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La casa, il nido, la prigione

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Perché sentiamo il bisogno di costruire una casa, una famiglia? E cosa accade quando, invece, vogliamo fuggire lontano da essa? Rappresenta un rifugio sicuro o una prigione soffocante? Forse, saprà fornirci una risposta un lavapiatti che interpreta i resti di un banchetto di nozze; o un gruppo di bambini che vorrebbe crescere la notte di Natale; o ancora un nipote che cerca lo spirito del nonno tra le montagne; una sposa novella che scopre uno strano libro nello studio del marito; un bosco sinistro che impone il ricordo delle vittime della peste a un gruppo di adolescenti; uno straniero che riscatta la morte di un innocente.

Questa raccolta di racconti ci fa riflettere con ironia e leggerezza sulle varie sfaccettature del concetto di “casa”.

PREFAZIONE

Le diciannove storie di questa raccolta ruotano attorno al tema della casa vista come nido, prigione o, per i più fortunati, l’una e l’altra cosa insieme. Nascono da un bisogno di comprendere cosa ci spinga a costruirci un rifugio, una corazza che ci isoli dalle insidie del mondo esterno e come, a volte, per pura furia distruttiva, malinteso, o semplice negligenza, questa struttura tanto solida ci rovini addosso. Sono storie che si interrogano su come, in alcuni momenti della nostra vita, ci accorgiamo che quanto abbiamo difeso con le unghie e con i denti non meritava tanta abnegazione. Oppure, raccontano di una casa ritrovata, di una persona o di un avvenimento che viene a portare ordine nella nostra esistenza altrimenti caotica, nomade, anarchica. Queste storie, insomma, cercano di afferrare le sensazioni che il nido-prigione suscita in noi: affetto, sfiducia, conforto, ribellione, sollievo e quant’altro la nostra immaginazione ci suggerisce. 

Mi sono chiesto diverse volte cosa rappresenti per me la casa. Nido o prigione?

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Se ascolto la voce della mia coscienza insoddisfatta, l’eterno irrealizzato che ribolle forse in tutti noi, posso vagamente definirla una prigione, ma non un penitenziario. Diciamo, uno di quei carceri in cui possono venirti a trovare almeno un paio di volte al mese. E di questo disagio non posso incolpare la mia famiglia, splendido esempio di vita. Non posso rimproverare la società. Non ho nulla da imputare nemmeno alla Chiesa, anzi, forse il parroco potrebbe rinfacciarmi la scarsa costanza nel partecipare all’eucarestia domenicale! Della scuola e delle sue angherie non voglio assolutamente discutere… ci lavoro!

Se proprio devo trovare fuori da me stesso un alibi al malcontento, posso accusare tutte quelle piccole grandi delusioni della vita che ci spingono a fuggire, a cercare un altrove più genuino, o che genuino ci pare in quel dato momento. Per un “precario” della vita come me, la presenza di un altrove, là fuori da qualche parte, sempre spalancato, suona come un dogma di fede, incrollabile come un Buddha di Bamiyan prima del tritolo – e, perché no?, anche dopo. È una sicurezza, come il cappuccino al bar il lunedì mattina prima del lavoro.

Forte di questa fede nell’altrove, sono “fuggito” in Australia parecchi anni fa, per un’esperienza di insegnamento dell’italiano in un college dello stato del Victoria, terra di esploratori, cercatori d’oro, galeotti (rieccoci con la prigione) e… di pessimi cappuccini. Da qui i due racconti iniziali. Sono rientrato in Italia per qualche tempo, a seguito di un lutto in famiglia (mia nonna, che compare in uno dei racconti). Dopo altri cinque anni, eccomi di nuovo in Australia, il mio altrove. 

Spero che queste storie vi piacciano, per ovvie ragioni! Ma, soprattutto, spero di aver trasmesso in quel che scrivo la passione per il far parlare, senza manierismi o ipocrisie, le voci che animano quell’odissea che è la scoperta di sé, del proprio posto nel mondo. 

 

STORIA DI UN MERCANTE DI CAVALLI

(Australia, ieri)

Del sentiero non restava che una debole traccia, un solco abbozzato fra gli sterpi. Quando mi ci sono avventurato una seconda volta, anni dopo, ho avuto come il presentimento che al posto di quella misera baracca sul monte Fainter avrei trovato pochi tronchi di legno e una targa “in memoriam” per qualche esploratore morto di stenti. 

Vista da lontano, in pieno giorno, quella scatola di fiammiferi era apparsa già come poco più di un dettaglio insignificante, stonato nel panorama di grevillee, felci sproporzionate e cortecce penzolanti di eucalipti. Con il favore del buio, poi, si era fatta ancora più indistinta, sudicia, oscura. 

Eppure, là dentro, in quella notte appena rischiarata da una candela, c’era qualcuno, e inveiva contro qualcosa…

«Maledizione, va a finire che mi scoperchia la casa!»

Sferrò un pugno poderoso sul tavolaccio del tè, inchiodato al pavimento “per non farselo rubare”. Tremò tutto l’edificio. Jack ce l’aveva con il vento che bussava di continuo sui vetri delle finestre coperte da ragnatele secolari.

