– Emilio sarà sempre il mio grande amore.-
– Veronica sarà sempre il mio grande amore.-
Ci credessero o no, fosse una facciata di difesa, un’auto convinzione, un sentirsi uomo e donna vissuti, Camille e Ryan dissero questo tradendo il loro sguardo. I loro occhi e i loro corpi erano chiaramente rivolti e attratti l’uno dall’altra, e potevano credere di scampare ai loro sentimenti per quel momento, ma il futuro,il futuro serbava cose inimmaginabili.
– Gibba adesso arriva il pezzo, preparati!-
– ‘Cause Uptown Funk gon’ give it to you
Saturday night, and we in the spot
Don’t believe me, just watch, come on!”-
Enea si mise a molleggiare, quasi come Bruno Mars, anche se sbagliava clamorosamente i tempi e il ritmo.
Camille e Serena erano sdraiate sul letto, a pancia in giù, con i piedi sospesi in aria, e si godevano lo spettacolo, mentre Ryan rideva a crepapelle dell’amico, senza però unirsi a lui.
Marina, invece, rimaneva sullo stipite della porta a guardarli, un po’ intimidita. Soffriva di asma, e gli acari erano i suoi acerrimi nemici – Io vi guardo da qui ragazzi. Vi va di scegliere un film per questa sera?-
– Siii! Dear John!-
– No, nemmeno scannato!- disse Ryan, polemico.
– Ma se non sai nemmeno cos’è!-
– Mi suona famigliare, me lo avranno fatto vedere le mie sorelle!- lui era l’unico, fra quattro donne.
– Cos’è Cami?- chiese Marina ,incuriosita.
– Una storia d’amore di Nikolas Sparks, ma che coinvolge anche un marines! Molto tragica –
Marina storse il naso, ma Serena invece era entusiasta.
– Mi piacciono le storie tragiche!-
-Decisione alla festeggiata allora!-
– Prima guardiamo Scream!- i film di paura erano il giusto pretesto per trovare la felpa di un prode cavaliere, dietro cui nascondersi e tapparsi gli occhi.
– Io mi sto scaricando un libro, non ho voglia di guardare il film- disse Ryan, con tono distaccato e lamentoso. Camille era vicino a lui sul divano, ed erano leggermente staccati dagli altri.
– Va bene, fa’ come vuoi – e Camille lo disse con tale noia, che in meno di dieci minuti Ryan mise via il cellulare, e si rassegnò a guardare Dear John, che fu comunque il prescelto, perché Enea si astenne dalla votazione.
Camille, raggomitolata dal freddo e dal film nostalgico, guardava lo schermo ipnotizzata. Ryan, con movimenti lenti e silenziosi, si era pian piano avvicinato a lei, e senza che nessuno dei due se ne rendesse davvero conto, finirono abbracciati.
L’aura di Ryan tremava, e il grigio era il suo colore dominante. Quando si erano conosciuti Camille non era riuscita a scorgere la sua ombra per davvero, perché sbiadiva in un strascico e sussulto di morte.
Ma ora era diverso guardarlo.
Era diverso.
Era come se sentisse la sua aura, e non solo la contemplasse.
Percepiva il riverbero delle sue pieghe come gonfi rivoli di pioggia che si sfioravano l’un l’altra, e la sentiva come se fosse propria.
Era connessa, intrecciata come la prima volta che le loro mani si erano unite per caso, in giochi e dispetti.
Camille ricordava ancora quel momento.
Era stato solo un secondo, ma un fremito in lei era sorto.
Nonostante questo, non riusciva ancora ad avere di lui la visione completa.
Ryan nascondeva qualcosa, qualcosa di cui aveva paura e al tempo stesso voleva.
Qualcosa di oscuro.
Camille avrebbe voluto fissare quel momento per sempre.
Si sentiva in pace, una pace impossibile da descrivere, così soggettiva per tutti coloro che sono fra le braccia di chi amano.
Quella notte Camille avrebbe voluto abbracciarlo, ma ogni volta che facevano un passo in avanti, avevano una reazione uguale e contraria.
Al sorgere del giorno l’incanto era terminato, ma non nei loro cuori, no, perché non passò molto tempo prima che finissero nuovamente uno fra le braccia dell’altro.
Le uniche due calamite al mondo che non sapevano se attrarsi o respingersi.
