Questo rumore mi accompagna ormai dal giorno in cui ci siamo incontrati, o forse sarebbe più corretto dire scontrati. Salivo le scale, arrabbiata, con un vassoio stracolmo di caffè e succhi di frutta; l’ascensore che avrebbe dovuto portarmi agli uffici dei piani superiori era di nuovo fuori servizio e il telefono del bar non faceva che squillare con richieste di ordinazioni.
Faceva caldo, molto caldo, già di prima mattina, il grembiule mi si era appiccicato addosso in maniera insopportabile, non desideravo altro che finire il turno, salire in sella alla mia moto, correre verso casa e concedermi finalmente una bella doccia fresca. Avrei dato una sistemata a quei poveri capelli, che per necessità tenevo spesso raccolti in uno chignon disordinato, e mi sarei sdraiata sul divano mezza nuda a guardare un programma poco impegnativo in televisione.
Ancora non lo sapevo, ma quel giorno sarebbe andata molto diversamente; eppure non era la prima volta che entravo in quell’ufficio: pubblicità, manifesti incorniciati appesi ovunque sulle pareti con slogan e immagini di prodotti, telefoni che squillavano in continuazione, stampanti che sputavano copie in serie neanche fossero una catena di montaggio, l’inconfondibile odore di cancelleria che si diffondeva in ogni angolo. Sentivo l’alcol pungente dei colori a spirito e degli evidenziatori e potevo distinguere l’odore dei colori a cera da quello delle mine fresche di tempera. E poi il profumo dolce e irresistibile della carta nuova che quasi ottenebrava l’aroma del caffè che proveniva dal mio vassoio. Non poteva che essere un ufficio di grafica pubblicitaria, ma la grossa differenza quel giorno saresti stato tu.
Entrai con fare poco aggraziato nella stanza che mi era stata indicata come la numero tre, ma cercai di sfoderare comunque un gioviale “buongiorno”, accompagnato dal miglior sorriso radioso che potevo tirare fuori da quella giornata.
Tu eri lì, in piedi, accanto a un proiettore, con un pantalone scuro e una camicia bianca, morbida, con le maniche arrotolate. Per un attimo ebbi la sensazione che il tempo si fosse fermato, quel tanto che serviva per permettermi di accarezzare con lo sguardo i tuoi capelli neri e accorgermi della tua espressione di disappunto nei miei confronti per avere interrotto così bruscamente la riunione, ma a quel punto la mia attenzione era già stata catturata dalle tue mani e dagli avambracci che si mostravano così solidi, ben strutturati, così maschili. Già mi pregustavo la sensazione di essere afferrata e toccata.
Provai a coordinare un passo dietro l’altro e al contempo a distribuire in maniera corretta i vari caffè e tutto il resto, ma non riuscivo a concentrarmi e sentivo una certa difficoltà a mantenere l’equilibrio. Era come se venissi attirata, con lo stesso effetto di una calamita dal suo magnete; totalmente attratta, catalizzata, rapita dalle tue labbra. Labbra perfette, carnose, sensuali, continuavo ad andare avanti solo per raggiungerle, volevo sfiorarle, sentirne il sapore e infine morderle. Forse, ma non ne sono del tutto sicura, chiusi gli occhi e allungai il mio viso verso il tuo, come si fa quando si vuole dare un bacio.
In quel momento sentii una strana assenza di gravità, l’amore stava già bussando alle porte del mio cuore.
«Ehi, ma che cavolo fai?»
Vidi prima la tua camicia bianca totalmente imbrattata di caffè e poi mi resi conto di essere finita a terra, alle mie spalle i tuoi colleghi se la ridacchiavano di gusto.
«Mi scusi, se… se posso fare qualcosa…» mormorai imbarazzata.
Sentii rispondermi in maniera secca e perentoria: «Certo che farai qualcosa per me. Seguimi, per favore» poi rivolto ai tuoi colleghi, con fare più affabile e accennando un sorriso canzonatorio nei miei confronti, aggiungesti: «Ragazzi, un applauso alla signorina qui presente che vi ha gentilmente concesso dieci minuti di pausa, io vado a prendermi il cambio in auto perché conciato così non posso proseguire».
Mi guardasti mantenendo quel sorriso e non so come poteva essere possibile che mi sentissi così presa da te, non ero il genere di persona da colpi di fulmine; eppure, quelle labbra così perfette, quella erre lievemente moscia che dava al timbro della voce un tono un po’ scanzonato, quel sorrisetto ironico da stronzo, quell’atteggiamento altezzoso e irritante; insomma, un insieme di cose ed ero già cotta!
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