Marco si alzò elettrizzato all’idea che fosse finalmente arrivata quella giornata tanto attesa.
Quella notte aveva dormito appena, leggendo e rileggendo le pagine del libro portato via dalla Biblioteca Vecchia la mattina prima. Era stato fortunato: la leggenda che lo aveva colpito era piuttosto complicata, ma affascinante. Perfetta per l’occasione.
La giornata al fiume del primo lunedì delle vacanze estive era una tradizione consolidata.
Erano stati i loro genitori ad abituarli a quell’uscita fin da quando erano bambini; poi, cresciuti, avevano continuato da soli.
La giornata che scorreva fra un bagno e l’altro, giochi e spuntini vari, si concentrava tutta attorno alla lettura di tre fra le tante leggende della città. Questa era la componente immancabile della giornata.
Marco aveva trovato alcune pagine che riportavano una delle tante storie riguardanti la cosiddetta Città Sommersa.
Solo due sere prima, alla locanda dei Quaranta Cipressi, ne avevano parlato con il Guardiano. Non c’era anima vivente della Valle che non avesse sentito raccontarsi da bambino una favola sulla città perduta. Quella leggenda però lo affascinò particolarmente, perché era molto diversa da quelle storie e per la prima volta ebbe la sensazione di leggere qualcosa di complesso e ancestrale, qualcosa che, se anche non capiva appieno, gli sapeva di vero.
La leggenda raccontava della fuga di uno dei guardiani dalla misteriosa città scavata sotto la collina. A quanto gli sembrò di capire la città doveva avere diversi accessi, uno dei quali sarebbe sbucato, stando a quanto scritto, da qualche parte lungo il fiume dove avrebbero passato la giornata. Quale storia migliore?
Sfogliò e risfogliò il libro fino a tardi, faticando ad addormentarsi e anche quando alla fine il sonno lo vinse dormì inquieto.
Come il sole fece capolino nella sua camera, schizzò in piedi e in men che non si dica fu fuori di casa.
Gli amici si erano dati appuntamento lungo la strada che attraversava il bosco, all’altezza di uno slargo dove c’era una fonte d’acqua che serviva soprattutto come abbeveratoio per gli animali. Lasciò lì la sua sacca prendendo con sé solo il libro.
“Capiranno che sono qui in giro”, pensò non troppo sicuro di sé.
Doveva avere almeno un paio d’ore di anticipo sull’appuntamento e decise di fare una passeggiata fra gli alberi del fitto bosco e magari rileggere per l’ennesima volta qualche pagina della leggenda che avrebbe raccontato la sera.
Camminando fuori dal sentiero, raggirandosi fra gli alberi ormai familiari, raggiunse un angolo che quella mattina gli sembrò particolarmente suggestivo, molto luminoso anche se il sole non era ancora alto.
Il terreno saliva leggermente verso la cima del colle Gemello, lasciandosi indietro un piccolo stagno, quasi invisibile per la folta vegetazione che lo copriva.
Marco sorrise quando vide una cosa strana. Dove il terreno si inerpicava un po’ più decisamente fra gli alberi erano state predisposte delle trappole.
“Pericolosissime”, pensò fra sé.
Un ricordo di qualche anno prima gli tornò alla mente. Erano le trappole che anche lui aveva fatto da bambino. Un tronco sostenuto da un unico piccolo rametto legato a un sottile cordino nascosto fra le foglie.
Divertito camminò fingendo di inciampare nel cordino e lasciandosi travolgere dal ceppo che gli rotolò addosso fermandosi contro la caviglia destra. Si gettò a terra serrando gli occhi simulando la sconfitta.
Li riaprì ridendo per i ricordi dei giochi di bambino che riaffioravano alla mente, mentre lo sguardo gli cadde su una grossa roccia sepolta dal muschio già un po’ rinsecchito dal caldo estivo. Due grandi alberi la sovrastavano aggrovigliandole le radici attorno.
Decise che quello era il posto adatto per fermarsi a leggere. Si appoggiò alla roccia con tutta la schiena, la testa e le braccia tastando con le mani il muschio.
Qualcosa attirò la sua attenzione. Girandosi a guardare la roccia alle sue spalle si accorse essere invece uno dei tanti ruderi che emergevano qua e là dal sottobosco, resti di una parte della città caduta in disuso per qualche motivo e che nei secoli si era lasciata riconquistare dagli alberi del bosco.
Per quanto familiare gli fosse quella parte del bosco, non si ricordava affatto quella pietra così singolare, ma, sebbene fosse stupito, non se ne diede pensiero.
