconto vissuto sulla pelle di pesanti lacrime, amari dolori e di assoluta incredulità per questo tipo di società in cui vivi. Qui dentro, c’è la tua folle ricerca di verità, la tua incessante voglia di scoprire l’anima delle persone e di vedere se possono essere compatibili con la tua”. Detto ciò, delicatamente la guardò… lei pianse, lui la abbracciò. Il libro partorì così la sua vera realtà.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Nadia”]

La ragazza era solo più un ricordo indefinito nella mente dell’editore. Sfumato via via che passavano i secondi. “Strano”, pensò “ eppure qualcosa di incompleto è rimasto nell’aria”. Ma la fiera imperversava con ospiti petulanti e curiosi, così ricominciò a rispondere alle richieste lasciando scorrere le lancette.

Nel frattempo la storia viaggiava da sé ai confini del tempo e non voleva solo essere, ma pretendeva soprattutto di esistere anche altrove. Poter rimbalzare dalle pagine del libro, le avrebbe concesso la libertà di venire aperta in luoghi diversi, sparsi per il mondo, in mani callose, lisce, stanche o riposate. Ovunque avrebbe seminato la sua intenzione, trasformandosi in realtà e, attraverso un libro, l’avrebbe realizzata.

La ragazza null’altro era, che lei stessa trasformatasi per convenienza nell’unico mezzo per diventare concreta. Da una bancarella all’altra mostrava il manoscritto cercando di carpire dalle sole parole il migliore offerente che le avrebbe concesso la tanto agognata stampa, seminando in ognuno il tarlo dell’interesse. Da uno stand variopinto a uno silenzioso ripeteva imperterrita la richiesta di attenzione. Finito il giro aspettò chi per primo riuscisse a dipanare il velo di smarrimento, riconoscendo l’occasione della vera buona storia.

Trasparente, silenziosa e paziente la ragazza rimase in disparte. Nella sua forma umana sentiva crescere l’esigenza di ricevere una risposta, l’emozione di un sì appagante, ma certa di non dover affrettare i tempi, lasciò che tutto accadesse da sé.

Intorno era un vociare gioioso di mille diversi timbri, chi cercava, chi trovava, gente che correva, altra che sostava. Un variopinto carosello attratto dalla fiera e dalle immense novità che conteneva. Con lo sguardo percorse parte del perimetro, oltre la linea del suo orizzonte le bancarelle proseguivano in una sorta di mondo infinito non percepibile dagli occhi.

Come poteva sperare di trovare posto lei, in tutto quell’universo di materiale?

Come poteva non trovarlo visto che non riusciva a individuarne la fine?

Sorrise e cominciò a dissipare i dubbi, facendo volare i pensieri. Serena e leggera ritornò per un istante al momento iniziale in cui era stata la storia, in cui l’aveva sentita nascere e crescere dentro fino a perdercisi per poi ritrovarsi. Mano a mano che la sua memoria tornava al passato in lei accadeva qualcosa di inspiegabile. A un tratto l’intero salone si illuminò di una strana luce abbagliante.

In un angolo, in disparte stava una ragazza, timida, silenziosa e sorridente con in mano un plico. A un tratto il primo editore con cui aveva parlato le si avvicinò.

“Sono giusto alla ricerca di nuova linfa per scuotere il mercato e qualcosa mi dice che potresti essere tu l’avventura che aspetto ”.

La speranza e la certezza di aver trovato terreno per far germogliare la giusta curiosità, erano pur sempre una promettente partenza, perché il resto avvenisse da sé serviva la fiducia e la lettura del libro.

Gli sorrise porgendoglielo.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Valinetta”]

“Ma dov’è finita?” non poté fare a meno di esclamare l’editore ad alta voce. A quell’esclamazione, la sua collega di stand, che ora gli dava le spalle perché alle prese con le domande di un gruppo di matricole alla loro prima visita alla fiera, gli chiese con chi ce l’avesse. “Con la ragazza di questo manoscritto che era qui fino a un momento fa” rispose con voce inebetita dal recente e inaspettato avvenimento l’editore. Compreso che non ce l’aveva con lei, la collega riportò subito l’attenzione sui suoi studenti, senza prima aver lasciato cadere nella loro frettolosa conversazione un “ma di quale ragazza parli?”.

