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Kaha – La luce prima del sole

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Somalia, anni Settanta. Dopo la presa di potere di Siad Barre, un gruppo di giovani ministri accetta di collaborare con il regime per liberare il Paese dai retaggi del periodo coloniale e dalle divisioni tribali, consapevole che lo sviluppo non può prescindere dal controllo e dal rafforzamento del sistema educativo, e, prima ancora, dall’introduzione della forma scritta per la lingua somala.
Nello stesso periodo alcuni volontari italiani in servizio civile, docenti in una scuola cattolica, cercano invano di adattare l’insegnamento alla realtà locale, incontrando la resistenza della comunità italiana.
Dall’intrecciarsi di questi due mondi nasce un piccolo caso politico internazionale, che getta luce su una realtà e un periodo storico ancora poco conosciuti.

PREFAZIONE
Questo libro è stato scritto una decina d’anni fa, a quarant’anni dalla partenza per Mogadiscio, dove io, Bice e altri amici ci eravamo fermati due anni in servizio civile, secondo le disposizioni della legge Pedini.
Quanto segue è un insieme di frammenti di ricordi, rimasti confinati per tanti anni in qualche angolo della memoria, che ho provato a riannodare partendo da alcune delle lettere che scrivevamo a casa e che le nostre mamme hanno voluto conservare.
Dove la memoria non arrivava ho cercato di sopperire con la ricostruzione storica, sulla base della scarsa documentazione esistente di quegli anni in Somalia.
Per quanto tutti i personaggi siano reali e gli avvenimenti narrati siano effettivamente accaduti, frasi e azioni attribuite ai personaggi del mio racconto sono frutto della fantasia e dell’incerta memoria del narratore.
Questo resoconto non era destinato a uscire dalla cerchia dei miei familiari e degli amici più stretti, e per dieci anni lì è rimasto confinato. Tuttavia alcuni eventi e incontri recenti mi hanno convinto a seguire la strada della pubblicazione, soprattutto per due motivi, che rispondono ai due filoni principali lungo i quali si articola il racconto.

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Il primo è il tema dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. La lusinghiera recensione che ne fece Sergio Albesano, autore della Storia dell’obiezione di coscienza in Italia, ha sottolineato come sia caduta nell’oblio la lunga battaglia di tante persone, negli anni del dopoguerra, per il superamento del servizio militare.
Quanti giovani oggi sanno qualcosa di don Primo Mazzolari, di padre Balducci, di don Milani, degli obiettori di coscienza che affrontarono il carcere per sostenere il diritto a non imbracciare le armi?
È passato mezzo secolo da quegli anni, ma oggi sempre più spesso si sentono proposte di reintroduzione del servizio di leva, presentato come esperienza educativa per i giovani, forgiati alla disciplina e all’onore. Io racconto una storia diversa, e penso che valga la pena lasciarne una traccia.
Il secondo è l’incontro con Kaha Mohamed Aden, che ha risvegliato ricordi, relazioni, memorie che andavano di nuovo affievolendosi. E mi sono convinto che, per quanto piccola e marginale sia la storia che qui racconto, si tratta comunque di una finestra con vista su un periodo cruciale per la Somalia, che lascerà tracce incancellabili anche dopo le lotte e le distruzioni degli ultimi vent’anni.
Erano i primi anni dopo la Rivoluzione di Siad Barre, avvenuta giusto cinquant’anni fa, il 21 ottobre 1969. Tante cose furono fatte da quel governo, molte sono state poi cancellate, ma una, di importanza assoluta, è rimasta: l’introduzione della lingua scritta, che a lungo era stata rinviata, sia nel periodo dell’AFIS (Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia), sia nel primo decennio dell’indipendenza.
Pietro Petrucci nel suo libro Mogadiscio. Un popolo sotto sequestro racconta di un giornalista del Figaro, conosciuto a Mogadiscio negli anni Settanta, che fu veramente colpito dalla scoperta che la lingua somala scritta fu adottata per la prima volta il 21 ottobre del 1972, e così commentò:

Di questa rivoluzione somala non credo che rimarrà molto. Un colpo di Stato domani e si chiudono tutti questi formicai dove si costruisce il socialismo. Ma la lingua scritta è davvero un’altra cosa. Non ho mai visto nulla di simile in nessun angolo dell’Africa. Una lingua vale quanto l’indipendenza nazionale, forse è un mastice ancora più forte e penetrante. Se fossi somalo farei subito un monumento a Siad Barre per questo servizio reso alla nazione e lo manderei in pensione, prima che diventi troppo vecchio e troppo cattivo. [Pietro Petrucci, Mogadiscio. Un popolo sotto sequestro, Rai Libri, Torino, 1993, p. 43.]

I monumenti se li fece da solo e nessuno riuscì a mandarlo in pensione prima che diventasse troppo cattivo.
Ma la lingua scritta è rimasta. E io mi trovavo lì, a Mogadiscio, durante la gestazione.