La sua collera, però, era simulata. Troppa era la felicità di avere fra le mani una bottiglia di “quello buono”, per prendersela con gli elementi. L’alcol, oltre a metterlo di buon umore, esercitava su di lui due effetti collaterali: il primo era di trasformarlo in un musicista senza rivali, con un repertorio degno di un cantante lirico al culmine della carriera. Sfoderava, con voce limpida e cadenzata, le vecchie nenie malinconiche che aveva imparato dai mandriani nelle lunghe traversate dalle brughiere del Nuovo Galles del Sud ai pascoli più rigogliosi del Victoria. Oppure, per rallegrare la compagnia riunita attorno a un falò, si esibiva in qualche stornello malizioso che aveva sentito accompagnando gli amici vetturini sui loro calessi per le strade affollate e chiassose di Cambridge, ai tempi in cui era studente.

Quando la vena melodica si esauriva, oppure quando i fumi dell’alcol stavano per abbandonarlo, ma ancora frenavano la sua natura introversa e schiva, allora interveniva il secondo effetto “desiderato”: l’impareggiabile abilità di narratore. L’argomento preferito delle sue lunghe conversazioni era, guarda caso, se stesso, ma non per arroganza o saccenteria, piuttosto per troppa modestia: «Io», diceva, «non sono un politicante, parlo solo di cose che conosco!». 

In quei momenti di ispirazione si esprimeva con scioltezza, senza impaccio, con lo sguardo fisso su un qualsiasi oggetto della stanza: un buco nella tovaglia, un quadro appeso di sbieco o un tarlo nel pavimento. Evitava di guardare in faccia il suo “pubblico”, quasi a dare l’impressione di recitare un monologo. Non temeva il giudizio degli altri e non si faceva lusingare in alcun modo: era semplicemente indifferente ai commenti altrui. Anch’io non facevo eccezione alla regola, ma non me ne dispiacevo. Mi bastava starmene in silenzio, ad ascoltarlo, senza fiatare.

«Lo vedi il foglio ingiallito appeso allo sportello di quell’armadio? Ecco, da quel pezzo di carta senza valore ha inizio un viaggio che non si è ancora concluso… no, ma che fai… non c’è bisogno che tu lo vada a leggere, te lo posso riferire io. È una lettera che ricordo ancora perfettamente, parola per parola. C’è tutto mio padre, in quelle righe, l’uomo d’affari dai sani principi che non si concede tempo per inutili smancerie. Porta la data del 25 ottobre 1854, pochi giorni dopo l’incidente occorso a Miss Crombie.»

Alla cortese attenzione di Lord William Mc Connell, presso la Gold Escort Company – Sede Centrale di Melbourne, Victoria, Australia

Illustrissimo Lord Mc Connell,

con quale onore Vi rendo il più ossequioso omaggio e mi congratulo per il ruolo di gran prestigio meritatamente affidatoVi presso la grande compagnia di Vigilanza che tanto lustro e ammirazione ha saputo riscuotere nel corso di questi pochi anni dalla sua fondazione.

Il Vostro non è soltanto un incarico di grande responsabilità, ma implica un costante impegno nella salvaguardia dell’ordine pubblico in una terra tanto straordinaria quanto piena di insidie come l’Australia.

«Ti risparmio la sviolinata sui meriti della compagnia nella prevenzione della delinquenza e nel favorire la riabilitazione dei galeotti…»

Mio figlio primogenito John, piacevolmente colpito [a suo dire…] dalla Vostra benevolenza e amabilità, godute in occasione del ricevimento in onore della Vostra partenza, sarebbe entusiasta di poter trascorrere un certo periodo di tempo presso la Vostra compagnia come contabile, per apprendere i rudimenti della perfetta amministrazione, affinché, in un futuro assai prossimo, sia in grado di proseguire sulla strada da me stesso umilmente intrapresa.

«Eccetera, eccetera, insomma, con poche, abili parole al posto giusto quel bastardo di mio padre si è messo in pace la coscienza e mi ha spedito in Australia.

«Dopo due settimane esatte dalla data della lettera, lascio l’Inghilterra e mi imbarco sul vascello “Madagascar” diretto a Port Philip Bay, presso Melbourne. Con me ho pochi oggetti, non tanto per l’incoscienza del vagabondo che si illude di contare solo sulle sue forze, quanto per disfarmi di ogni cosa che ancora mi lega alle mie radici. La Cambridge degli incontri mondani, dei concerti all’aperto, delle gite in barca, vista dalle strade poco illuminate di quel mattino di tardo autunno, mi pare una presenza a ogni istante sempre più ostile. Ad appesantire questo senso già soffocante di estraneità è il pensiero di mio padre, delle sue ultime parole: “Non temere, figliolo, te la caverai!”.

«No che non me la caverò, mi ripeto, terrorizzato dall’ignoto di quella nuova destinazione. Mai come in quel momento mi sono sentito indifeso. Un animale braccato e respinto dal suo stesso branco. Avevo diciannove anni allora, ma con una sufficiente dose di buon senso per riconoscermi un pivellino inesperto della vita. Nutrivo un profondo rancore verso i miei famigliari, che sembravano accettare la notizia della mia partenza forzata con la più assoluta noncuranza… mi rendevo conto di aver deluso le loro aspettative coinvolgendo la cara Miss Crombie in quell’odioso incidente, ma la certezza di essere stato condannato a una pena di gran lunga superiore all’offesa ancor oggi mi fa ribollire il sangue! 

