Sentì anche la terra tremare e davanti a lei iniziarono a scorrere le immagini di un catastrofico terremoto, vide le facce attonite delle persone intrappolate sotto le macerie.
Sembrava tutto fin troppo reale.
Provò a chiamarle, ma squittiva debolmente, nessuno poteva sentirla.
Eppure, non c’erano macerie e neppure pareti crollate di cemento armato, non era chiusa in un sarcofago.
Si trovava in uno spazio aperto, però era buio e vedeva solo grazie alla striscia fosforescente, dove i piedi continuavano a vagare.
Era già qualcosa.
Doveva concentrarsi, capire che ci faceva lì, come c’era arrivata. Calmare il respiro, riprendere il controllo. Tutti i soldi spesi per le lezioni di yoga dovevano pur servire a qualcosa.
Serrò gli occhi e i pugni con uno sforzo immane. Inspirò, espirò.
Alla sua sinistra, un rumore sordo e indistinto acquistò improvvisamente significato nella sua testa.
Certo, il mare, ma era lontano e non si infrangeva su una spiaggia, non sentiva l’acciottolio della risacca. Probabilmente si trattava di scogli, ma non era importante. Si perdeva dietro a inutili dettagli.
Un alito di vento le portò alle narici un profumo aspro, che le sembrava di aver già sentito, l’aroma del legno di una pianta, forse, o le sue bacche.
Stava di nuovo divagando! Non si sforzava abbastanza per cavarsi d’impaccio, era esasperata e impaurita. Tese le braccia e si rassicurò, almeno non aveva più le zampe e forse stava riprendendo il controllo dei suoi piedi. Sentiva l’erba viscida, una sensazione disgustosa, ma consolatoria al tempo stesso, gli sforzi per ricomporsi stavano funzionando. Gli occhi si abituavano lentamente al buio, finalmente, anche se ancora non capiva dove fosse finita.
Sentiva il peso di ombre sconosciute che l’avvolgevano, le stavano trasmettendo qualcosa, non più la cantilena, ma parlavano tutte assieme, non riusciva a distinguere le parole, forse era una ricetta, l’elenco di qualcosa, ma la lingua non le era familiare.
Si ritrovò a terra, in mezzo all’erba che era cresciuta a dismisura e di nuovo sentì quell’oppressione insostenibile.
Intravide una figura familiare, capelli da volpe e occhi da gatto.
Era Magda, la sua amica di sempre, ascoltava le ombre che recitavano parole sconnesse, bisbigli arcani. Ma lei assentiva, lei riusciva a capirle. Ora però Magda discuteva animatamente, come se dovesse intercedere per lei.
Si coprì gli occhi con le mani e iniziò a singhiozzare. E singhiozzando, si risvegliò fra le lenzuola del suo letto.
Si guardò intorno, la luce dell’alba filtrava incerta dalla finestra.
Osservò a lungo le sue mani e poi i piedi. Era bello riaverli.
Buttò un occhio alla sveglia e la spense, precedendo il trillo fastidioso di qualche minuto.
Estratto settimo capitolo
Ginevra
Ogni essere umano dovrebbe considerare la propria esistenza come un’opera d’arte. L’hanno detto in tanti, ma è pur sempre un processo creativo e quindi personalizzabile.
Pennellate leggere e colori tenui per la materia dei sogni, per desideri e aspettative. Più decise, con colori primari, per momenti cruciali e decisioni irrevocabili. Infine, tagli e pieghe della tela per dolore, disfatte e scelte dissennate.
Per la visione completa dell’opera è necessario aspettare. Può accadere che sia sbagliata, orribile, sublime o mediocre, un capolavoro. Sono sempre gli altri che lo decideranno, poi.
Ah già: ai posteri l’ardua sentenza.
L’importante è continuare a dipingerla, fino alla fine, anche se nessuno può escludere che l’operazione sia del tutto inutile.
Eli, Mabilia Elena Pintor all’anagrafe, stava andando in ufficio.
