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A piedi nudi sull’erba

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Consegna prevista Luglio 2025
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Giulia e Ale si conoscono all’asilo e da quel momento diventano inseparabili.
Hanno caratteri completamente diversi: lui è socievole e sicuro di sé, lei timida e riflessiva, e trova in Ale il suo punto di riferimento. La loro amicizia è complicità, è esserci sempre e comunque l’uno per l’altra, è guardarsi di nascosto per assicurarsi che l’altro stia bene, è capirsi soltanto con uno sguardo, è prendersi cura a vicenda e, forse, è anche qualcosa di più.
Questa è la storia di un legame così forte da oltrepassare le barriere della lontananza, superare i propri limiti e affrontare le proprie debolezze. È la storia di un cambiamento, di consapevolezze, di sentimenti che travolgono e lasciano senza fiato. La storia di due vite intrecciate e unite per sempre.

Perché ho scritto questo libro?

Inizialmente ero semplicemente convinta che la loro amicizia meritasse di essere scritta. Poi, capitolo dopo capitolo, le loro emozioni erano diventate le mie mentre lo rileggevo; o, forse, ero riuscita a trascrivere le mie sensazioni e i personaggi ne erano diventati i portavoce. Questo libro è nato dalla mia parte razionale, ma lentamente è riuscito a rubare anche le mie emozioni più profonde, quelle che solitamente faccio fatica a esternare, imprigionandole e raccontandole nelle sue pagine.

Clicca qui sotto per ascoltare la playlist creata dall’autrice:

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ANTEPRIMA NON EDITATA

3

Animae duae, animus unus

Due vite, un’anima sola

Sidonio Apollinare

[…] Arrivo in aeroporto, pago il biglietto del parcheggio sperando non ci siano ritardi nei voli e mi appresto ad avvicinarmi al gate. Passando davanti alle grandi vetrate osservo gli aerei in partenza. Ho sempre sognato di girare il mondo insieme ad Ale. Lui effettivamente l’ha fatto, io invece, salvo per una gita ad Amsterdam alle superiori, non sono praticamente mai uscita dall’Italia. O meglio, ho girato solo posti raggiungibili con la macchina, perché ho la fobia di volare. Soffro tremendamente di vertigini e ho il terrore della velocità, oltre al fatto che quando non ho sotto controllo la situazione vado in panico (l’unico aspetto caratteriale che ho ereditato da mia madre). Ecco, dunque, che l’aereo non sia esattamente il mio mezzo di trasporto ideale. Una vera vergogna.

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Mi dirigo verso i monitor per controllare lo stato dei voli. L’aereo di Ale è già atterrato e stanno sbarcando. Mi avvio al gate aspettandolo all’uscita.

Io e Ale siamo sempre stati inseparabili, e anche quando partiva per i suoi lunghissimi viaggi trovava comunque il modo di chiamarmi per raccontarmi cosa stesse combinando. In questi ultimi sei mesi, però, non sempre è riuscito ad avere una connessione internet efficace, per cui ci siamo sentiti davvero pochissimo. Da piccoli ci chiedevamo come avremmo fatto a tenerci in contatto, ma la nostra fervida immaginazione ci permetteva di bypassare questo problema affidandoci a piccioni viaggiatori o al teletrasporto tramite porte nascoste agli angoli del pianeta.

Ale è sempre stato un ottimista, vede il bicchiere mezzo pieno e prende con positività tutto quello che gli accade. È dotato di una sorprendente sicurezza in sé stesso, cosa che io ovviamente gli invidio da sempre, reagisce con naturalezza a qualsiasi situazione, con un carisma e un fascino capaci di rabbonire il suo peggiore nemico. Io, invece, sono quella che va in ansia per un nonnulla, mi perdo tra mille pensieri cercando sempre di capire quale sia la cosa giusta da fare. E lui, ogni volta che mi vedeva entrare in panico, mi prendeva per mano guardandomi negli occhi, senza che ci fosse bisogno di parlare. Quel contatto mi permetteva di rilassarmi e razionalizzare. È sempre stato il mio punto fermo, tanto che spesso mi sono sentita come una sorta di satellite orbitante attorno a lui. Perciò, risulta facile immaginare quanto io mi sia sentita mancare la terra sotto i piedi quando è partito per la prima volta in quarta liceo. Certo, è stato solo per un anno e sapevo esattamente quando sarebbe tornato, ma negli anni d’oro dell’adolescenza perdere momentaneamente il proprio punto di riferimento non può fare certo bene alla propria stabilità mentale.