Bergamo, estate 2019

11 agosto 2019

Evento

Malga Lunga - Gandino, BG L’ANPI di Lovere, nell’ambito delle attività proposte in agosto presso la Malga Lunga, organizza per domenica 11 agosto un incontro di presentazione del mio libro Kaha - la luce prima del sole. Chiacchierata con Giacinto Brighenti e don Bruno Ambrosini. Chi vuole saperne di più, può trovare anteprima e recensioni in questa pagina. ANPI di Lovere
20 Giugno 2019

Aggiornamento

Per ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto la campagna, ma anche tutti i lettori che entreranno in questa comunità in futuro, da oggi, sul vostro profilo bookabook, potete scaricare la prima parte del romanzo, ovviamente non editata.
E per aiutarvi a immergervi meglio nei luoghi e nell'atmosfera di Kaha, a questo link il risultato del montaggio dei video artigianali da me girati in Somalia in quegli anni, con una cinepresa super8.   
15 maggio 2019

Aggiornamento

“È un volume molto bello, perché alla precisione storica si accomuna una grande capacità di narrazione. E’ quindi un testo che si legge con piacere, quasi un romanzo, avvincente, coinvolgente. Le aspirazioni di quei ragazzi e la loro esuberanza giovanile viene descritta dal di dentro, dall’interno del loro animo, raccontando contemporaneamente la situazione sociale e politica della Somalia all’inizio degli anni Settanta. Gli amori, le attrazioni fisiche, il desiderio di maternità si amalgamano all’esperienza lavorativa in un paese arretrato al quale la recente rivoluzione stava dando speranze di rinascita culturale e alle incomprensioni fra chi era andato laggiù per un ideale e chi invece ci si era trasferito per vivere da ricco, con una mentalità ancora fortemente fascista e coloniale”. Questo è il commento di Sergio Albesano, scrittore, recensore e storico, membro del Comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento e socio del Centro studi Sereno Regis di Torino (nel 1992 è stato pubblicato il suo libro "Storia dell'obiezione di coscienza in Italia", che ancora oggi rimane l'unico testo di impostazione storico-scientifica sull'argomento). Qualche anno fa gli feci leggere una prima versione del racconto, che avevo scritto per pochi intimi. E lui raccontò la vicenda sul periodico AzioneNonViolenta, che potete leggere di seguito. commento di Sergio Albesano

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    L’8 novembre 1966 venne approvata la legge proposta dal deputato democristiano Pedini che introduceva in Italia una specie di servizio sostitutivo a quello militare, anche se estremamente limitato. Prevedeva infatti che ogni anno un massimo di cento giovani forniti di un titolo di studio e di un contratto di lavoro in un Paese extraeuropeo potessero ottenere il rinvio del servizio militare e, dopo due anni di lavoro all’estero, la dispensa dagli obblighi militari in tempo di pace. “L’elevata qualifica professionale richiesta e soprattutto la necessità di un preciso rapporto di impiego con una ditta o un ente statale o assistenziale (nei cui confronti il volontario non ha difesa, essendo sempre sottoposto al ricatto del rimpatrio), hanno fatto sì che la legge Pedini avesse un’applicazione molto ridotta. In quattro anni (1968-71) hanno infatti ottenuto la convalida del contratto di servizio civile volontario solo 364 giovani, di cui 250 laureati e 114 diplomati; al 31 dicembre 1971, 176 di costoro erano in servizio (129 in Africa, 43 in Sud America e 4 in Asia), 75 avevano ultimato il servizio e 58 erano in attesa di assumerlo, mentre 55 vi avevano rinunciato per motivi diversi” (G. ROCHAT a cura di, L’antimilitarismo oggi in Italia, Editrice Claudiana, Torino 1973, pag. 173). Dal 1° gennaio 1972 la legge Pedini è stata assorbita in una più ampia legge sul servizio volontario civile nei Paesi in via di sviluppo, aperto ai giovani non soggetti a obblighi militari e sostenuto finanziariamente dallo Stato. La legge Pedini non facilitava l’ottenimento della dispensa dal servizio militare e si limitava a mettere un ristretto numero di privilegiati altamente qualificati a disposizione di ditte private ed enti statali e religiosi interessati a impiegare oltremare personale poco pagato e poco esigente perché non garantito. L’insufficienza e le ambiguità di questa legge, che cercava di tamponare l’obiezione di coscienza senza neppure chiamarla per nome, furono sottolineate dal caso di cinque giovani: Franco Caprioglio di Torino, studente del quarto anno di teologia presso il seminario di Rivoli, Elio Bergantino di Lodi, Guido Longhi e Claudio e Sergio Cremaschi di Bergamo. Essi partirono nel luglio del 1970 per la Somalia per compiere i due anni di servizio civile e iniziarono a insegnare in uno scuola italiana a Mogadiscio. Ben presto, però, si scontrarono con la realtà delle scuole straniere nei Paesi in via di sviluppo, dove i contenuti della cultura indigena venivano assolutamente trascurati; la storia e la geografia insegnate erano quelle italiane, mentre non si parlava dell’Africa. I cinque giovani pubblicarono allora una lettera sul quotidiano locale “Stella d’ottobre”, nella quale affermarono tra l’altro che “i programmi, i contenuti, i giudizi – già assurdi e giustamente contestati in tutte le scuole d’Italia da studenti e insegnanti – sono ancora più inconcepibili se trasportati in Africa perché totalmente estranei alla cultura somala e chiaramente contrari a un indirizzo socialista”. Il giorno stesso della pubblicazione della lettera gli insegnanti furono convocati dall’ambasciatore Teruzzi, il quale, richiamandosi all’art. 32 della legge sulla cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo, li minacciò di applicare le sanzioni previste e cioè il rimpatrio immediato e il relativo obbligo di svolgere il servizio militare. Con una lettera successiva i giovani vennero inoltre informati che “il Ministero degli Affari Esteri ha formulato altresì al riguardo le proprie riserve per eventuali conseguenze legali”. L’ampia e favorevole eco suscitata dalla loro presa di posizione in tutta la Somalia fece recedere le autorità italiane dal portare a termine i propositi repressivi e i cinque terminarono il loro servizio ottenendo dall’ambasciata, dal consolato e dal vicariato apostolico i documenti relativi. Tornati in Italia, però, ricevettero dal Ministero degli Esteri la comunicazione che la loro domanda di riconoscimento dell’effettuato servizio civile non era stata accettata, perché ognuno di loro “si è reso responsabile, lo scorso gennaio, con la pubblicazione sul quotidiano somalo ‘Stella d’ottobre’ di una lettera aperta, di grave mancanza”. Al riguardo Ugo Pecchioli della direzione del P.C.I. presentò un’interrogazione al Senato.
    A distanza di cinquant’anni da quei fatti uno di quei cinque giovani, Claudio Cremaschi, pubblica ora un libro che racconta in dettaglio le vicende che si svolsero allora (C. CREMASCHI, Kaha La luce prima del sole, Bookabook, Milano 2020, pagg. 334, € 16.) Si tratta di un testo scorrevole e ben costruito che si legge con la piacevolezza di un romanzo e che getta una luce lucida e talvolta impietosa sulle tematiche della cooperazione italiana in Africa, sulla rivoluzione somala di Siad Barre, sui postumi del colonialismo e sulla cultura e la politica italiana all’inizio degli anni Settanta. Un volume che merita di essere letto.
    I proventi del libro saranno destinati dall’autore all’associazione Soonaalyia onlus di Torino.