Trovandosi comodo, prese a sfogliare le pagine del libro sentendosi curioso e certo di potervi scovare qualche nuovo dettaglio. Sentiva il sole sulla faccia scaldarlo nel fresco del primo mattino e un po’ alla volta si accorse del risveglio del bosco, con i suoi insetti e uccelli che riempivano l’aria di suoni nuovi. Non passò troppo tempo, che se ne sentì cullato e avvertì gli occhi farsi pesanti, finalmente raggiuto dal sonno che l’aveva tradito durante la notte.
Cercò di continuare la lettura con la testa che ogni tanto ciondolava incontrollata, ma per non cadere addormentato dovette rinunciare. Per resistere al sonno decise di tornare a interessarsi a quelle pietre contro le quali si era appoggiato.
Cercò di sollevare il muschio senza strapparne troppo e di togliere la terra che copriva le pietre. Notò appena un formicolio che gli salì su per le dita.
Scoprì quella che gli sembrò essere la cuspide di un arco in pietra, ben lavorato, ma non capì subito cosa ci fosse sotto l’arco. Una lastra di una pietra scura e liscia sprofondava nel terreno. Mentre passava la mano sulla lastra cercando di ripulirla avvertì una profonda sensazione di pace, come se la curiosità che aveva avvertito poco prima fosse stata appagata.
Qualcosa alle sue spalle attirò la sua attenzione e voltandosi ebbe come l’impressione di svegliarsi dal sonno.
Una strana luce dorata avvolgeva il mattino degli alberi e una leggera nebbiolina lo stupì perché invece di impedire la vista, gli sembrò rendere tutto più vivido e vero.
Poi la vide. Una figura alta e slanciata, camminare serena come se nessun male esistesse al mondo. Vestita dello stesso verde del bosco gli sembrava scomparire, a momenti, confondendosi fra gli arbusti e i tronchi degli alberi. Un cappuccio copriva il volto di quella che dalle movenze gli sembrò dovesse essere una donna. Per un attimo la perse di vista per poi ritrovarsela vicinissima, in piedi proprio accanto a lui. Alzò gli occhi sulla figura che pur essendo controsole sembrava non avere alcuna ombra in sé. Il volto della donna era chiarissimo e un solo sottile ciuffo color rame le fuoriusciva dal cappuccio.
“Marco! Dove sei?”, gli sembrò chiedere la donna con la voce più dolce che avesse mai sentito, come immersa nella sua stessa vibrante eco. Un intenso profumo di primavera riempì l’aria come se gli fosse soffiata contro.
Marco aveva la sensazione confusa di stare sognando. Il bosco sembrò impregnarsi di quella tenue luce dorata, pervadendo ogni cosa intorno a lui. Si alzò, cercando di mantenere le distanze dalla donna accanto a lui. Lei lo guardò con un’espressione che gli ricordava quella compiaciuta di sua madre. Ebbe l’impressione che lo conoscesse anche se era sicuro di non averla mai vista.
«Da tanto stiamo aspettando», disse la donna. «Tu e i tuoi amici, quando sarà il momento, non temete, non rinunciate».
“Marco!”, sentì chiamare ancora.
“Marco!”
Il ragazzo si svegliò di soprassalto spaventato, ma vicino a lui non vide più nessuno né alcunché di strano nell’aria. Aveva sognato? Si guardò alle spalle e vide con stupore di essere appoggiato su del muschio rinsecchito che non lasciava scorgere nulla sotto di sé. Gli tornò in mente l’accaduto del giorno prima nella cripta e si sentì sudare freddo.
“Nessuna luce dorata, nessuna donna e nessun profumo. Sembra tutto normale”, si costrinse a pensare. Inspirò ancora profondamente e non sentì altro profumo se non quello caldo e polveroso della terra sotto i suoi piedi.
Provò a scavare con la mano per cercare conferma di quello che credeva di aver visto ma sotto il muschio e un dito di terra scura affiorò una comunissima roccia che nulla sembrava avere a che fare con l’arco che doveva aver davvero sognato.
«Marco!», si sentì chiamare di nuovo da una voce questa volta più familiare. Sobbalzò impreparato alla ben più rude voce di Matteo che lo ridestò del tutto. Capì che doveva aver dormito un bel po’ se i suoi amici erano già arrivati. Si alzò di scatto, raggiunto da una scarica di adrenalina per la giornata che stava per iniziare e si ripulì dalla terra e le foglie che aveva addosso e fra i capelli ricci.
«Arrivo», gridò. Recuperò il libro da terra e corse incontro alla magnifica giornata che aveva tanto desiderato.
Decise che anche di questo non avrebbe parlato.