Quella mattina passeggiarono in campagna fra spighe dorate e risate felici, e Ryan, smanioso di sfide, aveva cercato di saltare da una riva all’altra di un ruscello: si era quasi spaccato un ginocchio. Poi, per completare l’opera, si era arrampicato su un melo insieme ad Enea.
Erano peggio di due pesti.
-Arrrrgh!- fece Enea all’albero, battendosi le mano sul petto e urlando.
– Gibba il tarzan!- e Camille catturò il suo instante, il suo divenire.
– Basta video, oh- disse Ryan indispettito, con un tono che non era il suo.
Mascherine, grostoli, e stelle filanti vennero tirate fuori, mentre Ryan ed Enea si cimentavano in Just dance tre, dove solo tenendo un telecomando sensibile al movimento, dovevano seguire le coreografie di due omini sullo schermo.
Camille, Serena e Marina si godevano intanto lo spettacolo.
-Su Enea – disse Ryan sculettando in pigiama.
-Ole – e l’amico fece una scivolata di lato, puntando le braccia e indicando l’amico.
– Ah, tocca a me!- disse Ryan facendo una piroetta da top model.
– Vai! quattro stelle! UHU!-
Quanto erano teneri. La loro amicizia non sarebbe mai finita, mai.
– Vieni qui draghetto! Dai che ti dipingo le guance!- Ryan fece una faccia da pesce lesso, terrorizzato.
– Io sono un assassino, gli assassini non si truccano – disse lui, mettendosi il cappuccio della propria felpa in testa, mimando Altair ed Ezio.
– Wow – fece Camille, ammiccante. L’idea dell’assassino stile Robin Hood, spietato, che uccide dall’alto in volo e con una balestra, la intrigava.
S’immaginava di essere una paladina della giustizia, fedele ad un codice e ad un credo, pronta a sacrificarsi per salvare qualcuno. Sempre in fuga, sempre letale, e sempre invincibile.
Una bella sensazione, l’avventura.
Enea, invece, si lasciò torturare e Camille gli fece un viso bianco di cerone, gli occhi neri e il sorriso alla Jocker.
Il borgo di Castiglioncello era tutto torri e salite, e i carri addobbati sfilavano lenti e maestosi, rumorosi e kitsch.
Le tre grazie, Grazia, Graziola e Graziella, erano figlie dei fiori, spensierate e allegre, in un mondo onirico, sotto le note di Let the Sunshine!
Hair era ancora nei cuori della gente.
Ryan, invece, si era calato nella parte di killer silenzioso, ed era guardingo e tagliente, nella postura e nel viso.
Il suo sguardo, la sua camminata felpata, la sua espressione erano contriti e pericolosi: lui non stava più fingendo.
La sua aura era l’insieme di due sovrapposizioni, uno spettacolo o uno scherzo della natura, la reincarnazione del sublime.
Chi era Ryan?”
Capitolo XXVI – Turning point-
A te, primo bacio.
28 Luglio
“Appena mi hai vista lungo la battigia illuminata dal sole, ti sei girato, ti sei girato tre volte. Forse era destino che io e Marina passassimo di lì, proprio in quel momento.
Non ci hai pensato un secondo prima di fermarmi e chiedermi banalmente – Scusate, sapete dov’è Sabbiadoro?-
Ricordo ancora il tuo forte accento barese e il modo di fare scafato e disinvolto.
Ci piacemmo subito, c’era chimica fra noi.
Avresti potuto inventare una scusa più plausibile, il tuo asciugamano era proprio nella spiaggia che non riuscivi a trovare.
Che smemorato eri, eh?
Il mio numero però te lo sei salvato, e il giorno dopo ti sei alzato alla sei del mattino solo per darmi il buongiorno con il mare calmo e placido.
Volevi sentire se fossi fredda dopo l’acqua ghiacciata di quel quella giornata nuvolosa e mi hai stretto nelle tue braccia. Io ingenua, non capivo perché lo avessi fatto, ma dopo poco, intenti a cercare pomodori di mare sotto gli scogli frastagliati, l’hai fatto di nuovo, e lì, sotto il sole di mezzogiorno, mi hai baciata, mentre i nostri piedi sguazzavano nell’acqua cristallina pullulante di granchi e pesciolini. È stupido forse, ma mi hai stretta fra le braccia piccolina e minuta e mi hai preso la mano, per non lasciarla più in tutto il giorno. Uno slalom qui, uno slalom là, fra gli ombrelloni e i turisti accaldati a rosolarsi sotto la crema solare.