In un lampo la fiera si fece gremita di visitatori, ma non c’era da stupirsene, era arrivata l’ora di punta, come sapevano bene gli addetti ai lavori, e, suo malgrado, l’editore dovette accantonare il libro della misteriosa ragazza per dedicarsi ai numerosi avventori che si fiondavano al suo stand. Non gli riuscì di riprendere in mano il manoscritto se non a fine giornata, quando la gran parte della gente era ormai sfollata, sebbene, per tutto quel tempo, il libro abbandonato avesse continuato ad attrarre a sé la sua mente con la forza di una potente calamita.

Invano aveva sperato che Lei tornasse sui suoi passi, e l’alone di mistero che la circondava, mescolato alle decine di volti che si erano succeduti davanti ai suoi occhi durante quell’intensa giornata, ne offuscava persino il ricordo. Non avrebbe saputo descriverla e incrociandola di nuovo, magari per strada o comunque in un altro contesto, probabilmente non l’avrebbe nemmeno riconosciuta. E se non ci fosse stato il manoscritto a testimoniare il contrario, avrebbe persino dubitato che il loro incontro fosse mai avvenuto e che la ragazza fosse stata reale.

Lei intanto era giunta a casa da molte ore e benché quella mattina fosse stata più volte sul punto di mandare a monte il suo piano, si era ormai persuasa che avesse fatto bene ad adottare quel comportamento con l’editore.

Durante la stesura del suo libro, infatti, le era balenata in mente l’idea di nascondersi dietro il suo scritto. E passaggio dopo passaggio quell’idea si era rafforzata sempre di più. Un escamotage adoperato per mettere alla prova la bontà della sua opera che, se fosse stata veramente tale, sarebbe stata capace di camminare con le proprie gambe senza avere dietro di sé un autore che come un burattinaio ne decidesse i movimenti.

Al dunque, quella mattina, non era stato così facile attuare il suo piano, ma più per obbedienza a un ordine che da tempo si era imposta che per sincera convinzione, aveva sfruttato quella piccola distrazione dell’editore per sparire per sempre dalla sua vista e dalla vita del suo libro.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Roby”]

Al suo posto, appoggiata al bordo del tavolo dove un attimo prima era appoggiata la natica destra di lei, apparve una risma di carta.

Tra lo sconcerto e la curiosità, l’editore allungò il collo sudato e lesse le uniche due righe sulla prima pagina, evidentemente il prodotto di una vecchia e sgangherata macchina da scrivere, vista la sbavatura dell’inchiostro e le file di caratteri leggermente disallineate: IL VIAGGIO NEL TEMPO e, immediatamente sotto, TEORIA E PRATICA. Nessun autore.

Pensando ad uno scherzo, l’editore scrutò velocemente i visi nella folla, cercando quello della ragazza in fuga, o almeno la sua chioma di un rosso così acceso che era impossibile non notarla anche a distanza; arrivò a inginocchiarsi per sorprenderla sotto il tavolo, ma niente da fare, era svanita nel nulla.

Tornato in superficie, afferrò il corposo manoscritto, rilesse il titolo e senza dare nell’occhio lo nascose dietro una pila di libri, controllando che il suo collega non lo stesse osservando; e mentre teneva questo atteggiamento circospetto, da agente segreto, l’editore si osservava dal di fuori e rimaneva esterrefatto dal proprio torbido comportamento.

Stava davvero rubando il manoscritto di qualcuno? E se quel qualcuno fosse venuto a reclamarlo, di lì a poco, come si sarebbe giustificato?

Avrebbe incolpato una generica bella ragazza dai capelli rossi che si era volatilizzata davanti ai suoi occhi?

“Stai tranquillo”, disse una vocina nella sua testa. “Nessuno vorrà indietro quel manoscritto. La rossa l’ha lasciato a te. Te l’ha voluto donare. È arrivata da un altro tempo e si è diretta a un altro tempo. Il manoscritto non è suo, ma l’ha letto, l’ha capito, e l’ha messo in pratica”.

Così si spogliò della giacca, la adagiò sul manoscritto dietro alle colonne di libri e, sfoderando il suo sorriso più falso, si lamentò del caldo e dell’effetto serra con alcuni potenziali clienti che bazzicavano intorno al suo stand.

E per il resto della giornata rimuginò di viaggi nel tempo e inspiegabili sparizioni, contando i minuti che lo separavano dalla solitudine del suo appartamento e dal comfort della sua vecchia poltrona, su cui finalmente avrebbe potuto dedicarsi a quella curiosa materializzazione.