Camminarono lungo l’argine del fiume oltrepassando le pozze dove si erano fermati due giorni prima e raggiunsero un prato alberato dove il torrente piegava verso sud e la corrente si faceva più tranquilla. Appena si furono sistemati fecero colazione e Anna prese la parola mentre Marco stava ancora masticando la sua fetta di pane imburrato.
«Ho trovato una strana cosa, di cui non avevo mai sentito parlare prima!», esclamò emozionata, «e ha a che fare con una strana pozza d’acqua nera nella Città Sommersa. In effetti mi ha messo un po’ di inquietudine leggerla, ma parla di un fiume, così mi era sembrata particolarmente adatta all’occasione», disse come per giustificarsi. «E poi volevo sapere cosa ne pensate voi perché mi ha davvero molto colpito! Quindi eccoci qui! Sembra la pagina di un diario di uno dei costruttori della città o qualcosa di simile».
«Uno dei costruttori? Da dove lo hai tirato fuori?», chiese Marco deglutendo.
«A dire il vero è un piccolo volume che ho trovato fra i libri di geografia, un compito estivo», disse per giustificarsi ancora «e ho trovato questo infilato lì per sbaglio, secondo me. Parla di questa specie di laghetto sotterraneo e di un fiume che pare sgorghi da lì. Poi però dice delle cose che mi hanno quasi spaventata, anche se allo stesso tempo vorrei proprio vederlo», disse emozionata.
«E va bene, ma calmati», disse Sofia, «sembra che tu non abbia mai letto una leggenda!».
«Su incomincia», insistette invece Marco, preso dal fatto che anche l’amica avesse scelto una leggenda sulla Città Sommersa.
«Il nome di chi scrive il diario è Battista e si firma il più abile scalpellino di Sant’Arcangelo», disse Anna solennemente.
«Anno terzo del nuovo livello di scavi della Città Sommersa
Terzo giorno dall’incidente
Certo, l’argento ha le sue miniere
e l’oro un luogo dove si raffina;
il ferro lo si estrae dal suolo,
il rame si libera fondendo le rocce.
Si raccoglie il lapislazzulo
come gomme dal mare
e il rubino sanguigno
come il grano nel campo.
L’uomo cerca un termine alle tenebre
e le fruga fino all’estremo limite,
fino alle rocce nel buio più profondo.
In luoghi remoti scavano gallerie
presto dimenticate dai passanti;
penzolano sospesi lontano dagli uomini.
La terra, da cui si trae pane,
di sotto è sconvolta come dal fuoco.
Sede di zaffìri sono le sue pietre
e vi si trova polvere d’oro.
D’osmio e d’iridio sono le sue vene,
di rame e di cobalto le sue ossa.
L’uccello rapace ne ignora il sentiero,
non lo scorge neppure l’occhio del falco,
non lo calpestano le bestie feroci,
non passa su di esso il leone crudele.
E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva,
limpido come cristallo, che scaturiva
da un ultimo maldestro colpo di picca.
Da tre giorni colmando l’ingresso
precipita nella caverna profonda
sulla tormalina e l’ossidiana della piazza principale.
Scavato un canale per imbrogliarne il corso
in mezzo alla piazza della Città
veloce come cresce un filo d’erba
sorge un albero già carico di foglie e di frutti.
L’acqua del fiume terge l’aria e la colma di luce.
Non v’è più notte,
né bisogno di luce di lampada».
«Sembra davvero molto bello, perché dovrebbe mettere inquietudine?», chiese Marco.
«Shhhh», rispose Anna contrariata dall’interruzione. «Non ho finito! Dov’ero rimasta?
Cos’hanno colpito le nostre mani inconsapevoli?
Un fiume inarrestabile ora scorre sulla via
che la porta principale vi è interdetta.
Stretta e impervia si apre ora la via,
sentiero più che una strada,
ma la chiameranno via della gioia;
nessun impuro la percorrerà.
Vi cammineranno i redenti
coloro che hanno lavato le loro vesti;
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
Ogni lacrima sarà asciugata dai loro occhi».
Anna che fino a qui aveva letto con tranquillità, prese un lungo respiro; poi ricominciò sempre più concitata.
«Il nemico aveva detto:
“Inseguirò, raggiungerò, spartirò il bottino,
se ne sazierà la mia brama;
sfodererò la spada, li conquisterà la mia mano!”.
Soffiasti con il tuo alito:
li coprirono le acque,
vi sprofondarono come piombo,
li coprì la terra.
E sentite qui come finisce:
Si accumularono le acque, nello stagno profondo
E tutti gli eletti ne saranno immersi», continuò con tono più grave.
«Gli abissi li ricoprono, sprofondano come pietra.
Viene la forza che soffia sui morti ed essi rianno la vita.
Come usciti dai sepolcri raggiungono la nuova sponda.