Un albero in ombra in un prato curato, qualche bacio rubato e dolce carezza- Quanto sei bella alla luce del sole, hai occhi accecanti e una bocca di rosa. Dita leggere e minute, una chioma setosa- mi sussurrasti nell’orecchio.
Baci di sale nel mare trasparente e e dita curiose attorno ai miei fianchi. Risate e spruzzi d’acqua, e come una boa portavi in giro me e Marina dove non toccavano il fondale.
Avranno tutti pensato a un menage à trois, ma che importa? Eravamo felici.
Com’è finita?
Quel giorno a Bari sono venuta da te, e mi hai fatto vedere la tua città. Chiunque in giro ti salutava e chiunque si chiedeva chi fossi.
Chi fosse la tua nuova conquista.
Sentivo i mormorii fino a Monopoli.
Parlavamo sorridenti, ma avevi paura a sfiorarmi. Un uomo, un fotografo, ha rubato uno scatto, mentre io, te, Marina e Luca passeggiavamo. Siamo stati avvistati e che ne sai, magari quella foto farà il giro del mondo, passerà di generazione in generazione.
Alla stazione dei treni mi hai dato un bacio leggero, per salutarmi poi prima di andartene. Eri già lontano, ma ti sei girato un’ultima volta, con il sorriso.
Non ti rividi più.
Mi dissi che era meglio così, e io ci rimasi male.
‘Volevo dirti che nonostante tutto e nonostante come sia andata a finire, è stato bello conoscerti, e conserverò di noi un dolce ricordo, Camille’
È stata una fugace avventura, ma che nel mio cuore, ha lasciato un segno.
Un bacio Pier. ”
A te, Bubba Gamp.
28 Agosto.
” Miami, mi ami?
Io si, sei uno stereotipo megalomane di palme e occhiali Ryban, di surfisti morsicati da un pescecane e di una famosa Palm Beach un po’ nudista e perbenista. I Nachos al formaggio, le Donuts in riva alle spiagge con tanto di bagnino in costumino rosso: una Baywatch rivisitata.
I tuoi svettanti grattacieli, il tassista jamaicano con la collana e denti d’oro, una giovane ragazza che mi tatua con l’hennea, e il Bubba Gamp con Forrest il corridore: un sogno.
Country clubs e una bicicletta nel quartiere di Desperate Housewiwes, una Cypress Bay High School con cheerleaders e banda, e un campo da Rugby più simile a quello di Lacrosse del caro Scott Mccall: quanto invidio gli alligatori che sguazzano nelle tue acque.
Distanze troppo lunghe, una decappottabile che con il vento mi scompigliava i capelli, e una corsa interminabile per cercare un test di gravidanza. Non per me, figuriamoci, per una tua amica, Sonia.
Che ridere, e che disinvoltura.
Non ero abituata e credevo di stare in un mondo ribaltato, ma ora, credo che forse ci sia bisogno di quella scioltezza. No certo, non a quei livelli, ma una pillola inizialmente amara, a volte aiuta.
Nick, che ridere in quel grande magazzino. Io te e Sonia siamo sprofondati in un puff morbido, e poi cretini, ne abbiamo fatto precipitare una fila da uno scaffale. Devo ammetterlo, eri davvero irresistibile. Non eri il mio tipo, ma oggettivamente eri bellissimo. Quella sera ero spaventata all’idea di conoscerti, che ne sapevo che un italo americano mezzo francese potesse essere così simpatico? Da fuori però, sembravi un po’ superficiale, e tu che ti eri preoccupato di quale impressione avessi avuto di te!
È stato bello conoscerti, Nick! Rimarrai sempre l’americano più bello che conosca!
Ah, dimenticavo, cinemino in lingua con Bad Moms e una fetta gigante di Cheescake al tramonto dipinto sono da ricordare.
Oddio, e poi, il bibliotecario fulminato dal mio viso paonazzo ustionato dal sole?
Ha cercato di attaccare bottone, ma io mi sono finta francese: i francesi non capiscono una fava di inglese! (Vive la France e Quasi Amici!)
Sonia, tu e tua sorella avete risvegliato in me quel masochismo controproducente che ogni volta mi dice:” Guarda un film Horror, che poi passa!”.
Vi voglio bene ragazze!”
E a te, Poisoned Starfish.
28 Settembre
Cara isola avvelenata, quali segreti nascondi?