«Mentre mi avvio verso l’imbarco, rifletto sulla mia vita passata. I tempi delle risate goliardiche, delle baldorie notturne e dei corteggiamenti alle gran dame che passeggiavano per le strade della città erano bruscamente finiti. Era il mio secondo anno come studente di legge, non ero certo un genio, ma me la cavavo, sapevo applicarmi sui libri, quando necessario, e dedicavo una discreta porzione del mio tempo alla passione di sempre: i cavalli! Si trattasse di equitazione, competizioni di velocità con gli amici o scommesse su chi per primo raggiungeva l’università a bordo di un calesse, io non mancavo mai. Erano gare senza esclusione di colpi e queste sfide finivano con l’attirare l’interesse e l’ammirazione delle signorine più graziose e in vista di Cambridge. A diciannove anni ci si innamora con la velocità di un morso di serpente, e con la stessa frequenza con cui il vento cambia direzione in una limpida giornata di primavera. Eppure, quando ho visto Miss Crombie accennare un sorriso e un cenno di simpatia, mi sono detto: “John, questa è la ragazza della tua vita!”.

«La frase continua a ronzarmi nelle orecchie, devo assolutamente conoscerla. So che frequenta il gruppo di amiche che vengono a incitare noi fantini durante le incursioni; in più, voci attendibili mi danno come favorito nella corsa al corteggiamento. Ecco che si presenta un’occasione favorevole. Una domenica, durante un’uscita in carrozza, incontro per caso Miss Mary Crombie nelle vicinanze della cattedrale. Come solito siedo a cassetta con il cocchiere, mio grande amico. Miss Crombie si è appena congedata dall’ultima compagna, quando l’avvicino e la invito sulla carrozza. Lei, intimidita, non osa rispondere, certamente trova alquanto disdicevole l’idea di salire nell’abitacolo con un uomo. È così che mi viene l’ottima idea di farla salire con me a cassetta. Non c’è niente di male, penso. Dico al vetturino di aspettarmi all’angolo della strada. Miss Crombie accetta, visibilmente imbarazzata per l’invito… scegliamo strade poco frequentate, per evitare le occhiate dei maligni. 

«L’euforia di aver vicino la ragazza più graziosa e affascinante che mai avessi incontrato in vita mia mi porta a forzare il passo dei cavalli. Mi lancio a briglie sciolte, la carrozza sobbalza furiosamente sui ciottoli, affrontando le curve in modo talmente spericolato da dare l’impressione di rovesciarsi a ogni istante! La mia passeggera, dapprima terrorizzata, è ora al colmo della gioia, ride e strilla allo stesso tempo, anche se mi trattiene il braccio con forza, poggiando la sua splendida testa di riccioli biondi sulla mia spalla. Sono al colmo della beatitudine, quando, d’un tratto, un rumore di ferraglie e le urla concitate del conducente di un carretto seminano il panico fra i due cavalli che si impennano, ma non all’unisono, tanto da dare un tremendo strattone alla cassetta e all’intera carrozza. Miss Crombie, ancor più spaventata dei puledri, fa un brusco tentativo di alzarsi in piedi, mollando così la presa sul mio braccio. L’equilibrio le viene meno e, alla seconda impennata dei cavalli, viene scaraventata a terra da circa due metri di altezza. Impietrito dallo spavento, cerco con grandi sforzi di arrestare la corsa dei cavalli e mi lancio dalla cassetta a soccorrere la ragazza. È svenuta. Un dottore che si trova nelle vicinanze la soccorre. Dopo qualche colpo di tosse, ricomincia a respirare. Improvvisato un lettino con delle coperte, accompagno Miss Crombie a un vicino calesse, circondato da una piccola folla di curiosi. Le calunnie di qualche testimone mi trafiggono come lame di pugnali: “Guardate lo scapestrato! L’ha combinata grossa, stavolta!”. Non sento più nulla. Sono istanti disperati, salgo in vettura con la ragazza e l’accompagno a casa sua. Puoi immaginare, dopo il primo momento di panico e costernazione, quale sia stata la reazione dei genitori di lei: la madre mi rivolge le accuse più gravi, il padre chiede soddisfazione davanti a un tribunale, poiché un tale crimine non può restare impunito. Se penso a quel che ho passato poi, credo che Mr Crombie possa ritenersi soddisfatto.

«Dopo una settimana Miss Crombie si è ripresa dal forte trauma, ma non è ancora in grado di camminare. Una domestica l’accompagna in giro con una sedia a rotelle. Sono preoccupato per lei. Mi tormenta la paura che tutto sia finito tra di noi, ma non riesco a cogliere l’occasione per riannodare il nostro legame. Il pensiero che non mi avrebbe mai più rivolto la parola per il male che le ho causato non mi fa dormire. Finalmente, riesco a vederla durante la funzione religiosa di Ognissanti, ben nascosto tra i fedeli che affollano la chiesa. Da dietro una delle colonne, cerco di farmi notare. Ci riesco, cerco di comunicarle il mio pentimento attraverso gli occhi avviliti, ma, per tutta risposta, non ottengo che un’espressione assente, velata di lacrime. Sento di doverle parlare, vorrei abbracciarla, consolarla, fosse anche di fronte a tutti, per dimostrare che non c’è nulla di impuro nei miei sentimenti, ma sono costretto a ritrarmi nel mio cantuccio, in preda alla disperazione. Pochi giorni dopo capisco il perché di quel suo addio: per mettere a tacere tutto l’episodio, dal tentativo di corteggiamento fino all’increscioso fuori programma, di comune accordo, mio padre e Mr Crombie hanno deciso di allontanare l’elemento di disturbo.

«Devi sapere anche che, dopo qualche anno dall’accaduto, mi è giunta voce che Mr Crombie fosse uno dei più grossi proprietari terrieri della zona e che la costruzione della linea ferroviaria alla quale mio padre stava lavorando da mesi dipendesse dal permesso che Mr Crombie avrebbe accordato al suo passaggio. Capisci perfettamente che un tale cliente valeva bene un piccolo sacrificio “umano”.