Avevo scoperto della sua partenza praticamente per caso. Era un pomeriggio di fine luglio, ero nella sua stanza con le cuffie alle orecchie, sdraiata sul letto a guardare quello che rimaneva degli adesivi della nostra galassia che suo padre gli aveva attaccato al soffitto quando frequentavamo le elementari, cercando di ricordare i nomi di tutte le costellazioni, e aspettando che Ale finisse di farsi la doccia. A un certo punto, dalla porta del bagno fece capolino il suo ciuffo di capelli bagnati. “Jules? Ehi Jules?” Urlò per attirare la mia attenzione. Tolsi un’auricolare, fissandolo con le sopracciglia sollevate. “Mi prendi dei boxer dal cassetto? Me li sono dimenticati!” Mi chiese sorridendo. Sbuffai esageratamente per la sua sbadataggine mentre scendevo dal letto; aprii il cassetto cercandoli e, dopo averli trovati, glieli lanciai facendoglieli arrivare direttamente in faccia. Mi ringraziò ridendo di gusto e sparendo in bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Scossi la testa, era sempre così distratto che mi mandava fuori di senno. Poi, qualcosa sulla sua scrivania attirò la mia attenzione. Mi avvicinai e, in mezzo al suo “disordine ordinato” come lo chiamava lui, vidi un dépliant di una nota agenzia turistica delle nostre zone. Lo afferrai e iniziai a sfogliarlo, quando un foglio contenuto al suo interno cadde a terra. Mi piegai a raccoglierlo accorgendomi che si trattava di un biglietto aereo. Con il suo nome. Direzione Stati Uniti d’America. Con una data di partenza. E la data indicava la settimana successiva. Mi sentii persa, tradita, arrabbiata. No, ero furibonda! Come aveva potuto tacere su una cosa così importante? D’istinto buttai il biglietto sul letto e, tanto perché la cosa non fosse già abbastanza plateale, lo corredai anche di un foglio scritto di primo pugno con le lacrime agli occhi: DIVERTITI IN AMERICA. E tra i singhiozzi scappai correndo giù per le scale, così velocemente che per poco non feci anche cadere sua madre che, sentendo il trambusto, si stava affacciando dal piano di sotto. Ero talmente furiosa che l’avevo guardata fumante di rabbia puntandole un dito contro. “Tu lo sapevi??” Le urlai, e lei sussultò. Aveva capito subito a cosa mi stessi riferendo, ovviamente, e aveva abbassato lo sguardo colpevole, messa con le spalle al muro da una diciassettenne incazzata. Solo quando mi calmai qualche ora più tardi capii che lei non aveva nessuna colpa, aveva solo assecondato il desiderio di suo figlio di frequentare all’estero un anno scolastico. E non era nemmeno colpa sua se lui non si era nemmeno degnato di dire alla sua migliore amica che sarebbe partito di lì a poco, per un intero anno. Ma in quel momento mi sentivo solo pugnalata alle spalle. Scoppiai a piangere mentre uscivo di corsa dalla porta d’ingresso, con lei che mi pregava di fermarmi.

Avevo corso senza sosta per una decina di minuti, continuando a singhiozzare. Poi mi ero dovuta fermare, senza fiato, per riprendere aria. Tenevo le mani sulle ginocchia e, piegata in avanti, ansimavo, completamente madida di sudore. Solo alzandomi mi ero resa conto di essermi spinta fino a una piccola collinetta dalla quale si vedeva tutto il lago. Era quasi il tramonto, ma l’aria era afosa e pesante anche a quell’ora. La vista però era spettacolare. Mi sedetti infilandomi gli auricolari nelle orecchie, facendo partire la musica. Subito riconobbi la melodia di Everglow dei Coldplay. Dopo qualche secondo, sentii delle dita togliermi un auricolare, mi voltai di scatto e vidi Ale sedersi al mio fianco, infilandoselo nell’orecchio. Ero così presa dalla rabbia e dalla delusione che non mi ero nemmeno resa conto che, probabilmente sentendo il baccano che avevo suscitato in casa, mi aveva seguita per tutto il tempo. Aveva ancora i capelli bagnati per la doccia e delle goccioline d’acqua gli scivolavano lungo il viso. Rimanemmo così, l’uno di fianco all’altro ascoltando quelle parole che sentivo così mie in quel momento.

