Due piedi nudi camminavano su una striscia di verde brillante.
Erano i suoi, di questo era sicura, anche se li osservava da lontano, come se fossero staccati dal proprio corpo.
Erba bagnata tutt’attorno, così verde da sembrare radioattiva, una striscia luminosa circondata da un buio impenetrabile e due piedi pallidi che si muovevano con fatica in un silenzio opprimente, interrotto ogni tanto da una nenia infantile.
C’era qualcuno nel buio, e quel qualcuno ripeteva il suo nome.Lo distingueva chiaramente, manon riusciva a concentrarsi sul resto del testo. Odiava le filastrocche e le poesiole, e non aveva dubbi sul fatto che chi stava cantando quella stupida nenia ne fosse a conoscenza.Non le piaceva neppure l’aria attorno a sé, immobile e soffocante. Dovevascappare, subito. Facile a dirsi, i piedi non rispondevano ai comandi.Guardava i piedi, i suoi piedi, che eseguivano una danza al ritmo di quella nenia, battevano la terra, disegnavano cerchi, senza fare rumore, neanche fossero stati i piedi di un fantasma.E questo non le piaceva affatto.Sentì come un peso sulle spalle e il pelo sul collo drizzarsi. Mai avuto peli sul collo, pensò Eli. Constatarlo la raggelò, non riusciva a muovere un muscolo, il sudore le colava a grosse gocce dense sugli occhi, la vista era appannata, non riusciva a muovere le mani, non poteva sfregarsi gli occhi, non aveva più mani, erano zampe, non zampe, ma piccoli arti inutili. Era un topo o un cincillà, un roditore, e come se non bastasse, qualcuno l’aveva rinchiusa in un sarcofago.Dal buio ancora quella nenia, “Eliii, Eli, Eliii”, e i suoi piedi, quelli che erano stati i suoi piedi, continuavano a muoversi autonomamente.Sentì anche la terra tremare e davanti a lei iniziarono a scorrere le immagini di un terremoto, vide facce attonite, corpi intrappolati sotto le macerie, polvere e travi che precipitavano al suolo. Delle figure con strane divise si muovevano tra corpi e sassi.Provò a chiamarle, ma squittiva debolmente, nessuno poteva sentirla. Chiuse gli occhi e non c’erano più le macerie, non le sembrava nemmeno di essere chiusa in un sarcofago.Era buio e vedeva solo grazie alla striscia verde fosforescente dove i piedi continuavano a vagare, ma si trovava in uno spazio aperto.Era già qualcosa.Doveva concentrarsi, capire cosa ci facesse lì, come c’era arrivata. Calmare il respiro, riprendere il controllo.Serrò gli occhi e i pugni con uno sforzo immane. Inspirò, espirò. Alla sua sinistra, un rumore sordo e indistinto acquistò improvvisamente significato nella sua testa.Certo, il mare; ma era lontano e non s’infrangeva su una spiaggia, non sentiva l’acciottolio della risacca. Probabilmente sbatteva sugli scogli. Ma che importava? Si stava di nuovo perdendo tra inutili dettagli.Un alito di vento le portò alle narici un profumo aspro, che le sembrava di aver già sentito, l’aroma del legno di una pianta, forse, o le sue bacche.Tese le braccia e si rassicurò, almeno non aveva più le zampe, e forse stava riprendendo il controllo dei piedi. Sentiva l’erba viscida, una sensazione disgustosa ma consolatoria al tempo stesso: gli sforzi per ricomporsi stavano funzionando. Gli occhi si abituavano lentamente al buio, finalmente, anche se ancora non capiva dove fosse finita.Sentiva il peso di ombre sconosciute che l’avvolgevano. Le stavano trasmettendo qualcosa, non più la cantilena, ma parlavano tutte assieme, non riusciva a distinguere le parole. Assomigliava all’elenco di qualcosa, ma la lingua non le era familiare.Si ritrovò a terra, in mezzo all’erba cresciuta a dismisura, e di nuovo sentì quell’oppressione insostenibile.Intravide una figura familiare, capelli rossi, occhi allungati. Sembrava Magda, era Magda, a gambe incrociate, ascoltava le ombre che recitavanoparole sconnesse, bisbigli arcani o chissà cos’altro,ma lei assentiva, lei riusciva a capirle. Poi la vide alzarsi e discutere animatamente con qualcuno nascosto nel buio. Intuiva di essere l’argomento della discussione. Magda era dalla sua, questo era chiaro,ma non sapeva se sarebbe riuscita a spuntarla.
Manuela Frésard
Atmosfere vandermeeriane, odissee linguistiche, distopie pandemiche… Questo nuovo mondo di Andrea Sadà si prospetta molto intrigante, e per nostra fortuna sempre meno distante!
Fiona Roethling (proprietario verificato)
Quando ho letto la prima bozza di Baby-Lon.616 ho trovato l’idea di base del libro più che buona. Il contesto e la realtà sociale di un mondo stanco e distratto sono ricostruiti in modo preciso e verosimile, pur senza che siano collocati in un tempo e in uno spazio definiti. Difficile però inquadrarlo in un genere preciso. Un po’ thriller metafisico, un po’ fantasy si basa sull’importanza della conoscenza di sé stessi e la spinta ad agire. Mi sembra che nel testo sia stato rispettato il precetto del “miscere utile dulci”, grazie al quale si alternano interessanti riflessioni di ambientazione, sezioni narrative serrate e infine qualche considerazione dai toni più leggeri.
Baby-Lon.616 fa mostra di grinta, di ritmo, di afflato narrativo, in un crescendo che porterà ad un finale decisamente spiazzante. Ho apprezzato anche i diversi riferimenti alla società, all’ambiente e alla situazione storica attuale.
Tiziana Grecu (proprietario verificato)
Avendo letto la prima stesura voglio essere prudente con il mio commento per non rivelare troppo. Dico solo questo: una storia intessuta con maestria intorno ad un tema antico e universale, il mito di Babele. Il potere della parola e la paura del suo potere
Come in una famosa poesia di Eichendorff:
Dorme un canto in ogni cosa
che qua sogna senza fine,
e a cantare prende il mondo
se la formula indovini.