«Non ti so descrivere l’immenso dolore che ho provato a bordo della nave, mentre piano piano vedevo scomparire la terraferma all’orizzonte, per non essere riuscito a dire addio a Mary, la sola creatura che sentivo di amare più di me stesso… Unica compagnia in quel lungo viaggio l’amico cocchiere, licenziato per causa mia, che pure aveva deciso di condividere il mio destino, magari perché non gli era rimasta altra scelta. Ma non perdiamo il filo della storia, veniamo al mio arrivo in Australia.

«Come avrai intuito, il lasciapassare che mi avrebbe aperto le porte per una carriera folgorante presso la Gold Escort Company si rivela una bufala clamorosa! Infatti, l’Illustrissimo Mc Connell, del grande Ordine dei Vigliacchi, è fuggito dal suo prezioso incarico per paura di cadere vittima di qualche rapina che, da un po’ di tempo a quella parte, non risparmia nemmeno i convogli d’oro più sicuri. Avrei voluto ritornare in Inghilterra con la prima nave, ma l’orgoglio di dimostrare a mio padre e a tutti i miei nemici di non essere un fallito mi ha spinto a tentare la sorte in altra maniera. Certo, non è facile trovare un mestiere decoroso per uno studente senza alcun titolo, ignaro della vita spartana dei coloni d’Australia e inadatto a qualsiasi lavoro manuale, non per cattiva volontà, ma per mancanza di esperienza.

«Lungo il tragitto da Port Philip a Melbourne, mi trovo a osservare la città da un’altura. Eccomi qui, Marvellous Melbourne! Da lassù si vede il fiume Yarra, scuro e torbido per effetto del fondale melmoso, ma lucente dei riflessi del sole, come uno specchio frantumato in tanti spicchi luminosi, sui quali scorrono, a tratti, i profili delle case, di piccole imbarcazioni a remi o, semplicemente, qualche sagoma di bagnanti che si rinfrescano prima di ritornare in strada. La città, pur essendo molto inferiore per dimensioni rispetto a tante altre città europee, sembra un enorme rivolo d’acqua carico di detriti a forma di edifici ordinati, strade, carri e persone, che scorre tranquillo e si diparte come un ventaglio dalle colline fino a lambire il mare, nella cittadina di Williamstown, uno dei porti più caotici dell’Australia. Qui puoi incontrare ogni genere di persona: mercanti inglesi decisi a farsi una fortuna nella colonia, clandestini pagati a giornata come scaricatori, famiglie di aborigeni ridotti ormai a vivere come reclusi, braccati dalle forze dell’ordine ogni volta che celebrano i loro innocenti rituali. Spesso si incontrano galeotti che svolgono compiti diurni sulla terraferma per poi essere rispediti sulle navi galera a notte fonda. Altre volte arrivano gruppi di cercatori d’oro cinesi, per i quali Melbourne è solo un luogo di passaggio prima di raggiungere i campi del Nord Victoria. Quando mi trovo fianco a fianco con questa moltitudine umana, l’angoscia e la solitudine sembrano concedermi una tregua.

«Rinfrancato da quel panorama e pieno di speranza, ho raccolto le forze e quel briciolo di entusiasmo che ancora mi rimaneva e sono andato in cerca di un lavoro in qualche fattoria. Il mio amico di Cambridge, invece, sebbene a malincuore, aveva deciso di restare in città, dove sperava di lavorare per qualche compagnia di trasporti. 

«Dopo aver vinto la diffidenza dei proprietari grazie al mio accento britannico (qui gli stranieri che non sanno la nostra lingua sono visti come il fumo negli occhi), sono riuscito a ottenere un impiego tutt’altro che allettante: la costruzione di immensi recinti per delimitare i pascoli per il bestiame. È un lavoro massacrante, senza orario, insopportabile anche a causa delle calde, interminabili giornate estive, battute da venti torridi e mai offuscate da qualche nuvola che porti un minimo d’ombra. Sarà forse l’incostanza del clima invernale, talvolta gelido, di Melbourne e dintorni a rendere ancora più sgradevole, per contrasto, il caldo della stagione estiva. Comunque, mentre spacco a colpi d’ascia i poderosi tronchi di eucalipto per costruire palizzate da conficcare in quel terreno così polveroso e ostile, arrivo persino a rimpiangere le nebbie e l’umidità del clima inglese!

«Gli operai con cui lavoro non mi rivolgono mai la parola, se non per esortarmi a non perdere tempo durante le brevi pause in cui ci è concessa mezza brocca d’acqua e del pane rinsecchito. Non ci vuole molto per capire che i miei compagni mi giudicano uno scansafatiche, un damerino venuto in Australia per scontare qualche grave colpa, e, ti assicuro, fanno di tutto per confermarmi questa loro supposizione.