Nessuno venne a reclamare il manoscritto, né la rossa, né nessun altro.

L’editore apprese ben presto che il tempo non è una linea, né una serie infinita di linee parallele, ma una sfera luminosa da cui partono infiniti raggi di realtà. Apprese che per viaggiare nel tempo bisogna essere rigorosamente a stomaco vuoto. E nudi. E molto attenti.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Mara”]

Eppure la cosa non era strana in sé. L’editore pensò che Lei avrebbe proprio dovuto sparire e farlo proprio in quel momento. Perché proprio in quel momento si era aperta quella porta temporale che lo accompagnava spesso nelle fiere dell’editoria indipendente.

Non sapeva come mai, ma sapeva che ogni qualvolta, all’interno di una fiera, era stato avvicinato da qualcuno con del potenziale, quel qualcuno era sempre sparito accanto a lui. Per la maggior parte erano donne, spesso donne sole con grandi storie per le mani. Storie che appena raccontate aveva avuto voglia di rubare. Perché le sentiva sue, perché voleva fossero sue. La sua casa editrice a poco a poco era diventata famosa per i tanti libri i cui autori, sconosciuti, parevano volutamente voler rimanere sconosciuti. Un’idea che aveva cominciato a rendere una fortuna. Nomi di fantasia, nessuno che reclamasse diritti d’autore. Solitamente erano belle donne, introverse, sole.

Tutte quelle donne erano nella sua mente, nello spazio temporale che la sua stessa mente aveva creato. Anche Lei sarebbe entrata nella sua schiera di autrici. Il suo libro aveva del potenziale…

Si stupì però quando la rivide, esattamente come qualche ora prima. Lo stesso abito, lo stesso sguardo, la stessa espressione di prima.

Quando si avvicinò Lei disse la stessa frase di prima:

— Buongiorno, ho un libro nel cassetto —.

La guardò attento, probabilmente nello stesso modo di prima, questa volta con fare più sorpreso che interrogativo, probabilmente.

Solo che questa volta Lei aveva una espressione diversa, impercettibilmente diversa.

Come una consapevolezza.

E uno sguardo meno dolce di prima, c’era qualcosa di diverso, qualcosa di duro in quegli occhi.

Qualcosa nella porta temporale non aveva funzionato.

Ricominciarono a ripetere le stesse frasi di prima, solo che sembrava che Lei non si accorgesse di quanto stava succedendo.

Lui pareva essere l’unico ad aver capito che c’era qualcosa di strano in tutta quella faccenda.

— Ho qui il libro —.

Disse lei quasi sospirando. Lo tolse dalla borsa e glielo porse. L’editore lo prese con la mano che impercettibilmente cominciò a tremare. Lo sguardo di lei cominciava ad avere strani bagliori, quasi fossero dei lampi in un cielo che non era più così limpido. L’editore lo aprì a caso. Lesse alcune frasi. E capì che quel libro parlava di lui, di lui e delle donne che lui aveva fatto entrare nel suo mondo. Parlava della porta temporale, parlava di guadagni ai danni di donne sole, belle, con un libro nel cassetto. E parlava di come l’Editore fosse stato risucchiato dalla sua stessa porta temporale un giorno di primavera, in una fiera dell’editoria indipendente, in quel di Milano. E parlava di una giovane scrittrice che si era avvicinata all’Editore per proporgli un libro da pubblicare, un libro che non era solo un romanzo… Un libro, una porta temporale, un mondo popolato di donne che scrivono. E un Editore rimasto solo dalla parte sbagliata della porta. Prima o poi le parti si invertono.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Acirne”]

L’editore fu sorpreso, e lasciò la sua collega sola allo stand. Intravide una figura, assomigliava a Lei, la voce sinuosa lo portò via, via dal salone. Si ritrovò immerso in un altro salone, aperto. Nome: Mondo. Tutti erano piccoli,ma leggevano scrivevano, disegnavano. Non c’erano macchine, non c’era rumore: solo sorrisi e profumi di fiori. I bambini così come li vedeva lui, erano intelligenti brillanti. Ma non erano solo bambini. Nel mondo di prima erano chiuse, le loro abilità, in un’etichetta: Disabilità.

