Circa tredici miliardi di anni fa l’universo iniziò a ritirarsi. Non fu di certo una novità, come ogni cosa il destino del “tutto” ha un inizio e una fine. Lo spazio-tempo si contrasse e come una lattina, come una patatina stretta forte tra le dita, poco dopo, collassò su se stesso. Divenne polvere, poi atomi, poi molecole, poi niente. Il nulla. I Saggi dell’universo appena estinto, come di consuetudine, salvarono dalla catastrofe un uomo e una donna che da lì a breve avrebbero preso il loro posto perché attraverso un gesto d’amore enorme la vita potesse prima o poi ricominciare. Andava avanti così da tempi ormai talmente remoti che nessuno ricordava come ogni cosa avesse avuto principio e nessuno d’altronde aveva più voglia di chiederselo. Obsolescenza programmata; così la chiamavano i Saggi. Quando qualcosa non offre più possibilità di sviluppo è giusto che si spenga, che venga sostituita per ampliare le opportunità.
Una lezione che veniva tramandata dopo ogni Big Crash. Tuttavia i motivi che quella volta portarono alla sofferta conclusione universale furono ben diversi. Ben più complicati. Tutto procedeva per il meglio, il nuovo universo si espandeva regolarmente e l’evoluzione sulla terra sembrava stabile come non mai. Le prime forme di vita iniziavano ad abitare le acque per poi raggiungere la terra e farsi forti. Nove miliardi di anni dopo il Big Bang i primi mammiferi iniziarono a scalare la catena alimentare, ad antropomorfizzarsi. In Africa alcuni primati come gli scimpanzé, gli oranghi e i gorilla, cominciarono ad umanizzarsi. La loro intelligenza sembrava fornirgli degli strumenti completamente nuovi che messi al servizio di un corpo coraggioso e reattivo delineavano un modo inedito di stare al mondo. Le mani impararono ad afferrare con sicurezza, a modellare la pietra e il legno per creare oggetti utili alla sopravvivenza. La schiena curva di questi primordiali ominidi iniziò piano a raddrizzarsi e l’equilibrio della vita scivolo piano per i fianchi fino a stabilirsi sulle gambe. Nei mondi precedenti questo processo di erezione strutturale era stato molto più lento e i Saggi non potevano che dirsi soddisfatti. –L’uomo è in piedi- si dissero sorridendo felici, -che impari a migrare, adesso! Che conosca l’amore!
– LA PANCHINA
Si apre il sipario. Alle destra del palco l’orologio di un campanile segna le 20.58. Le luci si accendono, un ragazzo e una ragazza entrano portando insieme una panchina, la posizionano al centro della scena e siedono. Un faro illumina il ragazzo. Adesso lo sento il suo respiro. Mi arriva sul naso, no no, un po’ più giù. È così strano, fresco. Sta succedendo davvero. Lei è così bella… Pochi secondi, e le sarò sulle labbra. Devo riuscire a non pensare. Che terribile vizio del cazzo, il pensiero. Un po’ di silenzio adesso sarebbe l’ideale. Un deserto, dentro. Poi? Non so, dovrei forse dirle quanto la amo? Quantificare quello che ho dentro perché possa avere un peso e una forma, anche fuori? Marika guarda, le direi, i tuoi occhi mi vedono! Sono lì dentro, sempre più grande. E tu? Riesci a distinguerti nei miei? Mi sta abbracciando, sento le sue mani sul collo, sulla schiena. Sono il suo territorio e lei passeggia. Spero di poterla stringere anche io come si deve, farla sentire al sicuro. A casa. O dovunque lei si senta tale, che importa. Manca così poco… Devo essere pazzo, sto per baciarla, lei sorride, e io penso. Non dovrei pensare, rischio di distrarmi, di non essere qui al momento giusto. Di deluderla. Eppure è così grande il tempo, tutto nell’universo è accaduto perché un giorno qualsiasi, di un dicembre qualsiasi, su questa panchina io e lei fossimo un unico gesto. Quanto è costato al mondo questo istante? E quanto costerà? … Che cazzo me ne importa poi? Non devo pensare. Non devo pensare. Non devo pensare! Cristo, ha chiuso gli occhi. È il momento, mi aspetta. Spero d’esser puntale. Tutto sbiadisce, il mondo non esiste, non accade nulla intorno a noi! Niente di niente. Ho chiuso gli occhi, è importante farlo, dimostrare all’altro di sapersi trovare senza vedere. Al buio. Non devo pensare. Silenzio. I due ragazzi escono di scena portando via con loro la panchina. Si spengono le luci. In fondo al palco si accende un grande schermo che trasmette dei video.