Miscelate due quarti di vodka liscia con uno di succo alla pesca, prendete una bottiglia da cinquanta centilitri di birra, e alternate a piccoli sorsi le due bevande: nel giro di dieci minuti vedrete le stelle del firmamento. E che stelle! Roteanti nel cielo e interscambiabili. Insomma, avrete per un po’ un equilibrio precario, vi consiglio di stare lontani dall’acqua del mare al chiaro di luna, e da precipizi scoscesi: meglio non tentare il canto delle sirene.
Ecco, tu isola mia, sei stata questo.
In una spiaggia buia e appartata, dietro ad una barchetta di pescatori, hai visto noi, giovani oche giulive, bere a tracollo da bottiglie avvelenate. Hai visto noi a notte fonda ballare senza freni sulla sabbia, non curanti del resto del mondo. Hai visto noi bugiarde, pur di uscire ed essere libere.
Una corsa alle sei di mattina lungo i tuoi tortuosi sentieri e il mare in bellavista mi ha aiutata a capire che se vuoi raggiungere qualcosa, devi sudare amaramente e perdere il fiato. Un bagno alle sei di mattina invece, mi ha fatta sentire in pace con tutto, e in silenzio.
Il silenzio.
È strano trovare il più tagliente e placido silenzio tutt’oggi. Ma, sotto la superficie dell’acqua, c’è. Io che avevo la fobia del mare, ho fatto snorkeling in acquee fonde e infide, e non ne sarei più uscita.
A te, bulimia
28 Ottobre
“Rapporto malato eh, il nostro?
Ti caccio, ti fuggo, ma sei sempre lì ad aspettarmi, al baratro. Ti temo come gli occupati di Seneca temono la morte: bramandola. La invocano perché sono deboli e in preda alla loro incertezze, la fuggono perché alla fine si sono resi conto di voler vivere davvero e non occupare lo spazio vuoto del loro tempo in negotii vani, oggi identificabili con tutto ciò che ci rende tristi, che ci priva della felicità. Bramano la morte perché non abbastanza forti per vivere.
Io ti bramo, brutto serpente velenoso, per punirmi, e poi pentirmi di essermi punita.
Un circolo vizioso senza fine sì. Se taglierò la tua testa, il tuo corpo morirà, solo che non trovo ancora la tua origine.
Da dove vieni?
Chi ti ha mandato?
Chi ti ha chiesto di mordermi con i tuoi aghi avvelenati?
Chi ti ha ordinato di uccidermi lentamente?”
marino.rosso (proprietario verificato)
Prima di tutto un’ osservazione critica: il libro di Angelica chiede a gran voce un’ultima mano che si porti via errori di battitura, lapsus e simili. Ma non solo: stesse in me, sostituirei l’attuale preludio, scritto in corsivo, con il vero preludio, cioè la prima pagina e mezza del primo capitolo, che lì è sacrificata. Ecco le belle frasi iniziali: «Quasi cinque anni dopo, e Camille ci pensava ancora. Un sentimento che era cresciuto in lei e con lei, che le aveva sconvolto l’esistenza e al tempo stesso colorato e amareggiato l’anima.» Ecco la bella chiusa: «Proprio per quello in cui credeva, nonostante tutto, e nonostante fosse passato molto tempo, si trovava a tarda notte davanti al suo portatile sotto le note di City of Stars intenta a raccontare quello che era successo pochi anni prima: l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita che l’avrebbe cambiata per sempre.» L’intero libro che segue, fino quasi alla fine, è un grandioso flash back dove Angelica dà una voce matura all’immaturità. Provo a spiegarmi.
Non esiste nel vocabolario un nome per l’età dai quindici ai diciotto. Se l’infanzia è l’età dell’oro, quella è l’età dell’argento. Chiamiamola “immaturità” anche se è un termine negativo (ma anche “in-fanzia” lo è): allora sto dicendo che Angelica non ha confezionato un’ennesima descrizione matura dell’immaturità, ha dato voce all’immaturità, ma paradossalmente è una voce lucida, penetrante, comprendente, autorevole, eppure l’immaturità è lì, con tutta la sua l’energia,
cromaticità, musica, poesia e crudeltà uniche. È come se un grande regista, senza mai rivelare la sua presenza, fosse riuscito a muoversi per anni in mezzo a giovanissimi nella più totale autenticità del loro vivere, creando un documentario allo stato puro, senza il minimo artificio di montaggio, trasparente all’incanto e al dolore di ciò che documenta.
Grazie Angelica!
NICOLETTA GUARINO (proprietario verificato)
Veramente bello il tuo libro. Complimenti…..
Antonio