«A un tratto, una nuova opportunità di lasciare quell’inferno si fa avanti: un giorno il capo mi chiede se voglio diventare un cow-boy! Al di là del fascino di questo mestiere, il primo motivo che mi ha spinto ad accettare è l’idea di viaggiare da solo, io e il mio cavallo, senza più barriere, abbracciando con un solo colpo d’occhio orizzonti inesplorati… che felicità! Avevo deciso finalmente quale sarebbe stato il mio destino: io che non sentivo di appartenere più a nessun luogo, avrei vissuto da vagabondo attraverso i pascoli del sud, un’esistenza sempre in movimento, un eterno rito di passaggio come l’avvicendarsi delle stagioni. Il tempo dell’amore, a ventitré anni, sembrava già tramontato, l’unica necessità, in questo mio peregrinare, era il conforto della solitudine. Le scelte che sono seguite mi hanno fruttato non poche amicizie, ma mi sono costate l’odio di tante persone care. Sono state forse la pigrizia, o l’incapacità di contraccambiare un sentimento genuino e spassionato, a impedirmi di coltivare l’affetto e l’amore di altre donne dopo Mary. Tante ne ho incontrate che hanno cercato di cambiare la mia condotta, di riportarmi sulla retta via, ma oramai il mio “commercio” contava più di ogni altra pretesa di redenzione. 

«Il resto della mia storia credo tu lo sappia già. Lunghi spostamenti dai pascoli impoveriti del nord a quelli più accoglienti del sud, ore e ore trascorse osservando le folli corse delle mandrie ignare di andare al macello, fredde nottate all’addiaccio attorno al fuoco. In parecchi anni di vita all’aperto ho compreso con quale scarsa attenzione gli allevatori contassero le loro bestie, che spesso eccedevano il numero stimato. Ecco, questa era diventata la mia missione: piazzare il bestiame in eccedenza e garantirmi una piccola rendita. Secondo te è un furto? Io credo di no… in fin dei conti mi sento una specie di Robin Hood delle praterie: tolgo ai ricchi per garantire la sopravvivenza ai poveri… e chi più di me ha il diritto di fregiarsi del titolo di povero?! Ti giuro su me stesso che mai ho accettato le proposte di alcuni soci in affari di assaltare qualche diligenza carica d’oro: l’idea di far del male a qualcuno, si trattasse anche del più spregevole strozzino d’Australia, mi fa ribrezzo. Sai come è andata a finire la rapina al convoglio d’oro nel Gippsland, cui mi sono rifiutato di partecipare? Il cavallo sul quale stava tutta la refurtiva è scappato perdendosi nella foresta. Nessuno l’ha più trovato, tanto meno i miei soci che, nel frattempo, sono stati impiccati per l’omicidio del commerciante d’oro durante l’imboscata… una brutta storia! Sai che ti dico? Preferisco finire la mia esistenza in una topaia che arricchirmi al prezzo di una vita umana!»

Mentre pronunciava queste parole, che suonavano come un ammonimento, aveva il volto serio, imperturbabile, e gli occhi ebbero uno strano guizzo che mi fece rabbrividire.

«Basta. Ho parlato fin troppo. Buona notte» mi disse, e coricatosi su una vecchia poltrona si addormentò. Aveva il respiro pesante.

Me ne andai in silenzio. 

Da quella notte non l’ho più rivisto.

Molti anni dopo, ho saputo che il suo cadavere era stato ritrovato in un canalone sui monti, poco distante dalla capanna, con il cranio sfondato da un colpo di piccone. Fra i principali sospettati, un uomo originario di Cambridge, di cui si sono perse le tracce, che lavorava per la Gold Escort Company. A detta degli abitanti del vicino paese, la baracca della vittima era stipata d’oro grezzo e monete, nascosti in bisacce da sella e, ovunque, lettere firmate da una certa Mary C., che i più arguti supponevano essere stata una delle sue vecchie fiamme…

 

2022-04-21

Aggiornamento

Care Lettrici, Cari Lettori, Siamo alle fasi finali del libro, che a breve uscirà in formato e-book e poi cartaceo. A giugno raggiungerà i vari punti di distribuzione. Sono emozionato, come non esserlo!?! A volte mi chiedo se sarà il primo e l'ultimo, se forse non avrò più nulla da raccontare. Oppure, non ci sarà nessuno dall'altra parte disposto a leggerlo. L'opera prima è sempre un salto nel vuoto. Speriamo lo sia un po' meno l'opera seconda... ma qui lavoro un po' troppo di fantasia! Per ora, teniamoci ben stretta questa piccola soddisfazione! Un abbraccio a chi mi ha sostenuto in tutti i modi in questo cammino! Ciao Luigi
2021-10-03

Aggiornamento

Ciao a tutte/i! Per chi ancora volesse richiedere delle copie del mio libro, potete farlo entro il 7 ottobre con uno sconto del 30%. Basta inserire la parola CASA nel coupon. Buona lettura e grazie per il vostro appoggio!!! 🎈
2021-08-14

Aggiornamento

LUIGI GUSSAGO RACCONTA IL SUO ULTIMO LIBRO Residente a Melbourne da 12 anni, lo scrittore bresciano ha pubblicato una raccolta di riflessioni personali in 18 racconti e una novella. UPDATEDUPDATED 14/08/2021 BY DARIO CASTALDO, MAURIZIA TINTI Laureato in lingue e letterature straniere e dopo dopo alcuni anni di insegnamento nella scuola media, Luigi Gussago ha deciso di partire per un’esperienza di studio e lavoro in Australia. Da 12 anni vive e insegna lingua e cultura italiana e tedesca a Melbourne, ma non ha mai interrotto i contatti con la sua amata città, Brescia. E proprio la sua città natale è palcoscenico di alcuni dei 18 racconti e della novella pubblicata nel suo ultimo libro, La casa, il nido, la prigione. https://www.sbs.com.au/language/italian/audio/luigi-gussago-racconta-il-suo-ultimo-libro
2021-08-25