    Sergio Albesano

  2. (proprietario verificato)

    Avevo letto la prima stesura di questo libro con grandissimo piacere alla sua prima uscita. Vi avevo ritrovato le vicende del servizio civile in Somalia di persone come Bice e Claudio, Renata e Gian Gabriele, cui ero legata da amicizia e ricordi di scuola. Vicende – le loro – che si collocavano in quei primi anni ’70 che hanno rappresentato per tanti e tante di noi – in modi e ambiti diversi -un momento particolarmente ricco di esperienze significative, e per di più nel contesto della ricostruzione di un paese che aveva vissuto il colonialismo italiano e aveva da poco riavuto la propria indipendenza. Dopo le tragiche vicende degli anni ’90 e il più recente smembramento del Paese con il venir meno di qualsiasi forma di autorità statale, la promessa di ripresa del tema della Somalia da parte di Claudio, anche alla luce della diaspora somala e dell’ opera letteraria di persone come Kaha e Cristina Ali Farah, mi si prospetta particolarmente interessante.

  3. (proprietario verificato)

    Il libro che ho avuto già l’opportunità di leggere, odora di nuovo, apre gli occhi e il cuore (a qualcuno anche la memoria): negli anni 70 alcuni giovani scelgono il servizio civile a Mogadiscio. Il racconto dell’esperienza individuale, motivata da ideali di non violenza e di fratellanza universale, è il Sogno che nella Storia si Rinnova. Va letto oggi che non riusciamo più a pensare di poter vivere in pace ed eguaglianza.

  4. (proprietario verificato)

    Come mi aspettavo : diretto, lucido, intelligente…….insomma un libro da leggere assolutamente. Prenotato immediatamente

  5. (proprietario verificato)

    Avendo avuto il privilegio di leggere una prima versione stampata in poche copie di questo libro, ho avuto ancor meno esitazioni a preordinarlo.
    Racconta qualcosa di un paese che non conosciamo per nulla, la Somalia, e anche qualcosa del nostro, di paese.

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Claudio Cremaschi
è nato nel 1947 a Bergamo, dove vive ancora oggi. Laureato in Fisica nel 1969. Una vita nella scuola: studente, insegnante, genitore, sindacalista, formatore, dirigente scolastico, autore di testi scolastici di matematica (Zanichelli) e informatica (Paravia) e di un saggio per Piemme: Malascuola (2009). Attivo nel mondo del volontariato, ha trascorso due anni in Somalia.
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