When it feels like the end of my world
when I should but I can’t let you go? / Quando sembra che sia la fine del mio mondo, quando dovrei ma non riesco a lasciarti andare?

and we swore on that night we’d be friends til we die / e abbiamo giurato quella notte che saremo stati amici fino alla morte

and now I’m gonna miss you I know / e adesso mi mancherai lo so

So if you love someone, you should let them know / Quindi se ami qualcuno dovresti farglielo sapere.

Sentii le lacrime rigarmi le guance e abbracciai più forte le mie gambe piegate, Ale abbassò la testa iniziando a giocherellare nervosamente con i lacci delle scarpe. Attese la fine della canzone e poi si voltò a guardarmi.

“Jules…” Io non risposi, continuando a guardare dritto davanti a me l’orizzonte oltre il lago.

“Jules, ti prego…” Sussurrò appoggiando una mano sulla mia, stringendomela appena per richiamare la mia attenzione. Mi voltai verso di lui incrociando i suoi occhi tristi proprio mentre una folata di vento caldo gli scompigliava i capelli, sprigionando il profumo del suo bagnoschiuma agrumato. Era così bello da togliermi il fiato, lo amavo a tal punto che avrei potuto perdonargli qualsiasi cosa, ma il mio orgoglio prese il sopravvento. Alzai un sopracciglio come risposta. Lui abbassò lo sguardo sospirando, per poi tornare a piantare i suoi occhi nei miei.

“Avrei dovuto dirtelo, lo so. Semplicemente non sapevo come fare. So quanto spesso tu ti senta insicura e quanto la mia vicinanza ti aiuti, ma non è corretto, Jules. Non è giusto. Devi imparare a credere nelle tue capacità, in te stessa. Devi costruirti il tuo futuro indipendentemente dalla mia presenza, so che adesso sei arrabbiata, ne hai tutto il diritto, ma sono sicuro che quando sbollirai e tornerai a pensare razionalmente ti renderai conto che ho ragione, e che ti sto dicendo queste cose perché tengo tantissimo a te. Sei la mia migliore amica.”

Non sapevo cosa rispondere. In cuor mio ero consapevole che fosse tutto vero, dovevo sicuramente migliorare la mia autostima, ma in quel momento sinceramente potevo elencargli almeno mille modi per farlo ugualmente e che non implicassero la sua partenza per un anno.

Mi porse una margherita appena colta. Sapeva quanto adorassi quel fiore ed era il suo modo di chiedermi scusa. Quando incrociai il suo sguardo triste mentre mi chiedeva “Scusa”, sentii tutta la rabbia che avevo provato fino a qualche secondo prima dissolversi totalmente. Abbozzò un sorriso così meraviglioso da farmi sciogliere completamente. Se solo avesse saputo, se solo avessi avuto il coraggio di comunicargli i miei sentimenti. Invece mi girai verso l’orizzonte, pregando solo che quell’anno lontani trascorresse in fretta.