CLIP 1 – “GUIDO” (Un bambino cammina in una casa piena di gente. Sono tutti vestiti di nero. Parla guardando nella telecamera) Nonno ha fatto la guerra, in quel casino ci ha perso un occhio. Non ricordo se il destro o il sinistro, ormai non ci vede più, e va sempre in giro con quegli occhialoni grossi e neri, come ci fosse sempre un sole forte. Nonno aveva sedici anni durante la guerra, noi siamo tanti nipoti, e ci ha sempre riempiti di storie incredibili. Fughe, bombe che cadevano, giochi al buio, i fucili… mi piacciono da morire le storie sui fucili. La mia mamma, che poi è sua figlia, dice sempre che è un chiacchierone. Io non lo so, la mia maestra una volta me l’ha urlato –Guido, ma sei un chiacchierone!-, in faccia, perché disturbavo la verifica di matematica, io avevo già consegnato, mi annoiavo. Insomma, la voce del nonno non mi ha mai disturbato. Parla tanto, ma non spreca parole. Non so come spiegarlo. Eppure adesso… E lì da due giorni, seduto su quella sedia. Le dita incrociate sul bastone. Zitto. Guarda la nonna. “Guarda” forse non è il verbo giusto, ma i suoi occhi non si muovono da quel letto. Non la vede, ma sa che lì distesa c’è mia nonna, che poi è sua moglie, ha le mani sul petto. Ben vestita, tutta truccata, sembra ringiovanita. Eppure non respira, ho controllato. C’è un odore strano per la casa, e un sacco di gente che viene saluta tutti e va via. La nonna è immobile. Il nonno è immobile. Si erano conosciuti durante un bombardamento, -La paura ci ha fatto abbracciare forte!- diceva sempre lui. Poi sorridevano. Mi sono avvicinato al suo orecchio, dicendo piano –Nonno, raccontami ancora di come vi siete conosciuti, tu e la nonna!- Lui mi ha accarezzato. -Non ora Guido!- Papà mi ha detto che nonno è così triste perché la nonna non c’è più, succede quando perdiamo le persone che amiamo. Sembra terribile, anche se di questa cosa che non esistiamo più io non ci capisco granché. Da qualche parte dobbiamo pur finire. Papà dice che sono ancora piccolo per capire. Non capisco neanche questo. Boh. Ho guardato nonno, aveva le guance umide. Non li vedo da un bel po’ i suoi occhi, ma di certo sotto quegli occhialoni scuri dev’esserci una tempesta. Altro che sole forte.
CLIP 2 – “ANDREA” (Un uomo e una donna discutono in cucina) -Voglio il divorzio!- -Cosa?- -Voglio il divorzio.- -Luisa…- -Mi dispiace…- -Perché?- -…- -Dimmelo ti prego.- -È terribile….- -Dimmi perché.- -Non ti amo più!- -…- Andrea prese una sigaretta dal pacchetto sul tavolo, la accese, e camminò fino alla porta d’ingresso. La aprì. Cigolava un po’. C’era la neve fuori, ma non importava. Uscì nel vialetto in golfino, camminò lasciandosi dietro le impronte dei sue passi, nuvole di fumo, e una porta aperta. Non sentiva freddo. Non sentiva alcun rumore alle sue spalle. Allora le credette.
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