Così avvolta da quel bagliore, appariva come una figura eterea, un angelo fragile e delicato, quando fino a quel momento, in realtà, aveva fatto il diavolo a quattro con me.
Avrei dovuto insistere per farla restare, implorarla in ginocchio di non andare, confessarle che una sola volta per me non sarebbe stato abbastanza, che non mi sarei mai saziato dei suoi baci, che già dipendevo dal suo sapore, dal suo odore, dalle sue maniere femminili e raffinate, dal suo modo di essere e di pensare.
Avrei dovuto dirle che non potevo più fare a meno di lei. Invece, non dissi nulla e la lasciai andare.
Me ne restai solo, per ore, a tormentarmi in mezzo a quel casino. Non c’era niente che fosse al suo posto, sembrava fosse passato un uragano. Invece era stata la nostra rabbia a distruggere tutto. Lei arrabbiata con me, perché me l’ero lasciata scivolare tra le dita tanto, tanto tempo fa. Io arrabbiato con me stesso, perché fino a quel cazzo di momento le donne erano state solo piacevoli
passatempi mentre ora mi ritrovavo innamorato della donna di un altro, prossima alle nozze.
Avevamo stretto un patto e ce lo ripetemmo quasi per tutto il tempo, avvinghiati l’una all’altro.
«Una sola volta, solo questa volta e basta, non ci rivedremo mai più!»
Mi perdevo tra gli oggetti della stanza struggendomi di nostalgia e malinconia; avevo la sensazione di vederli fluttuare intorno a me, sospesi, in attesa che mi decidessi a capire che dovevo voltare pagina e rimettere tutto in ordine.
C’era del vino a terra, sul comodino una lampada rovesciata, le mie pregiate lenzuola grigie di raso arrotolate sul letto, intrise del nostro sudore, del nostro odore e dei nostri umori; un piatto con dell’uva fresca in un angolo, una bomboletta di panna spray in un altro. Perfino il grande specchio a terra era pericolosamente inclinato da un lato.
Lo raddrizzai subito, lo avevo pagato una bella somma da un noto antiquario in città e non volevo rischiare che finisse in frantumi finendo magari di farmi male per raccoglierne i pezzi.
Se solo Lucilla lo avesse visto… ero certo ne avrebbe apprezzato le finiture, l’eleganza antica, la particolarità del vetro un po’ opacizzato. Lei lavorava in una gioielleria e aveva occhio per quel genere di cose, per le cose belle.
Immaginai di possederla davanti quello specchio e stavolta guardandola spudoratamente, china dinanzi a me e al mio membro pieno di desiderio per lei, con la schiena inarcata e leggermente inclinata verso il basso, con il suo sedere rotondo e i fianchi torniti a invitarmi verso un viaggio di curve pericolose da percorrere a velocità sfrenata.
Ero un fotografo e amavo la luce, ma questa volta il fatto che riportasse tutto alla realtà mi dava fastidio, ogni oggetto riaffiorava dall’oscurità per ricordarmi di essere stato usato da lei e poi abbondonato.
Così provai a concentrarmi sulle ombre. Seguivo il loro profilo irregolare spostarsi a secondo dell’inclinazione dei raggi del sole nella speranza mi riconducessero di nuovo nel buio, dove le tenebre ci avevano avviluppato sotto un mantello magico nascondendoci al resto del mondo… e forse un pochino anche a noi stessi.
Non avrei più dimenticato quell’incontro, mi sarei portato dietro quelle sensazioni custodendole al sicuro, dentro di me, e ogni tanto mi sarei soffermato a tirarne fuori qualcuna, quando il ricordo di Lucilla fosse venuto a bussare per fare male.
Quando l’avrei immaginata vestita di bianco, bellissima, attraversare la navata stringendo forte il suo bouquet da sposa, incontro a un uomo che non ero io, incontro a un altro destino. Come poteva essere spietato il destino a volte… io poi nemmeno ci avevo mai creduto al fato, avevo sempre ritenuto fossero fantasticherie propriamente femminili.
Invece Lucilla era ricomparsa all’improvviso e per puro caso direttamente dal passato, quando avrebbe potuto facilmente essere mia se solo lo avessi voluto, se solo me ne fossi accorto… prima! Ritrovata, riconquistata e nuovamente persa perché ormai promessa a un altro.
Non sapevo se ridere amaramente in faccia alla sfortuna o se sbattermi la testa al muro, disperato. Almeno mi ero preso qualcosa, le avevo strappato prima dei sorrisi di imbarazzo, poi degli sguardi profondi volti a frugare le mie reali intenzioni e infine dei gemiti e forse delle lacrime, prima che decidesse di aprire la porta e non voltarsi più indietro a guardare il passato. Io ero appunto l’uomo del passato che non l’aveva voluta, l’uomo che ancora le piaceva ma di cui in fondo sapeva ben poco, di cui immaginava di non potersi fidare: l’uomo che credeva non potesse darle delle garanzie.
Io non potevo prometterle niente, era vero, non potevo farle grandi giuramenti, rassicurarla.
Non mi intendevo molto di amore, ma di certo non avrei mai imprigionato i miei sentimenti su di un pezzo di carta. Perché l’amore non va trattenuto, arriva quando meno te lo aspetti e può durare una vita, come un giorno.
Non mi era possibile pronunciare le parole “per sempre” ma certo avrei potuto dirle che l’amavo e che quell’addio pesava sul mio cuore come un macigno che mi stava schiacciando, togliendomi l’aria, privandomi delle forze e della lucidità.
«Gianpaolo, hai promesso… Non venirmi a cercare» sentenziò senza voltarsi, parole lapidarie che non mi lasciavano scampo.
«Lucilla…» ma non fui in grado di proseguire, forse per la prima volta nella mia vita avevo la voce rotta dalla commozione e per farmi forza quasi stritolai la mia macchina fotografica tra le dita.
«È stato bellissimo stare con te» mormorò teneramente prima di richiudersi la porta alle spalle.
Corsi subito ad aprire le finestre, perché non respiravo e avevo bisogno di aria fresca. Speravo di vederla finalmente mentre camminava lungo il viale con il suo passo lento, elegante, stringendosi la giacca al petto, come per volersi abbracciare o forse consolare.
Volevo osservarla per l’ultima volta, anche se da lontano, anche se andava via.
Ma la luce mi trafisse negandomi quest’ultimo desiderio.
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