Una giornata come tante, il cielo di Ginevra rispecchiava il suo umore, o forse era l’esatto contrario. Era il suo umore che si adattava a quell’ammasso di nubi dense e immobili. Se fosse stata altrove, magari, le sarebbe passato per la testa qualcosa di più divertente.
Per la visione completa dell’opera è necessario aspettare.
Aspettare? Aspettare cosa? Le sembrava di aspettare da sempre, nonostante dall’esterno questa attesa vaga e estenuante non trasparisse affatto. Le elucubrazioni su vita, colori e tele erano dovute alle letture della sera precedente. Niente di grave, quindi.
— Niente di grave — Lo disse a voce alta, specchiandosi nella vetrina di una pasticceria e cercando di darsi un contegno. — E nessuno può escludere che l’operazione sia del tutto inutile — ripeté, complimentandosi per la sua memoria.
Rispetto alla tabella di marcia, era in leggero ritardo, il trucco aveva richiesto qualche pennellata supplementare quella mattina. Cinque minuti, non di più.
Inoltre, il modello Extra small appena acquistato non stava funzionando bene. Aveva deciso in completa autonomia che era domenica e al posto del solito caffè lungo e barretta ai cereali d’ordinanza, si era messo a sfornare pasticcini e torte. Un pranzo di nozze per colazione.
A nulla era valso il tentativo di resettarlo; aveva dovuto ricorrere alle maniere forti, strappando con tutta la sua energia circuiti e pulsanti. Nonostante il trattamento, prima di spegnersi definitivamente, l’Extra small aveva sibilato per un tempo che le era sembrato lunghissimo. Avrebbe dovuto chiamare il tecnico per la riparazione. Sicuramente la garanzia non copriva i moti di rabbia mattutini dell’acquirente.
Ormai era fatta, inutile pensarci.
Doveva anche accelerare il passo, cosa che le risultava abbastanza difficile con le scarpe nuove. Un semplice mezzo tacco, ma con una suola non ancora provata dalla vita, che non le dava sicurezza.
Del resto, riguardo alla sicurezza, le scarpe erano in fondo alla lista.
Non le dava sicurezza neanche il nuovo tailleur grigio blu, un capo di rappresentanza. L’aveva comprato nel nuovo show room in Rue du Rhône tutto cortesia e sorrisi e, naturalmente, le era costato una follia. Più che a lei, piaceva a Jacqueline, la sua collega.
— Ti sta benissimo — aveva detto e la commessa aveva confermato con un sorriso abbagliante, fresco del nuovo trattamento al perossido di idrogeno.
Poi era arrivata la direttrice — Ma che meraviglia, sembra che gliel’abbiano cucito addosso.
E per sdrammatizzarlo, il tailleur, le aveva anche rifilato un foulard. La cosa l’aveva infastidita, di solito non si faceva incantare dai venditori, soprattutto da quelli specializzati in smancerie, ma pur di uscire rapidamente dallo show room aveva rinunciato alle sue solite battute caustiche.
Nell’aria, il solito odore di fritto e gli annunci pubblicitari sparati a mille dai modelli Extra Large, che si erano moltiplicati come funghi tossici a ogni angolo di strada.
Musica d’ambiente, annunci concitati, sconti, promozioni e, naturalmente, le news.
Dallo schermo principale, l’annunciatore, faccia cavallina da imbonitore di provincia, stava blaterando a proposito dei soliti roghi indomabili, dei disastrosi effetti del cambiamento climatico, delle esalazioni mefitiche delle discariche nell’Artico, per poi passare con disinvoltura e ampi sorrisi alla cronaca rosa, divorzi e riconciliazioni tra principi e attrici, magnati e soubrette.
Ma lei l’aveva chiesto?
Non voleva sapere, non voleva sentire, ma era impossibile isolarsi, grazie all’impeccabile servizio degli Extra Large.
Neanche un cenno sulla Baby. Dopo un paio di mesi di martellamento, l’argomento come per incanto sembrava passato di moda. Aubert l’aveva previsto.