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Carissimi Lettori, Non ho parole per ringraziarvi del vostro supporto e della dedizione con cui avete cercato di far conoscere il mio libro ad amici e conoscenti. Come avevo già accennato su Facebook, ho raggiunto il traguardo delle 200 copie in meno di cento giorni (piccolo momento di autocelebrazione 🤩). Non avrei fatto assolutamente niente di tutto ciò senza di voi, lo dico in tutta sincerità🎈 Un altro traguardo mi attende: prima che le bozze vengano riviste dall'editore, posso ancora raccogliere ordini fino a raggiungere un ulteriore obiettivo di 250 copie, che si rifletterà in una maggiore visibilità del mio libro. Pensandoci bene, è un'occasione da non sprecare per diffondere il mio progetto!! Quindi, se ancora voleste aiutarmi, siete sempre in tempo! ✨ Un abbraccio forte!!! 🤗 Luigi
2021-08-12

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Ciao a tutti, In questi giorni non ho fatto in tempo ad inviare il mio solito racconto-tormentone del lunedì, ma ho pensato comunque di 'inferire' con quest'ennesima puntata dei miei racconti. Quello di oggi si intitola "Opinioni di un lavapiatti". 🍽 E' la storia di un matrimonio descritto dalle retrovie, attraverso i commenti un po' stralunati di un esperto lavapiatti. Da filosofo degli avanzi, il lavapiatti formula una teoria che giustifica i suoi dubbi sul successo di quel matrimonio: "La prima avvisaglia che qualcosa non stesse andando per il verso giusto fra i due, ve lo dico chiaramente, è l’aspetto degli avanzi dei loro piatti da vivanda. Non fate dello spirito! Vorreste dire che il temperamento di una persona non si può leggere, con un margine di attendibilità altissima, dal modo in cui abbandona o, meglio, dispone e riordina i resti del suo fiero pasto? Parlo proprio di riordinare la portata, non solo di annientarla o, nel peggiore dei casi, rimescolarla senza alcuna traccia di appetito. Chi mangia lascia sempre un po’ di sé in quel che ha o non ha mangiato. Quante volte vi sarà capitato di trovarvi di fronte una bella coreografia di cibarie disposte con estro raffaelliano, dove carne o pesce, contorni e salse, foglie di coriandolo sapientemente dislocate lungo i contorni del piatto vi fanno esitare sulla soglia dell'atto blasfemo di distruggere, con una forchettata, tutte quelle perfette geometrie. Oggi ci si illude di attenuare la gravità del gesto con un’istantanea al cellulare, ma ben si sa che quel ch’è disfatto non si può più rifare. Allora procediamo allo scempio, con polso cauto e dita melliflue ma, lo stesso, non osiamo agire d’istinto, seguiamo una logica. Partiamo, ad esempio, dalla vivanda che meno ci piace, quella che, forse, una volta eliminata, non sciuperà poi troppo il quadro complessivo. Procediamo quindi con la seconda scelta della portata meno appetibile, via via fino ad arrivare al piatto forte, il plat de resistance come dicono i francesi, forse a riguardo del fatto che decidiamo di addentarlo solo con una certa sacrale riluttanza." In definitiva: preferiamo mangiare quella parte della pietanza che ci piace meno, per poi goderci quella più gradita, oppure il contrario? Se ci pensate, questo è un po' anche il nostro atteggiamento nei confronti della vita. Attesa o impeto? La storia continua... Con abilità da investigatore, il bravo lavapiatti non vuole fermarsi alle apparenze... ma non vi racconto oltre... 😏😏🎈 https://bookabook.it/libri/la-casa-nido-la-prigione/ (fotografia di Carlo Buttinoni)
2021-07-26

Aggiornamento

Cari amici, grazie per la disponibilità e, devo dire, la pazienza con cui sopportate i miei continui appuntamenti con il libro 😊 Resistete, manca poco! Oggi vi parlo della novella contenuta nel mio libro. Si intitola "Lettere senza risposta" (scoprirete perche!). E' la storia di un'aristocratica tedesca che si trasferisce in una città italiana ai primi del cinquecento. Racconta le sue esperienze per lettera alla sorella. Dapprima affascinata dal nuovo ambiente, comincia a scoprire sempre nuovi dettagli inquietanti a cui non riesce a dare spiegazione... Se leggerete oltre, vi accorgerete che si tratta di una 'novella nella novella'... 16 novembre 1520 Mia cara Mathilda, Questa mia lettera ti sorprenderà, ne sono sicura. Tre mesi di silenzio non sono pochi, lo so! Non trovavo il coraggio di scriverti, tanto era il timore di averti delusa. Uno strano presentimento a cui neppure io riesco a dare una spiegazione. Il timore di una tua risposta contrariata. Sai che a volte mi faccio guidare dalle suggestioni del momento, non penso alle conseguenze delle mie azioni. Non ho la tua forza, lo riconosco. Ma poi mi sono detta: non nascondere il tuo affetto, coraggio, devi vincere la pigrizia! E allora eccomi qui. Se mi avessi vista! Ho impugnato delicatamente il pennino quasi nuovo e l’ho immerso nel calamaio, stando bene attenta a non infradiciarlo nell’inchiostro, come ho sempre fatto fin da quando ero piccola, ai tempi in cui si studiava con il precettore. Ti ricordi quante ore, e quanta pazienza gli ci sono volute per farmi imparare ad usare la mano destra, mentre io mi ostinavo ad usare la mancina? In questo mondo di pennini e calamai non c’è posto per noi mancini, lo so! Forse un giorno inventeranno uno strumento di scrittura meno insidioso ed avvilente, che renderà ognuno di noi libero di scrivere con la mano che preferisce. Una nuova frontiera per la democrazia! Ma, per ora, perdonami le chiazze d’inchiostro e gli obbrobri che troverai disseminati qua e là sul foglio. Certo, dirai, potrei prendermi la briga di riscrivere la brutta copia, la carta non mi manca. Eppure sento che una lettera scritta di primo pugno è più genuina, più emozionante, perché una correzione, una lettera più sghemba del solito, si portano appresso le nostre indecisioni, i nostri fremiti. Ecco, come sempre mi perdo in un bicchiere d’acqua. Da questo capirai che il mio nuovo ruolo di moglie non mi ha cambiata per nulla, sia nel temperamento, sia, ti garantisco, nell’aspetto fisico. Poco alla volta sto facendo conoscenza con questa città austera, fatta di mura bianche candide e assiepata di campanili. Il nome non ti dirà nulla, come non diceva nulla a me prima di arrivarci: si tratta di Brescia, che i giureconsulti ed alcuni prelati, amici del mio consorte, insistono a chiamare Brixia, alla maniera latina. Gliel’ho sentito dire spesso; ciò nonostante, non si parla più il latino, ma una lingua volgare che, come puoi ben intuire, non capisco affatto. Non ha nulla a che vedere con il nostro alto tedesco, e nemmeno con il basso. E’ una cosa distinta, tanto poco musicale da ricordare i ritornelli, sempre uguali, di alcune nenie di paese. (foto del Birmingham Museums Trust)
2021-07-22