Qui no. Tutti facevano ciò che potevano in grande armonia. Non armi, né guerre, né odio, né competizione. Vide le sue mani rimpicciolirsi, si spaventò. Una gran folla si era radunata al bar del salone del libro. Mormorava la gente “Che gli é preso? Perché correva?”. I muri soffocanti circondavano il cerchio di persone, sudate affannati respiri senza sogno. “Non devi ritornare in questo incubo”. La voce lo destò, ma non vide Lei. Cercò lo sguardo, trovò dopo il libro, aperto; quella foto… lì in quella foto… Era possibile? Stropicciò gli occhi, Diana premurosa “Perché sei scappato via? Bevi,ti farà bene”. Una vocina in testa o dietro i muri “No, non é vero. Questo, tutto non è vero. Nessuno l’ha capito. Trova Lei”. “A che pensi?” disse Diana. “Quel libro era in uno scatolone in fondo al magazzino. Dovevi buttarlo via. Non ti piaceva”. La rivide Diana, con le gote rosse e i capelli vermigli. Lo impressionò. Un sorriso smeraldato… sentì una fitta, come quand’era piccolo, e non sopportava le bugie. “Il libro!” fu la sola parola. “È impazzito Michele!”. Le voci erano maligne, ferivano come le spine. “E che ti frega? Più commercio per noi. Nessuno vorrà un editore che sviene”. Chi erano le persone attorno allora? Avevano i capelli bianchi, Michele, un Geppetto dell’editoria. Eh sì. Mai si era dato alla tecnologia e spesso accettava manoscritti, oh sì, quelli fatti con la carta e il sudore della china, o di una matita, o di una piccola biro. Il libro in effetti era legato con cordoncini, e i disegni a carboncino e acquerelli, una mano. Diana lo vide pensieroso. Lui negli occhi vide solo l’avidità. Chi aveva sposato? Con chi era? “Avete scelto di essere schiavi, amando la propria schiavitù, l’avete scelta senza opporvi, e quelle comete di stelle” irruppe una risata robotica, dura, forte e snervante. Allora. “Sì, sono morte, le stelle, perché volevano salvarvi”. “No, apri il libro, strappa le pagine, ascoltaci”. “Quei bimbi… giocano?” disse indicando in gruppo. “Producono il vostro divertimento”. Sbalordito, si sentì perso, aveva persino paura di respirare ma cercò il libro, nuovamente nascosto, ma una luce lo guidò. “No, non fatelo avvicinare!”. Persone con cellulari, televisori cercarono di inglobarlo in loro, ma Lui era parte di Lei, ancora non lo sapeva. Uscì, vide una sola piantina in mezzo al cemento e si aggrappò. La mano rimpiccioliva e i vestitini larghi e una luce. Un istante, e vide il libro. “Sei tornato, ora bisogna svegliare gli altri. Ci sono ancora delle stelle, e sono importanti in mezzo a loro. Poche, ma sufficienti: Noi”.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Tiziana”]

Pochi attimi di smarrimento e sorpresa! A nulla era servito chiedere ai colleghi lì vicino se l’avessero vista allontanarsi. Poi, l’editore fu costretto a tornare alle proprie mansioni di rito. Nascosta tra i saluti di cortesia e l’accoglienza al pubblico, rimaneva impressa nella mente l’immagine di quel curioso incontro: se prestava attenzione e inspirava a pieni polmoni l’aria, poteva ancora sentire tra le narici il delicato profumo che aveva percepito standole vicino. Un’essenza pulita, mista al sentore pungente d’inchiostro, come se il manoscritto di cui tanto – ma troppo poco – avevano conversato, fosse stato scritto a penna e le mani si fossero macchiate di liquido scuro; pur accuratamente pulite, quell’odore è difficile da cancellare. L’editore fantasticava sulla calligrafia che potesse avere: le dita strette attorno alla stilografica, in una danza vorticosa di verbi, nomi, punteggiatura. Un suono, a contatto con la carta, rilassante. Lei aveva lo stesso tono di voce, accompagnato da quella determinazione a rincorrere il proprio sogno che all’editore capitava spesso di incrociare. Era sempre pronto a crederci, in ogni storia presentata. In esse poteva ascoltare lo scroscio delle onde di un mare lontano infrante contro una scogliera oppure lo schiocco di un bacio perduto, o ancora, il ringhio famelico di qualche bestia immaginaria. Saggiava il sangue di epiche battaglie, il sudore freddo della paura, le lacrime di sconfitta, dolore, gioia o commozione. Molto altro ancora. L’editore si era sentito improvvisamente rinvigorito e da quel secondo per le seguenti ore non provò alcuna fatica; sfoggiò un sorriso brillante che diede energia ai suoi collaboratori ed entusiasmo anche ai visitatori più schivi.
Ben presto fu sera, la folla si diradava portando via con sé acquisti, speranze ed emozioni. Il disallestimento trascorse a ritmo concitato: gli addetti ai lavori si raccontavano a vicenda episodi più o meno goliardici della giornata e chiudevano i battenti, fino al mattino successivo. L’editore ringraziava i soci, salutandoli si scusava per aver rinunciato alla cena in programma. Di rimando, veniva squadrato da visi che con difficoltà riuscivano a non far trapelare preoccupazione: non era da lui scombinare in quel modo gli appuntamenti. Ma fu per poco, poi ogni gruppo proseguì per la propria strada. L’editore non poteva attendere oltre, doveva fare una cosa importante, non più prorogabile. Giunto nel suo piccolo monolocale, fece a meno del pasto e andò dritto alla scrivania vicino alla finestra. Accese la lampada e il computer, si sedette. Aperta una pagina bianca iniziò a digitare. Di quel mondo parallelo e le sue lotte intestine. Sorrise, proprio come quella stessa mattina. Lei era lì e ricambiava il sorriso.