Restituì i morti che esso custodiva, il buio stagno,
ciascuno giudicato secondo le opere del suo cuore.
Hanno un nuovo spirito e una nuova vita
e dimorano nella Città Sommersa.
Fine!», disse Anna compiaciuta.
«Adesso si capisce», dissero in coro Lonzo e Luzzo che se non avevano capito molto della leggenda si erano lasciati trasportare dalla lettura.
«Per il Drago, che roba! Ma da dove è venuta fuori?».
«Mi è sembrata molto affascinante anche se non si capisce quasi nulla in effetti», disse la ragazza.
«È davvero bellissimo Anna!», disse Marco con tutta la gratitudine di cui era capace.
«Grazie!», rispose lei contenta dell’apprezzamento.
«Certo che adesso chi ci entra in acqua?», disse Lonzo guardando il torrente improvvisamente meno invitante.
«Ci entro io!», esclamò Alec che senza aspettare alcuna reazione afferrò Miriam come un sacco di patate e si buttò con lei nelle acque del fiume.
Elisa Botticelli (proprietario verificato)
“Acerboli e la città sommersa” è un libro molto accattivante, pieno di sorprese. Filo conduttore di tutta la storia è il legame di amicizia tra i personaggi.. Nello specifico mi ha colpito il rapporto tra il gruppo di amici “originale” e l’apertura che dimostrano verso i “nuovi” personaggi che vi si affacciano.. Tra le pagine si scoprono inoltre amicizie più profonde che legano gli adulti della storia (sicuramente in maniera più marginale), cosa che fa trasparire un senso più profondo di comunità. Tutto il libro è una bella scoperta per il lettore… potrebbe sembrare una storia fantasy fatta di creature magiche e personaggi fantastici ma in realtà è molto di più…
Ivan Gallavotti (proprietario verificato)
Ti capita a volte di cominciare a leggere un libro per caso, e poi di appassionarti. Per me, nel caso di “Acerboli e la città sommersa” è stato proprio così. Ho iniziato, lo ammetto, senza troppo entusiasmo perché il genere fantasy non è decisamente il mio preferito. Devo dire, però, che dopo poche pagine mi è venuta una grande curiosità: le avventure di quel gruppo di amici mi hanno preso a tal punto da provare, io stessa, ad immaginarmi ogni volta il capitolo successivo. E poi, il fatto che sia ambientato nella città dove sono nata e dove ho sempre vissuto… beh, ha dato quella spinta in più alla lettura (se mai fosse stata necessaria). Consiglio il libro a chi è appassionato di fantasy e anche a chi, come nel mio caso, non lo è perché l’amicizia – che fa da sfondo al bel romanzo di Don Ugo Moncada – cattura gli occhi e la mente.
(Roberta Tamburini)
Marco Evangelisti (proprietario verificato)
Se siete assetati di mistero e avete voglia di intraprendere un’avventura, vi consiglio vivamente di farvi un viaggio nella città di Acerboli! Vi accompagneranno leggende affascinanti e personaggi intriganti.
Tra le cose che ho apprezzato di più, il modo in cui viene trattato il tema dell’amicizia e la figura di Marco: un ragazzo leggermente borderline e diverso dai suoi amici. Apparentemente un pochino ingenuo ma in realtà dotato di perspicacia e capacità di leggere in maniera sapiente le situazioni… non vi svelo altro!
Coraggio! Siete pronti a partire? Acerboli vi aspetta proprio sotto la rupe del Monte Tifo.
deborahcampidelli (proprietario verificato)
Salgari disse “scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli”
Penso che anche leggere fantasy sia viaggiare e riscoprire il bambino che è in noi, al quale piace ancora sognare e vivere avventure.
“Acerboli e la città sommersa” è un viaggio senza tempo, in un paese che conosco a memoria ma che non avevo mai visto con gli occhi con cui lo vedo ora, un mix di mondo fantastico, creature leggendarie, magia, senza far mancare storia, cultura e ottimi spunti di riflessione.
Un mix nel quale nessuna agenzia di viaggio possa mai portarti.
Un gruppo di ragazzi che vive un’ avventura che li porterà a crescere nell’amicizia, nell’inclusione, nell’altruismo, nel dover contare sull’unione delle forze per poter affrontare “il male” che, come nelle migliori avventure, non può mancare.
Molto appassionante e scritto in modo fruibile che invoglia alla lettura e alla scoperta continua del seguito…bello!
Samuela Boschi (proprietario verificato)
Ho appena finito di leggere la bozza integrale… affascinante!! Il finale aperto, con gli eletti che varcano finalmente la porta della Città Sommersa, mi ha fatto venire voglia di sapere cosa succede dopo, cosa troveranno… Davvero intrigante!!