— Se non trovano subito una cura, faranno cadere la cosa, per non creare allarmismi. Ci scommetto quello che vuoi.
L’aveva aggiornata anche sul numero dei morti che cominciava a essere ragguardevole, proponendole un trasferimento immediato in luoghi lontani.
— Buon viaggio — aveva detto lei con il tono che usava di solito per accomiatarsi dai venditori — mi faccia sapere.
E lui era partito per davvero.
Estratto ottavo capitolo
Il Convento di clausura delle Carmelitane Scalze di Santa Giuliana, nei pressi di Pamplona, contava una decina di monache fra anziane e novizie. Donne sante che dividevano la loro vita fra il silenzio e la preghiera.
Non ricevevano frequenti visite, ma in una splendida mattina dai colori autunnali la Madre Priora accolse una donna che chiedeva di poterle parlare in privato. Il colloquio rimase segreto, ma la Madre Priora ne uscì profondamente turbata.
I primi segni della malattia comparvero qualche giorno dopo, durante le lodi mattutine. La sua voce, normalmente sommessa e concentrata, sembrava più squillante del solito.
All’appuntamento in coro delle dodici, la donna salmodiò a squarciagola — O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto — tra lo stupore delle consorelle. Non stava rispettando la Liturgia delle ore, non era mai successo.
Non andò meglio agli appuntamenti delle quindici, né alla preghiera vespertina delle diciassette.
Infine alle venti e quarantacinque, durante la preghiera che introduceva le monache al grande silenzio della notte, la Madre Priora urlò un ultimo Amen ed entrò in una sorta di dormiveglia febbricitante.
Fu portata di peso nella sua cella. A nulla valsero le pezze fredde sulla fronte, né i farmaci generici somministrati dalla suora infermiera del convento.
Si rivelarono inutili anche le preghiere, recitate a turno accanto al suo letto. La Madre Priora continuò a sussurrare per ore quelli che sembravano salmi, a tratti sembrava voler comunicare qualcosa d’importante, indicando con un dito il soffitto.
Tutte le consorelle si alternarono per cercare di comprendere il messaggio, ma era un blaterare che non aveva niente di sacro.
La Madre Priora si spense alle prime luci dell’alba in mezzo alle sue consorelle in lacrime.
A una a una, si ammalarono tutte.
Ognuna fu vegliata amorevolmente da quelle che restavano.
Finché non ne rimase nessuna.
Manuela Frésard
Atmosfere vandermeeriane, odissee linguistiche, distopie pandemiche… Questo nuovo mondo di Andrea Sadà si prospetta molto intrigante, e per nostra fortuna sempre meno distante!
Fiona Roethling (proprietario verificato)
Quando ho letto la prima bozza di Baby-Lon.616 ho trovato l’idea di base del libro più che buona. Il contesto e la realtà sociale di un mondo stanco e distratto sono ricostruiti in modo preciso e verosimile, pur senza che siano collocati in un tempo e in uno spazio definiti. Difficile però inquadrarlo in un genere preciso. Un po’ thriller metafisico, un po’ fantasy si basa sull’importanza della conoscenza di sé stessi e la spinta ad agire. Mi sembra che nel testo sia stato rispettato il precetto del “miscere utile dulci”, grazie al quale si alternano interessanti riflessioni di ambientazione, sezioni narrative serrate e infine qualche considerazione dai toni più leggeri.
Baby-Lon.616 fa mostra di grinta, di ritmo, di afflato narrativo, in un crescendo che porterà ad un finale decisamente spiazzante. Ho apprezzato anche i diversi riferimenti alla società, all’ambiente e alla situazione storica attuale.
Tiziana Grecu (proprietario verificato)
Avendo letto la prima stesura voglio essere prudente con il mio commento per non rivelare troppo. Dico solo questo: una storia intessuta con maestria intorno ad un tema antico e universale, il mito di Babele. Il potere della parola e la paura del suo potere
Come in una famosa poesia di Eichendorff:
Dorme un canto in ogni cosa
che qua sogna senza fine,
e a cantare prende il mondo
se la formula indovini.