Ricordo ancora il giorno della sua partenza, più ci avvicinavamo al gate e più sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi, guardavo a terra contando le piastrelle per distrarmi. Cercavo anche di concentrarmi sui profumi che sentivo in aeroporto, su quello delle valigie di pelle degli uomini d’affari e della loro acqua di colonia, ma niente poteva togliermi quella sensazione di vuoto che sentivo nel cuore. Tenevo le mani nelle tasche della mia felpa verde acqua, manipolando nervosamente la piccola pietra portafortuna che portavo sempre con me. Arretrai fino ad appoggiare la schiena alla parete mettendomi in disparte e asciugandomi continuamente le lacrime che mi scivolavano sulle guance, mentre Ale salutava i suoi genitori. Il suo sguardo aveva scandagliato tutto intorno a sé cercandomi tra la folla per poi finalmente trovarmi proprio mentre abbracciava sua madre. Nei suoi occhi percepii tutta la sua preoccupazione nel vedermi così triste. Mi si avvicinò lentamente, tenendo le mani nelle tasche dei pantaloncini, si appoggiò poi con la schiena alla parete imitando la mia posizione. Io tenevo lo sguardo basso sulle sneakers, cercando di non crollare in mille pezzi. Mi diede un piccolo colpetto con la spalla per attirare la mia attenzione, e io risposi sollevando un angolo della bocca in un piccolo sorriso forzato. Si spostò davanti a me e, piegandosi sulle ginocchia per essere alla mia stessa altezza, cercò i miei occhi. Per evitare di guardarlo, mi ero messa a dondolare avanti e indietro con i piedi. Scosse la testa e si avvicinò, mise una mano sulla nuca e una attorno alla parte bassa della schiena e mi abbracciò, attirandomi a sé. Mi avvolsero il profumo delicato e fresco del suo bagnoschiuma, e la sfumatura dolce e leggermente vanigliata della sua pelle. Inspirai a fondo, perdendomi tra le sue braccia, completamente inebriata. Lo strinsi forte, sentendo poi lui fare altrettanto. Rimanemmo in quella posizione per un tempo che mi sembrò infinito, ma anche troppo breve. “Tranquilla, Jules, saremo solo a qualche passo di distanza, e ti telefonerò così tanto spesso che ti prometto che non sentirai la mia mancanza” mi aveva sussurrato infine all’orecchio per rassicurarmi, aumentando ancora di più la stretta. Quando si sciolse dall’abbraccio, mi prese il volto tra le mani, i suoi occhi si aggrapparono ai miei e le sue sopracciglia si incurvarono impercettibilmente verso l’alto, domandandomi silenziosamente se stessi bene. Sentii una lacrima scivolarmi lungo la guancia e il suo sguardo si posò su di essa. Mosse il pollice per asciugarla e io percepii quel contatto in tutte le terminazioni del mio corpo. Gli buttai le braccia al collo attirandolo a me per un’ultima volta, e lui mi strinse forte, avvolgendomi in un meraviglioso abbraccio. Dopo qualche istante, una voce all’altoparlante dichiarò l’apertura del gate del suo volo, così feci un passo indietro, lasciandolo andare. Gli sorrisi quanto più convincentemente riuscissi. Lui mi diede un bacio sulla guancia, indugiando qualche secondo accanto alle mie labbra, poi prese in spalla lo zaino e si allontanò oltre i tornelli. Seguii il suo aereo decollare finché non scomparì tra le nuvole. In quell’istante percepii un senso di angoscia crescermi dentro e una nausea così forte impossessarsi di me tanto da spingermi a correre in bagno a rimettere. Mi appoggiai poi tremante al lavandino mentre mi sciacquavo la faccia con l’acqua fresca. Avevo il respiro corto ed ero scossa da forti brividi. Mi guardai allo specchio, sembravo un fantasma con le occhiaie. Cercai un fazzoletto nelle tasche della felpa per asciugarmi il viso, e solo allora lo sentii. Un piccolo pezzetto di carta piegato. Lo tirai fuori, rigirandolo tra le dita prima di aprirlo.

And you’re with me wherever I go / E sei con me ovunque vada.

Una frase estrapolata dalla canzone Everglow. E in quel momento finalmente capii che anche io gli sarei mancata, mi ripromisi che avrei reagito, dovevo farlo in primo luogo per me stessa. Mi convinsi che un anno sarebbe passato in fretta, quella frase mi aveva riempito di un ottimismo che solo Ale avrebbe potuto trasmettermi.

2024-10-18

Aggiornamento

A una settimana dall'inizio della campagna siamo al 73% di copie preordinate. Dico "siamo" e non "sono" perché è TUTTO merito vostro. E io sono al settimo cielo. Grazie, mille volte grazie.

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    A piedi nudi sull’erba, un romanzo di esordio che non sembra tale: la definizione e la costruzione dei personaggi che sembrano reali, il coinvolgimento nelle loro emozioni, non sembra possibile siano opera di una nuova scrittrice.
    I protagonisti li vedi davanti a te, percepisci i loro respiri, le loro emozioni, i dettagli che ti fanno vedere e vivere la scena come in un film.
    Erika con la sua scrittura ha abbattuto la distanza, ti porta con Giulia nella sua vita, più che leggere “ascolti” i suoi pensieri e i suoi racconti, come se si trattasse delle confidenze di un’amica, come se foste al telefono o davanti a un caffè.
    Una piacevole scoperta, in grado di coinvolgere anche chi magari non fosse un amante di questo genere di romanzi!

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Erika Barbieri
Sono nata in un paesino in provincia di Novara, un piccolo paradiso di prati e colline.
Mi sono laureata in Fisioterapia ormai quattordici anni fa e, da allora e per anni, il lavoro mi ha completamente assorbita.
Mi piace leggere, disegnare e giocare a beach volley. Amo perdermi nei colori dell’autunno, il profumo del sole e del mare in estate, e quello dei fiori e dell’erba appena tagliata in primavera. Adoro il Natale, la sua atmosfera calda e famigliare, fare l’albero al primo freddo e cucinare i biscotti all’arancia e cannella.
Qualche tempo fa ho deciso di mettere finalmente nero su bianco la storia che da anni avevo in mente. "A piedi nudi sull’erba" è il mio primo romanzo.
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