Aggiornamento

Un articolo tratto dal quotidiano australiano "Il Globo", 22 luglio 2021. 😄 Grazie alla redazione! Luigi
2021-07-19

Aggiornamento

Carissimi, ecco un nuovo aggiornamento sui racconti di "La casa, il nido, la prigione". Puntata n. 4: "Lezioni private"📖 E' la storia umoristica, ma a doppio taglio, di un'insegnante di inglese un po' attempata e timorata di Dio, che lavora ormai da anni in una scuola privata alla periferia di una grande città del nord. Un giorno uno dei clienti più importanti le propone di dare lezioni private ad una classe con esigenze molto particolari 🥳 Per saperne di più, aggiungetemi su Facebook: https://www.facebook.com/luigi.gussago.9/ Photo by Timo Wagner
2021-12-07

Aggiornamento

Terza puntata dei miei racconti. 🎈🎈🎈 Questa volta vi parlerò de "Lo straniero". La storia si svolge nella placida cittadina americana di Oak Flat a metà dell'800, all'epoca della segregazione razziale. Un misterioso personaggio, piovuto dal nulla, e dal nome un po' esotico di Cicikov, porta una ventata di cambiamento nel feudo di David Greene... Non vi racconto altro, solo che la storia si ispira a due autori a me molto cari, per vocazione umoristica: Mark Twain e Nikolaj Gogol'. Seguitemi su Facebook per avere ulteriori particolari... 😎 https://www.facebook.com/luigi.gussago.9
2021-04-07

Aggiornamento

Cari amici! 😎 Come di consueto, lunedì troverete un aggiornamento ai miei racconti, con un nuovo episodio dal titolo "Un'amicizia". 🤝 Cos'hanno in comune una coriacea mamma del sud e una bellicosa mamma del nord?? Di sicuro la devozione, a volte un po' maniacale, per i figli! Seguitemi su Facebook per sapere come va a finire!🎈🎈🎈 https://www.facebook.com/luigi.gussago.9
2021-01-07

Aggiornamento

Brano tratto da "Formiche", un racconto di "La casa, il nido, la prigione". Cos'è l'amore?
2021-06-27

Aggiornamento

Carissimi Lettori, Grazie dell'interesse che state dimostrando per i miei racconti! 🎈 Seguitemi su Facebook per esplorare le mie storie ed avere qualche 'assaggio'! 📖 Non mancate! 🚲🛴🛵🛹🎈 Prima Puntata: "La guerra di Josepp" Quando: Domani 28/06 su Facebook (post) Aggiungetemi a: https://www.facebook.com/luigi.gussago.9 Per prenotare il libro: https://bookabook.it/libri/la-casa-nido-la-prigione/

Commenti

  1. Isabel Moutinho

    (proprietario verificato)