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[krown_accordion_section title=”La versione di Maria”]

Lei si risvegliò in un letto di ospedale, l’avevano ripresa dopo dieci anni, sapeva che sarebbe riuscita a fuggire ancora, ma non sarebbe riuscita a recuperare le coordinate spazio temporali per tornare alla sua ultima casa, rassegnata si riaddormentò, aveva già superato più volte tutta la trafila, lei proprio non ci riusciva ad abituarsi a quel mondo. Nei mesi a seguire uno stuolo di specialisti le avrebbe fatto il lavaggio del cervello e sarebbe stata reintegrata nelle sue funzioni di responsabile organizzativa dei cloni matrice. Sì, lei e un numero ridotto di altri cloni avevano le cellule adatte per la riproduzione di soggetti manipolati geneticamente, adatti agli ambienti ostili. Era già fuggita molte volte, sarebbe fuggita ancora, gli specialisti non si potevano spingere troppo oltre, non potevano rischiare di danneggiare il suo patrimonio genetico così prezioso, sarebbe stato un odore a farle ricordare tutto, quando sarebbe stato il momento di fuggire ancora.

L’editore non trovandola si era allontanato dal suo stand per cercarla, ma era dovuto tornare subito indietro; era abbastanza dispiaciuto, difficilmente si entusiasmava per un manoscritto e quella ragazza così timida pareva che avesse il tocco, si diede dello sciocco per non averle chiesto l’email o il numero di cellulare, ma non pensava che lei sarebbe scomparsa senza tornare.

Ritrovò il manoscritto della ragazza solo dopo alcune settimane, mentre metteva in ordine il materiale dello stand da portare a una nuova fiera. Si mise a leggere, sperando di trovare un indizio che gliela facesse rintracciare, ma alla fine della lettura sapeva solo come funzionava il mondo descritto dalla ragazza: la classica aristocrazia di origine umana condannata da tare ereditarie, che per sopravvivere si serve di cloni trattati come animali da riproduzione. I personaggi più drammatici erano i responsabili organizzativi dei cloni matrice, figure drammatiche perché non si potevano permettere il lusso dell’oblio per non danneggiare la loro capacità riproduttiva. Il nucleo della storia era la lotta per far pubblicare un libro di denuncia, in grado di restituire consapevolezza a tutti i cloni che si sarebbero rifiutati di essere trattati come animali. L’editore non era riuscito a staccare gli occhi dalla lettura finché non aveva finito. Decise di pubblicare comunque il romanzo, accantonando i diritti d’autore. La ragazza si svegliò quella che pensò la mattina dopo, per l’editore erano cinquecento anni; vide che la porta della sua stanza non era più bloccata, uscì in corridoio dove incrociò un infermiere che non fece nulla per fermarla. Arrivò fino alla caffetteria che ricordava assai bene, sullo schermo un concerto di Mozart, non c’era traccia dei discorsi dei rappresentanti dell’élite, tutti erano rilassati. Capì che il libro era stato pubblicato quando vide sul muro, al posto delle direttive militari, i versi di un’antica poesia: “Quant’è bella giovinezza

che si fugge tuttavia! Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c’è certezza.”

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