    Luigi Gussago, La casa, il nido, la prigione. Bookabook, 2022.
    This book is a little treasure (actually, not so little!). If anyone who is reading this has not yet read it, I suggest you beg, buy or borrow a copy asap. It is a wonderfully eclectic collection of short stories, with a great variety of genres and settings, divided into 5 thematic groupings, plus one (which engages with two favourite writers of the author) on its own. The two opening stories are set in Australia, and they are worlds apart, one in the historical past (starting in 1854), the other with a dystopian representation of a very distant future (in 2372). “Storia di un mercante di cavalli” begins in England, bringing its protagonist to Port Phillip Bay and Melbourne, where he observes the presence of the social groups that can be expected in a colonial setting. But this young man, who was destined to become an accountant, chooses instead a droving life, explaining: “io che non sentivo di appartenere più a nessun luogo, avrei vissuto da vagabondo attraverso i pascoli del sud, un’esistenza sempre in movimento, un eterno rito di passaggio come l’avvicendarsi delle stagioni” (p.25). It is the first meditation in the book about the choice of roaming and “the comfort of solitude”, as well as the partial loss of a sense of belonging it may entail. We are thus set on a wandering path: home, away from home, back home.
    The third story, “La trincea”, included in a section called “altri mondi, attorno”, gives us an essential clue about the meaning of such shifts — in time and place. It tells of a boy who runs away from the home where his mother is about to hold a wake for his grandfather. The boy having not known his father, the grandfather became his “papà-nonno”, and his hiding in the nearby woods has to do with his profound sense of loss. When the boy understands that he is seeing his nonno, as a young man, in the forest, he asks him if they have gone “indietro nel tempo”, to which the nonno replies: “Il passato convive sempre con il presente e con il futuro, solo che occupa una dimensione diversa…” (p.42). The stories may have conspicuously different settings, but here we understand how the temporal shifts fit seamlessly together, with present, past and future experienced as a continuum.
    The juxtaposition of stories with historical settings to others that are clearly speculative fiction is particularly distinctive. The latter are not quite science fiction because of the author’s appealing way of giving these stories a very familiar setting. “La grande involuzione” begins with a group of school children playing, chatting, listening to one who is a bragger, even going to buy bread at an old-fashioned bakery. Only then do we see suburbs cluttered with abandoned objects which no longer make sense to the inhabitants. At home a father reads “alla pallida luce di una candela”, but he agrees to explain to his son how the world has changed because of the fights between the “grandi costruttori” and the “piccoli costruttori”. It is in the speculative short stories that Luigi Gussago makes his most incisive social comments and reflections on humanity. Observing the world around him, the author extrapolates and imagines all possibilities (rather dystopian, but also very credible), which allow him to develop a strong vision of a not very desirable future for our society.
    There are stories narrated by their protagonists, and stories that seem to be told in the third person until we notice a very discreet “io”: the drover tells his story in the first person to a silent interlocutor who becomes the narrator of the written story, confessing: “Mi bastava starmene in silenzio, ad ascoltarlo, sense fiatare” (p.18). The device of someone who writes down a story, or listens to it, or translates it, is recurrent in the book, and that “io” or “me compreso” (p. 43) is always self-effacing, someone who just happens to be there, witnessing with empathy, interpreting, and passing the story on.
    Equally discreet but frequently popping up in unexpected places (to this reader’s great delight) is Luigi Gussago’s sense of humour. Every now and then, a passing comment that reads almost like an aside brings an irresistible flash of humour. Other stories are hilarious, for ex., “La resa dei conti” and “Opinioni di un lavapiatti”. “La resa dei conti” first makes the reader wonder why so many characters have opera-related names. Little by little, a very comic (and dramatic) story of revenge unfolds, worthy of Don Giovanni’s furious, avenging women. For his part, the “lavapiatti” has an uncanny and very funny analytical skill, which allows him to tell, from the state of the food left on plates at a wedding reception, if the marriage in question will be a successful one.
    With the largest number of stories, the “donne” section offers a variety of heroines studied in detail, and a cascade of delightful surprises. These stories reveal careful, sympathetic, nuanced observation of women, from the north and the south of contemporary Italy (two mothers pugnaciously proud of their children, each in her own crushing way; a rock singer whose private and public struggles have almost destroyed her; the irresistible Signorina Assunta, an English teacher who has a lot to learn; and the avenging Fury already mentioned) as well as a series of women from the past, including the amazingly feisty Giuseppina who wins her battles with unsurpassable dignity and strong family values in rural Italy in the 1940s; a wan, mysterious heroine in St Petersburg; an admirable German woman accused of witchcraft in 1445; and another German young woman engaged in a one-way epistolary story that turns into a sixteenth-century thriller. These women are invariably portrayed with tenderness and great subtlety.
    It is impossible here to do justice to all the stories, but I’d like to finish with my favourite: “Ambasciator”, set in Brescia in 1531. Here we have a first person plural narrator, two messengers who resent being made to work on Christmas night, especially in the bitter cold. When they arrive at their destination, looking through the window, they see a loving family scene, appropriately Christmassy. The scene is heart-warming: a mother is reading a letter to her two small, sleepy children. (Letters play a central role in several of this collection’s stories.) They must look from the outside but can also hear her voice. Suddenly the woman interrupts her reading, with signs of great distress. Neither the children nor the messengers know why. The messengers believe it is the right moment to announce their presence, so that the good news they bring may cheer up the mother. Without dropping any spoilers, this story, one of the shortest, using a clever mix of the visual scene and the letter heard by outsiders (always a highly effective theatrical device when read on stage), achieves an extraordinary level of tragic irony, with a perfectly restrained, shocking denouement.
    Luigi Gussago excels at narrative restraint and subtlety, humour, intertextual recalls from one story to another and of writers he admires, a strong capacity for human compassion, and thorough research of historical and cultural settings that allows him to imagine the future with poignancy. This short story collection is a real gem.

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Luigi Gussago
Si è laureato in Lingue e Letterature straniere a Brescia ed è stato per alcuni anni insegnante d’inglese e di sostegno presso varie scuole medie. Vive a Melbourne dal 2009, ma conserva ancora radici ben salde nella sua città d’origine. Attualmente insegna italiano, tedesco e francese a studenti universitari o adulti. Ha pubblicato un volume sul romanzo picaresco, numerosi articoli di letteratura comparata ed ecocritica, oltre ad alcune traduzioni dall’inglese, di cui una di prossima uscita. Al momento sta lavorando con un collega a un progetto di ricerca sul contributo di agricoltori e distributori di origine italiana al settore primario dello Stato di Victoria (Australia). La scrittura creativa occupa, di necessità, uno spazio contenuto, ma prezioso, nella sua vita.
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